1. Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona.
2. Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a sesso, nazionalità, razza, condizioni economiche e sociali, opinioni politiche e credenze religiose. I detenuti e gli internati stranieri, qualora sprovvisti di permesso di soggiorno, sono titolari di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia.
3. Negli istituti deve essere mantenuto l'ordine e garantito il rispetto dei diritti. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette e, nei confronti degli imputati, non indispensabili ai fini giudiziari. Comunque, ogni restrizione della libertà, ulteriore a quella del regime ordinario di cui alla presente legge, deve essere tassativamente prevista dalla legge.
4. I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro nome.
5. Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato al principio che essi non sono considerati colpevoli sino alla condanna definitiva.
6. Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento di risocializzazione che tenda, anche
1. Le spese per l'esecuzione delle pene e delle misure di sicurezza detentive sono a carico dello Stato.
2. Il rimborso delle spese di mantenimento da parte dei condannati è effettuato
1. Negli istituti penitenziari è assicurata ai detenuti e agli internati parità di diritti e di condizioni di vita. In particolare il regolamento di attuazione della presente legge emanato ai sensi dell'articolo 175, di seguito denominato «regolamento», stabilisce limitazioni in ordine all'ammontare del peculio disponibile e dei beni provenienti dall'esterno.
2. Devono essere operati adeguati interventi per prevenire e dare aiuto alle persone in situazioni di povertà economiche e sociali, curando in particolare se le stesse possano accedere agli aiuti economici e sociali previsti dai servizi competenti senza essere penalizzate dalla loro condizione di emarginazione o di restrizione della libertà personale.
1. I detenuti e gli internati esercitano personalmente tutti i diritti e le facoltà loro derivanti dalla presente legge.
2. La fruizione dei diritti e delle facoltà di cui al comma 1 non deve essere subordinata ad autorizzazioni della autorità dirigente, salvo nei casi nei quali occorrono verifiche dei presupposti per l'esercizio del diritto o della facoltà.
1. Salvo quanto disposto nei commi 2 e 3, le norme della presente legge si applicano anche nei confronti dei minori degli anni diciotto sottoposti a misure penali. Entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge il Governo è delegato ad adottare un decreto legislativo recante l'ordinamento penitenziario per i minorenni, prevedendo una nuova organizzazione del personale, che affidi la esecuzione della pena ad operatori sociali, con esclusione di personale di polizia, nonché valutando l'opportunità di confermare l'attuale inserimento del personale della nuova organizzazione nel sistema pubblico statale, ovvero di inserire tale personale nel sistema pubblico regionale in conformità a quanto già avviene per gli altri interventi sociali destinati ai minorenni.
2. Le misure di sicurezza dell'ospedale psichiatrico giudiziario e della casa di cura e custodia non sono applicabili nei confronti di coloro che hanno commesso il reato quando erano minori di anni diciotto.
3. Nei confronti dei soggetti di cui al comma 2 non si applicano inoltre le disposizioni dei decreti-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e
1. I detenuti e gli internati hanno diritto ad una presa in carico che garantisca la conoscenza specifica della loro situazione e dei loro bisogni da parte degli operatori penitenziari, indispensabile per attivare tutti gli interventi nei loro confronti.
2. In funzione del diritto di cui al comma 1, gli istituti penitenziari devono essere realizzati in modo da accogliere un numero non elevato di detenuti o di internati. Gli istituti già esistenti che non rispondono a tali caratteristiche devono essere articolati in reparti distinti in grado di organizzare e di svolgere le attività penitenziarie previste dalla presente legge; in tali strutture può comunque permanere
1. I locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura, areati, riscaldati ove le condizioni climatiche lo esigono, e dotati di servizi igienici riservati e decenti, realizzati secondo le norme vigenti. Tali locali devono essere dotati di adeguato arredo, corrispondente alle esigenze dei singoli detenuti e internati e mantenuti in buono stato di conservazione e di pulizia.
2. I locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti.
3. Le finestre delle camere devono consentire il passaggio diretto di luce e di aria naturali. Non sono consentite reti o schermature che impediscono tale passaggio. Sono approntati pulsanti per la illuminazione artificiale delle camere, nonché
1. Ciascuna persona è fornita dalla amministrazione penitenziaria di biancheria, di vestiario e di effetti di uso in quantità sufficiente, in buono stato di conservazione e di pulizia e tali da assicurare la soddisfazione delle normali esigenze di vita.
2. I detenuti e gli internati possono comunque indossare abiti di loro proprietà, purché puliti e convenienti.
1. È assicurato ai detenuti e agli internati il diritto all'uso quotidiano di servizio igienico, lavabo, doccia e, negli istituti o sezioni femminili, di bidet, con acqua corrente calda e fredda, nonché alla disponibilità di quanto necessario alla cura e alla pulizia della persona. Le apparecchiature igieniche indicate sono collocate in un locale separato, accessorio e comunicante con la camera di pernottamento e liberamente accessibile dalla stessa. Nelle camere a più posti, il servizio igienico è collocato in un apposito spazio separato dalle altre apparecchiature necessarie alla cura e alla pulizia della persona.
2. In ciascun istituto sono organizzati i servizi per il periodico taglio dei capelli e la rasatura della barba. Può essere consentito l'uso di rasoio elettrico personale.
3. Il taglio dei capelli e della barba può essere imposto soltanto per particolari ragioni igienico-sanitarie accertate dal sanitario.
4. Servizi igienici, lavabi e docce in numero adeguato devono, inoltre, essere
1. I detenuti e gli internati hanno diritto ad una alimentazione sana e sufficiente, adeguata alla età, al sesso, allo stato di salute, al lavoro, alla stagione, al clima e alle diverse abitudini e culture alimentari. A questo scopo sono destinate risorse atte a garantire adeguate quantità e qualità della alimentazione, assumendo come parametro la spesa per le strutture comunitarie pubbliche.
2. I detenuti e gli internati devono avere sempre a disposizione acqua potabile.
3. Le quantità e la qualità del vitto giornaliero sono determinate da apposite tabelle approvate con decreto ministeriale della salute, che deve tenere conto delle variazioni climatiche stagionali e delle diversità territoriali. Ai fini della emanazione del decreto, i singoli provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria propongono le variazioni opportune con riferimento ai territori di competenza.
4. Il servizio di vettovagliamento è di regola gestito dalla amministrazione penitenziaria direttamente o avvalendosi di cooperative sociali.
5. Ai detenuti e agli internati è consentito l'acquisto, a proprie spese, di generi alimentari e di conforto, entro i limiti fissati dal regolamento. La vendita dei generi alimentari e di conforto deve essere affidata di regola a spacci gestiti direttamente dalla amministrazione carceraria o da imprese che esercitano la vendita a prezzi controllati dalla autorità comunale competente, dando priorità alle cooperative sociali. I prezzi non devono essere superiori a quelli praticati negli esercizi esterni del luogo in cui è ubicato l'istituto, compresi quelli della grande distribuzione. La direzione dell'istituto assume mensilmente informazioni in proposito presso l'autorità comunale competente, procedendo
1. I detenuti e gli internati possono tenere con sè i generi e gli oggetti utili alla cura della persona, al soddisfacimento dei loro interessi culturali e artistici, nonché alla partecipazione e all'espletamento delle attività trattamentali. È consentito inoltre il possesso di oggetti di particolare valore morale o affettivo. È consentito inoltre di tenere nella propria camera, per i motivi indicati nel primo periodo, computer portatili privi di collegamenti in rete e i supporti informatici relativi. Tali generi ed oggetti sono sottoposti al limite di non determinare, nella camera, un ingombro eccessivo. Nelle camere a più posti tale valutazione tiene conto della compatibilità dell'analogo diritto degli altri occupanti.
2. Il regolamento specifica gli altri generi ed oggetti che possono essere tenuti, oltre a quelli previsti dal comma 1. Possono altresì essere indicate limitazioni dettate da motivate esigenze di sicurezza, igiene e compatibilità di spazio. I libri, comunque, possono essere sempre tenuti e non ne può essere disposta la scomposizione.
3. E vietato il possesso di denaro.
4. I generi e gli oggetti provenienti dall'esterno devono essere contenuti in pacchi che, prima della consegna ai destinatari, devono essere sottoposti a controllo; tale controllo deve essere operato in modo da evitare il danneggiamento delle cose. Il numero e il peso di tali pacchi sono specificati nel regolamento, che indica anche i generi alimentari di consumo comune che non richiedono manomissioni
1. Gli istituti penitenziari devono disporre di spazi all'aperto, non interclusi fra fabbricati, compresi quelli necessari per lo svolgimento di attività sportive, ricreative e, in genere, trattamentali.
2. I detenuti e gli internati hanno diritto a permanere all'aperto per tempi adeguati, non inferiori alle quattro ore giornaliere, tenuto conto della necessità di compensare i lunghi periodi di permanenza in locali chiusi. Per motivi eccezionali, esclusivamente relativi alla agibilità delle strutture e degli spazi, e per tempi definiti e brevi, la permanenza all'aperto può essere ridotta a due ore giornaliere con provvedimento motivato del direttore dell'istituto, che viene comunicato al provveditore regionale della amministrazione penitenziaria e al magistrato di sorveglianza. Gli spazi destinati alla sola permanenza all'aperto devono offrire possibilità di protezione dagli agenti atmosferici.
3. I detenuti e gli internati hanno anche diritto a partecipare alle attività sportive, ricreative e trattamentali in genere. A tale fine gli spazi all'aperto esistenti devono essere adeguatamente attrezzati e utilizzati con continuità.
1. La custodia cautelare, la pena detentiva e le misure di sicurezza detentive devono essere eseguite nel rispetto del diritto alla salute delle persone, previsto dall'articolo 32 della Costituzione. Negli istituti penitenziari non devono essere operati trattamenti o poste in essere situazioni che siano contrari al senso di umanità e che siano, comunque, pregiudizievoli della salute psichica e fisica dei detenuti e degli internati.
2. Tutte le persone in esecuzione di pena, misura di sicurezza e custodia cautelare, hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali e in quelli locali. Tutte le persone predette, qualora già non lo siano, sono iscritte al Servizio sanitario nazionale presso l'azienda sanitaria locale (ASL) competente nel luogo in cui è posto l'istituto o in cui si trovano.
3. Le regioni definiscono, di concerto con i provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria, le modalità di attuazione dell'assistenza di cui al comma 2,
1. Fin dall'inizio, all'intervento sanitario si accompagna la presa in carico della persona che ne fruisce. All'atto dell'ingresso nell'istituto i soggetti sono sottoposti a visita medica generale allo scopo di accertare eventuali malattie fisiche o psichiche. L'assistenza sanitaria è prestata, nel corso della permanenza nell'istituto, con periodiche e frequenti visite, indipendentemente dalle richieste degli interessati.
2. Il sanitario deve visitare ogni giorno gli ammalati e coloro che ne facciano richiesta; deve segnalare immediatamente la presenza di malattie che richiedono particolari indagini e cure specialistiche; deve, inoltre, controllare periodicamente l'idoneità dei soggetti ai lavori cui sono addetti.
3. Nel rispetto della dignità dei pazienti, ogni intervento medico si deve attenere alle regole sul consenso informato, salvo i casi di trattamento sanitario obbligatorio.
4. Il responsabile sanitario, quando ritiene che la salute dei reclusi e del personale non possa essere garantita con altri sistemi precauzionali, dispone l'isolamento delle persone affette da malattia contagiosa.
5. I servizi specialistici ed, in particolare, quelli di assistenza psichiatrica, delle tossicodipendenze e della alcoologia, operano una propria presa in carico dei soggetti e svolgono la loro attività in autonomia dal servizio sanitario interno.
1. Ove siano necessari cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i detenuti e gli internati sono trasferiti, con provvedimento del magistrato di sorveglianza, in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura. Per gli imputati, detti trasferimenti sono disposti, dopo la pronunzia della sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza; prima della pronunzia della sentenza di primo grado, dal giudice competente secondo il procedimento seguito e la fase processuale in atto e, in particolare, dal presidente del collegio, se si tratti di organo giudicante collegiale; dal presidente del tribunale, nel corso degli atti preliminari al giudizio dinanzi la corte di assise fino alla convocazione della corte stessa e dal presidente di essa successivamente alla convocazione. Nei casi di assoluta urgenza provvede il direttore dell'istituto, salva successiva ratifica della autorità giudiziaria competente.
2. L'autorità giudiziaria competente ai sensi del comma 1 può disporre, quando non vi sia pericolo di fuga, che i detenuti e gli internati trasferiti in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura con proprio provvedimento, o con provvedimento del direttore dell'istituto nei casi di assoluta urgenza, non siano sottoposti a piantonamento durante la degenza, salvo che sia necessario per la tutela della loro incolumità personale.
3. Il detenuto o l'internato che, non essendo sottoposto a piantonamento, si allontana dal luogo di cura senza giustificato motivo è punibile ai sensi del primo comma dell'articolo 385 del codice penale.
1. È istituita, per gli istituti compresi in ogni territorio provinciale, una commissione per la vigilanza e la valutazione dei
1. Negli istituti penitenziari, secondo le esigenze del trattamento, sono approntate attrezzature per lo svolgimento di attività lavorative, di istruzione scolastica e professionale, ricreative, culturali, sportive e
1. Il trattamento penitenziario deve salvaguardare la salute e la dignità dei detenuti e degli internati e sviluppare il loro senso di responsabilità e incoraggiare quelle attitudini e competenze che possono sostenerli nel reinserimento sociale.
2. Nei confronti dei detenuti e degli internati è predisposta l'osservazione multiprofessionale della personalità, diretta all'accertamento dei bisogni di ciascuna persona connessi alle eventuali carenze fisio-psichiche, affettive, educative e sociali, che sono state di pregiudizio alla instaurazione di una normale vita di relazione.
3. Nell'ambito della osservazione di cui al comma 2 è anche offerta all'interessato l'opportunità di una riflessione sulle condotte antigiuridiche addebitate. Tale riflessione non riguarda in alcun modo gli
1. Il numero dei detenuti e degli internati negli istituti e nelle loro sezioni deve essere limitato e, comunque, tale da consentire l'individualizzazione del trattamento.
1. Il trattamento del condannato e dell'internato è svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, della riflessione morale e religiosa, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia.
2. Per l'attuazione del programma di trattamento, ai sensi dell'articolo 18, i detenuti e gli internati hanno diritto a disporre degli elementi del trattamento di cui al comma 1. Gli istituti penitenziari sono organizzati al fine di rendere tali elementi concretamente disponibili per gli interessati.
3. Gli imputati sono ammessi, a loro richiesta, a partecipare ad attività risocializzanti, culturali e ricreative e, salvo contrarie disposizioni dell'autorità giudiziaria, a svolgere attività lavorativa o di formazione professionale, possibilmente di loro scelta.
1. In ciascun istituto il trattamento penitenziario è operato secondo le norme della presente legge e del regolamento, in conformità alle quali la amministrazione penitenziaria centrale può impartire direttive applicative. Le concrete modalità del trattamento da seguire in ciascun istituto, con riguardo alle esigenze dei gruppi di detenuti e di internati ivi ristretti, sono disciplinate dal regolamento interno, che è predisposto e modificato da una commissione composta dal direttore, che la presiede, e dai dirigenti delle diverse aree dell'istituto, nonché dal coordinatore degli assistenti sociali ivi assegnati, da un rappresentante del volontariato operante nell'istituto e da un rappresentante dei responsabili delle attività lavorative ivi svolte. Il provvedimento è trasmesso al magistrato di sorveglianza, che lo restituisce con le eventuali osservazioni.
2. Dopo la restituzione da parte del magistrato di sorveglianza, il regolamento interno, con le eventuali modificazioni, è trasmesso al Ministro della giustizia, che, entro sessanta giorni dalla ricezione, eliminate o modificate le norme in contrasto con l'ordinamento penitenziario o con il regolamento, provvede alla sua approvazione e lo invia al magistrato di sorveglianza, che, se lo ritiene in contrasto con la normativa vigente, lo rinvia al Ministro entro trenta giorni per le sue ulteriori valutazioni e decisioni.
3. Le norme del regolamento interno in contrasto con la normativa di livello superiore sono inefficaci e devono essere revocate e sono, comunque, disapplicate.
4. Il regolamento interno deve circostanziare con riferimento al singolo istituto gli aspetti applicativi che riguardano il regime di vita interno, l'adempimento degli obblighi e la fruizione dei diritti per i detenuti e gli internati, nonché gli obblighi degli operatori in ordine all'espletamento dei servizi.
5. Nel regolamento interno è dedicata particolare cura nella determinazione
1. La finalità del reinserimento sociale dei detenuti e degli internati deve essere perseguita anche sollecitando ed organizzando la partecipazione di privati e di istituzioni o associazioni pubbliche o private all'azione di risocializzazione.
2. Sono ammessi a frequentare gli istituti penitenziari con l'autorizzazione e secondo le direttive del magistrato di sorveglianza, su parere favorevole del direttore, tutti coloro che, avendo concreto interesse per l'opera di risocializzazione dei detenuti e degli internati, dimostrino di potere utilmente promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera.
3. Le persone indicate nel comma 2 operano sotto il controllo del direttore dell'istituto.
1. I detenuti e gli internati hanno diritto ad avere colloqui, nel numero, con la durata e le modalità previsti dal regolamento, nonché ad avere corrispondenza con i congiunti e i conviventi e con altre persone, anche al fine di compiere atti giuridici. Per i conviventi deve essere verificato il rapporto di convivenza e, per le altre persone, devono risultare ragionevoli motivi. Ove occorra e sia possibile, gli interessati possono ricorrere ad autocertificazioni, controllate a campione, secondo le modalità previste dalla normativa vigente sulla semplificazione amministrativa. Gli stranieri possono ricorrere a dichiarazioni sostitutive di atto notorio. La
1. Il personale della Direzione investigativa antimafia di cui all'articolo 3 del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410, e dei servizi centrali e interprovinciali di cui all'articolo 12 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, nonché gli ufficiali di polizia giudiziaria designati dai responsabili, a livello centrale, della predetta direzione e dei predetti servizi, possono essere autorizzati, ai sensi del comma 2 del presente articolo, ad avere colloqui personali con detenuti e con internati, al fine di acquisire informazioni utili per la prevenzione e la repressione dei delitti di criminalità organizzata.
2. Al personale di polizia indicato nel comma 1, l'autorizzazione ai colloqui è rilasciata:
a) quando si tratta di internati, di condannati o di imputati, dal Ministro della giustizia o da un suo delegato;
b) quando si tratta di persone sottoposte ad indagini, dal pubblico ministero.
3. Le autorizzazioni ai colloqui indicate nel comma 2 sono annotate in un apposito registro riservato tenuto presso l'autorità competente al rilascio.
4. In casi di particolare urgenza, attestati con provvedimento del Ministro dell'interno o, per sua delega, dal Capo della polizia, l'autorizzazione prevista nel comma 2, lettera a), non è richiesta, e del colloquio è data immediata comunicazione all'autorità ivi indicata, che provvede all'annotazione
1. Per esigenze attinenti alle indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza e di ordine dell'istituto, possono essere disposte, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a tre mesi, prorogabile per analoghi periodi:
a) limitazioni della corrispondenza epistolare e telegrafica e della ricezione della stampa;
b) la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo.
2. La sottoposizione a visto di controllo non può essere applicata alla corrispondenza epistolare o telegrafica indirizzata dai detenuti e dagli internati ai soggetti indicati nel comma 5 dell'articolo 103 del codice di procedura penale, all'autorità giudiziaria, alle autorità indicate nell'articolo 46, comma 1, della presente legge, ai membri del Parlamento nazionale e della Unione europea, alle rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui gli interessati sono cittadini ed agli organismi internazionali amministrativi o giudiziari preposti alla tutela dei diritti dell'uomo
1. I detenuti e gli internati che ne facciano domanda hanno diritto alla iscrizione e alla frequenza dei corsi di istruzione scolastica del primo e del secondo ciclo, nonché universitaria, nel rispetto delle regole di ammissione agli stessi.
2. Negli istituti penitenziari la formazione culturale e professionale è curata mediante l'organizzazione dei corsi della scuola dell'obbligo, nonché, in quanto possibile, dei corsi di livello superiore e dei corsi di addestramento professionale, ai sensi delle disposizioni vigenti e con l'ausilio di metodi adeguati alla condizione dei soggetti.
3. Particolare cura è dedicata alla formazione culturale e professionale dei detenuti di età inferiore ai venticinque anni.
4. È agevolato il compimento degli studi dei corsi universitari ed equiparati ed è favorita la frequenza a corsi scolastici per corrispondenza, per radio e per televisione.
5. È favorito l'accesso alle pubblicazioni contenute nella biblioteca dell'istituto, con piena libertà di scelta delle letture.
1. Negli istituti penitenziari devono essere favorite in ogni modo la destinazione dei detenuti e degli internati al lavoro e la loro partecipazione a corsi di formazione professionale. A tale fine, possono essere previste attività lavorative organizzate e gestite direttamente da imprese pubbliche o private e possono essere istituiti corsi di formazione professionale organizzati e svolti da aziende pubbliche o da aziende private convenzionate con la regione.
1. Il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria può affidare, con contratto d'opera, la direzione tecnica delle lavorazioni a persone estranee all'amministrazione penitenziaria, le quali curano anche la specifica formazione dei responsabili delle lavorazioni e concorrono alla qualificazione professionale dei detenuti e degli internati, d'intesa con la regione. Possono essere inoltre istituite, a titolo sperimentale, nuove lavorazioni, avvalendosi, se necessario, dei servizi prestati da imprese pubbliche o private ed acquistando le relative progettazioni.
2. L'amministrazione penitenziaria, inoltre, promuove, senza vincoli relativi ai costi, la vendita dei prodotti delle lavorazioni penitenziarie anche mediante apposite convenzioni da stipulare con imprese pubbliche o private, che hanno una propria rete di distribuzione commerciale.
3. Previo assenso della direzione dell'istituto, i privati che commissionano forniture all'amministrazione penitenziaria possono, in deroga alle norme di contabilità generale dello Stato e a quelle di contabilità speciale, effettuare pagamenti differiti, secondo gli usi e le consuetudini vigenti.
4. L'articolo 1 della legge 3 luglio 1942, n. 971, e l'articolo 611 delle disposizioni di cui al regio decreto 16 maggio 1920, n. 1908, sono abrogati.
5. L'amministrazione penitenziaria deve organizzare e utilizzare le lavorazioni
1. I detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro all'esterno, sia subordinato che autonomo, in condizioni idonee a garantire l'attuazione positiva degli scopi previsti dall'articolo 27. Se si tratta di persona condannata alla pena della reclusione per uno dei delitti indicati nel comma 1 dell'articolo 79, commessi dopo il 13 maggio 1991, l'assegnazione al lavoro all'esterno può essere disposta dopo l'espiazione di un terzo della pena e, comunque, di almeno cinque anni. Nei confronti dei condannati all'ergastolo l'assegnazione può avvenire dopo l'espiazione di almeno dieci anni.
2. I detenuti e gli internati assegnati al lavoro all'esterno sono avviati a prestare la loro opera senza scorta, salvo che essa sia ritenuta necessaria per motivi di sicurezza. Gli imputati sono ammessi al lavoro all'esterno previa autorizzazione della competente autorità giudiziaria.
1. Le condannate e le internate possono essere ammesse alla cura e all'assistenza all'esterno dei figli di età non superiore agli anni dieci, alle condizioni previste dall'articolo 29.
2. Si applicano tutte le disposizioni della presente legge relative al lavoro all'esterno, in particolare l'articolo 29, in quanto compatibili.
3. La misura dell'assistenza all'esterno di cui al comma 1 può essere concessa, alle stesse condizioni, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata.
1. I detenuti e gli internati che svolgono attività lavorativa hanno diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro effettivamente prestato e al riconoscimento degli altri diritti inerenti al rapporto di lavoro, tenuto conto del trattamento economico e normativo previsto, per attività lavorative corrispondenti,
1. Ai detenuti e agli internati che lavorano sono dovuti, per le persone a loro carico, gli assegni familiari nella misura e secondo le modalità di legge.
2. Gli assegni familiari sono versati direttamente alle persone a carico.
1. Sulla retribuzione spettante ai detenuti, se superiore alle pensioni sociali minime, sono prelevate, se certe nel concreto ammontare ed esigibili, le somme dovute a titolo di risarcimento del danno e di rimborso delle spese di procedimento. Sulla retribuzione spettante ai detenuti e agli internati, se superiore alle pensioni sociali minime, sono altresì prelevate le somme dovute ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 2, sempre se certe nel concreto ammontare ed esigibili.
2. In ogni caso deve essere riservata a favore dei detenuti una quota pari a quattro quinti della retribuzione. Tale quota non è soggetta a pignoramento o a sequestro, salvo che per obbligazioni derivanti da alimenti o a prelievo per il risarcimento del danno arrecato alle cose mobili o immobili della amministrazione penitenziaria; in tale caso, comunque, resta riservata a favore dei detenuti una quota pari a tre quinti della retribuzione.
3. La retribuzione dovuta agli internati e agli imputati non è soggetta a pignoramento o a sequestro, salvo che per obbligazioni derivanti da alimenti o a prelievo per il risarcimento del danno arrecato alle cose mobili o immobili dell'amministrazione penitenziaria; in tale caso, comunque,
1. Il peculio dei detenuti e degli internati è costituito dalla parte della retribuzione ad essi spettante, dal danaro posseduto all'atto dell'ingresso in istituto, da quello ricavato dalla vendita degli oggetti di loro proprietà o inviato dalla famiglia o da altri o ricevuto a titolo di premio o di sussidio.
2. Le somme costituite in peculio producono a favore dei titolari gli interessi maturati per effetto del deposito effettuato dalla amministrazione penitenziaria presso un istituto bancario.
3. Il regolamento deve prevedere le modalità del deposito e stabilire la parte di peculio disponibile dai detenuti e dagli internati per acquisti autorizzati di oggetti personali o per invii a familiari o conviventi.
1. I detenuti e gli internati hanno libertà di professare la propria fede religiosa, di istruirsi in essa e di praticarne il culto.
2. Negli istituti è assicurata la celebrazione dei riti del culto cattolico; a tale fine, a ciascun istituto è addetto un cappellano. Ministri ed esponenti di religione diversa dalla cattolica hanno diritto ad accedere agli istituti e ad incontrare i detenuti e gli internati per esercitare la loro missione.
1. Negli istituti devono essere favorite e organizzate attività culturali, ricreative e sportive e ogni altra attività volta alla realizzazione della personalità dei detenuti e degli internati e allo sviluppo della socialità interna.
2. Una commissione composta dal direttore dell'istituto, dagli educatori e dagli assistenti sociali e dai rappresentanti dei detenuti e degli internati cura la organizzazione delle attività di cui al comma 1, anche mantenendo contatti con il mondo esterno utili a instaurare positive relazioni con la comunità esterna e al reinserimento sociale dei detenuti e degli internati.
1. I detenuti e gli internati hanno diritto a mantenere le proprie relazioni familiari. Particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire tali relazioni, anche con l'intervento degli operatori interni, del centro servizio sociale adulti e della rete sociale esterna, seguendo un criterio di progressione nel trattamento, sia con colloqui oltre quelli ordinari, sia con modalità tali da accrescere la qualità dei rapporti familiari.
2. Particolare cura è altresì dedicata a coltivare i rapporti affettivi. A tale fine, i detenuti e gli internati hanno diritto ad una visita al mese, della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore, delle persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgono in locali adibiti o realizzati
1. I detenuti e gli internati hanno diritto a informare telefonicamente, immediatamente o al più tardi entro le dodici ore, i congiunti, il difensore e le altre persone da essi eventualmente indicate, del loro ingresso in un istituto penitenziario o dell'avvenuto trasferimento.
2. In caso di decesso o di intervenuta e grave infermità fisica o psichica di un detenuto o di un internato deve essere data tempestiva notizia ai congiunti e alle altre persone eventualmente da lui indicate; analogamente i detenuti e gli internati devono essere tempestivamente informati del decesso o della grave infermità dei congiunti.
1. Il magistrato di sorveglianza può concedere ai condannati e agli internati, nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente degli stessi, un permesso per recarsi a visitare l'infermo, con le cautele previste dal regolamento. Agli imputati il permesso è
1. Prima di pronunciarsi sull'istanza di permesso, l'autorità competente deve assumere informazioni sulla sussistenza dei motivi addotti, a mezzo delle autorità di polizia, anche del luogo in cui l'istante chiede di recarsi.
2. La decisione sull'istanza è adottata con provvedimento motivato.
3. Il provvedimento è comunicato immediatamente senza formalità, anche a
1. Ai detenuti che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del comma 8
a) nei confronti dei condannati all'arresto o alla reclusione non superiore a tre anni anche se congiunta all'arresto;
b) nei confronti dei condannati alla reclusione superiore a tre anni dopo l'espiazione di almeno un quarto della pena;
c) nei casi di cui alla lettera b), nei confronti dei condannati alla reclusione per taluno dei delitti indicati nel comma 1 dell'articolo 79, dopo l'espiazione di metà della pena e, comunque, di almeno dieci anni; si applica la disposizione della lettera b) per i condannati per delitti compresi nel comma 1 dell'articolo 79, commessi prima del 13 maggio 1991;
d) nei confronti dei condannati all'ergastolo, dopo l'espiazione di almeno dieci anni.
5. Nei confronti dei soggetti che hanno riportato condanna o hanno assunto la
1. La partecipazione dei detenuti e degli internati alle occasioni di programmazione, monitoraggio e verifica delle attività trattamentali e di ambiti significativi della vita interna al carcere, deve essere incentivata al fine di ottenere un maggiore coinvolgimento e accrescere il senso di responsabilità individuale. Costituiscono un utile strumento di valorizzazione di tale diritto le rappresentanze previste dagli articoli 10, 17 e 36.
2. Le rappresentanze di cui al comma 1 sono nominate di regola per sorteggio secondo le modalità indicate dal regolamento interno dell'istituto.
1. In ogni istituto penitenziario sono tenuti, presso la biblioteca o altro locale cui i detenuti e gli internati possono
1. Negli istituti penitenziari l'isolamento continuo è ammesso:
a) quando è prescritto per ragioni sanitarie;
b) durante l'esecuzione della sanzione della esclusione dalle attività in comune;
c) per gli imputati durante le indagini preliminari per un tempo limitato e breve e se vi sono ragioni di cautela processuale: sia il tempo che le ragioni indicati devono essere specificati nel provvedimento della
2. L'isolamento diurno nei confronti dei condannati all'ergastolo non esclude l'ammissione degli stessi alle attività lavorative, nonché di istruzione e formazione diverse dai normali corsi frequentati dagli altri reclusi. I periodi di detenzione trascorsi in situazione di isolamento, anche se solo di fatto, diversi da quelle di cui alle lettere a) e b) del comma 1, sono computati sulla durata di tale sanzione. La esecuzione della stessa può essere sospesa nei casi in cui, per le condizioni fisiche o psichiche della persona, la esecuzione medesima non possa essere sostenuta senza rischi dall'interessato; si provvede ai sensi dell'articolo 684 del codice di procedura penale. La sanzione predetta deve essere posta in esecuzione sollecitamente e comunque prima che si sia avviato il percorso di reinserimento sociale con la fruizione dei benefìci, a cominciare dai permessi di risocializzazione.
3. Il regolamento specifica le modalità di attuazione dell'isolamento nei vari casi indicati al comma 1. Sono assicurate le normali condizioni di vita, di alimentazione, di igiene e di assistenza. Non deve essere compromesso il rispetto della dignità della persona.
4. La situazione di isolamento dei detenuti e degli internati deve essere oggetto di particolare attenzione, con adeguati controlli giornalieri nel luogo di isolamento, da parte sia di un medico, sia di un componente del gruppo di osservazione e trattamento, e con vigilanza adeguata da parte del personale del Corpo di polizia penitenziaria.
5. Al di fuori dei casi di cui al comma 4, non possono essere attuate forme di isolamento anche temporaneo. Particolarmente ciò non deve avvenire nei casi di cui al comma 6 dell'articolo 13 e più in generale nelle situazioni individuali di criticità descritte nell'articolo 124, nelle quali vanno ricomprese anche quelle di cosiddetto «isolamento volontario», non risolvibili
1. Le perquisizioni concernono la persona o i locali di vita dei detenuti e degli internati.
2. I detenuti e gli internati possono essere sottoposti a perquisizione personale, salvo che l'accertamento non possa essere eseguito con strumento di controllo non invasivo, per motivi di sicurezza, con le modalità stabilite nel regolamento. Il personale che vi partecipa deve essere dello stesso sesso della persona perquisita.
3. La perquisizione personale deve essere effettuata nel pieno rispetto della personalità. Solo in presenza di specifici e giustificati motivi la perquisizione può essere attuata con ispezione nelle parti intime della persona; al riguardo, la perquisizione attuata solo con denudamento e osservazione esterna delle parti intime viola il rispetto della personalità ed è vietata. L'utilizzazione di cani è possibile solo quando occorra per la ricerca di sostanze per il reperimento delle quali gli animali sono addestrati.
4. Dell'avvenuta perquisizione deve essere data adeguata documentazione che comprovi quanto previsto dai commi 1, 2 e 3 e le motivazioni relative, anche in merito alle ispezioni nelle parti intime e all'uso di cani.
5. Le perquisizioni nelle camere dei detenuti e degli internati e negli altri luoghi di uso comune nei quali si trovano cose di loro pertinenza sono effettuate con rispetto della dignità delle persone e senza produrre danni alle loro cose.
6. Il regolamento stabilisce quali sono le situazioni in cui si effettuano le perquisizioni ordinarie, sia personali sia dei luoghi.
7. Per procedere a perquisizioni fuori dei casi ordinari è necessario il provvedimento motivato del direttore dell'istituto.
1. I detenuti e gli internati possono rivolgere istanze o reclami orali o scritti, anche in busta chiusa:
a) al direttore dell'istituto, al provveditore regionale, al capo del dipartimento della amministrazione penitenziaria e al Ministro della giustizia;
b) al presidente della giunta regionale, al presidente della giunta provinciale, al sindaco, al garante dei diritti dei detenuti eventualmente nominato da regione, provincia e comune;
c) al magistrato di sorveglianza;
d) al Capo dello Stato.
2. Il reclamo proposto al magistrato di sorveglianza può avere ad oggetto un provvedimento adottato, la omissione di un provvedimento richiesto, la preclusione ad uno spazio trattamentale, la determinazione o il mantenimento di una situazione del reclamante che comportano la violazione di un diritto o una condizione del reclamante diversa da quella prevista dalla legge.
3. Il magistrato di sorveglianza decide anche sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti l'osservanza delle norme riguardanti:
a) l'attribuzione della qualifica lavorativa, la retribuzione, nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali;
b) i provvedimenti di irrogazione delle sanzioni disciplinari sotto il profilo della legittimità e del merito.
4. Il magistrato di sorveglianza provvede sul reclamo con ordinanza, nella quale, se accoglie il reclamo, indica quale
1. Il regime delle sanzioni è attuato in modo da stimolare il senso di responsabilità e la capacità di autocontrollo. Esso è adeguato alle condizioni fisiche e psichiche dei soggetti.
2. L'applicazione della sanzione tiene conto del programma di trattamento in corso e il programma stesso può essere modificato in conseguenza della sanzione applicata.
1. Le ricompense costituiscono il riconoscimento del senso di responsabilità dimostrato nella condotta personale e nelle attività organizzate negli istituti.
2. Le ricompense e gli organi competenti a concederle sono previsti dal regolamento.
1. I detenuti e gli internati non possono essere puniti per un fatto che non è espressamente previsto come infrazione dal regolamento.
2. Ai fini della configurazione di determinati illeciti penali e conseguentemente disciplinari, la camera di pernottamento del detenuto o dell'internato, anche se sottoposta a controllo visivo del personale penitenziario, non è luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico.
1. Nessuna sanzione può essere inflitta se non con provvedimento motivato dopo la contestazione dell'addebito all'interessato, il quale è ammesso ad esporre le proprie discolpe.
2. Nell'applicazione delle sanzioni bisogna tenere conto, oltre che della natura e della gravità del fatto, del comportamento e delle condizioni personali del soggetto. Devono essere acquisiti la relazione di osservazione e il programma di trattamento.
3. Le sanzioni sono eseguite nel rispetto della personalità.
4. Le infrazioni disciplinari possono dare luogo solo alle seguenti sanzioni:
a) richiamo del direttore;
b) ammonizione rivolta dal direttore;
c) esclusione da attività ricreative e sportive per non più di dieci giorni;
d) isolamento durante la permanenza all'aria aperta per non più di dieci giorni;
e) esclusione dalle attività in comune per non più di quindici giorni.
5. La sanzione della esclusione dalle attività in comune non può essere eseguita senza la certificazione scritta, rilasciata dal sanitario, attestante che il soggetto può sopportarla. Il soggetto escluso dalle attività in comune è sottoposto a costante controllo sanitario.
6. L'esecuzione della sanzione della esclusione dalle attività in comune è sospesa nei confronti delle donne gestanti e delle puerpere fino a sei mesi, e delle madri che allattano la propria prole fino ad un anno, qualora le stesse siano detenute o internate nonostante le disposizioni di legge vigenti in materia.
7. In caso di assoluta urgenza, determinata dalla necessità di prevenire danni a persone o a cose o l'insorgenza o la diffusione di disordini o in presenza di fatti di particolare gravità per la sicurezza e l'ordine dell'istituto, il direttore può disporre, in via cautelare, con provvedimento motivato, che il detenuto o l'internato, che ha commesso una infrazione sanzionabile con la esclusione dalle attività in comune, resti in una camera individuale, in attesa della convocazione del consiglio di disciplina. La durata della misura cautelare non può eccedere i cinque giorni ed è detratta dalla durata della sanzione eventualmente applicata.
8. Nel caso del comma 7, il direttore attiva e svolge al più presto il procedimento disciplinare.
1. Le sanzioni del richiamo e della ammonizione sono deliberate dal direttore.
1. Non è consentito l'impiego della forza fisica nei confronti dei detenuti e degli internati se non sia indispensabile per impedire atti di violenza o tentativi di evasione o per vincere la resistenza, anche passiva, all'esecuzione degli ordini impartiti.
2. La forza impiegata deve essere proporzionata alla attività violenta che è necessario reprimere e non deve essere accompagnata o seguita da atti aventi finalità punitive, intimidatorie e comunque degradanti. Quando sia necessario, possono essere usate manette durante l'intervento e per il tempo strettamente successivo allo stesso.
3. Il personale che, per qualsiasi motivo, ha fatto uso della forza fisica nei confronti dei detenuti o degli internati, deve immediatamente riferirne, con apposito verbale dell'accaduto, al direttore dell'istituto, il quale dispone, senza indugio, accertamenti sanitari e procede alle altre indagini del caso. Il verbale è trasmesso immediatamente al magistrato di sorveglianza
4. Gli agenti in servizio all'interno degli istituti non possono portare armi se non nei casi eccezionali in cui ciò è ordinato dal direttore.
1. I detenuti e gli internati hanno diritto ad essere assegnati in un istituto prossimo alla residenza della loro famiglia
1. Sono traduzioni tutte le attività di accompagnamento coattivo, da un luogo ad un altro, di soggetti detenuti, internati, fermati, arrestati o comunque in condizione di restrizione della libertà personale.
2. Le traduzioni dei detenuti e degli internati adulti sono eseguite, nel tempo più breve possibile, dal personale del Corpo di polizia penitenziaria, con le modalità stabilite dalle leggi e dai regolamenti interni e, se trattasi di donne, con l'assistenza di personale femminile.
3. Le traduzioni di soggetti che rientrano nella competenza dei servizi dei centri per la giustizia minorile sono effettuate dai contingenti del Corpo di polizia penitenziaria assegnati al settore minorile fino all'entrata in vigore dell'ordinamento penitenziario minorile, ai sensi dell'articolo 5, che deve prevedere anche una nuova e autonoma organizzazione del personale.
4. Nelle traduzioni sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità, nonché per evitare ad essi inutili disagi. L'inosservanza della presente disposizione costituisce comportamento valutabile ai fini disciplinari
1. La dimissione dei detenuti e degli internati è eseguita senza indugio dalla direzione dell'istituto in base ad ordine scritto della autorità competente.
2. Il direttore dell'istituto dà notizia della prevista dimissione, almeno tre mesi prima, al centro di servizio sociale per
1. Negli atti di stato civile relativi ai matrimoni celebrati e alle morti avvenute in istituti non si fa menzione dell'istituto. Le nascite sono registrate nell'ospedale di ricovero della madre.
2. La direzione dell'istituto deve dare immediata notizia del decesso di un detenuto o di un internato, oltre che ai familiari, all'autorità giudiziaria del luogo, a quella da cui il soggetto dipendeva e al Ministero della giustizia.
3. La salma è messa immediatamente a disposizione dei congiunti. Non può essere applicata per la salma del detenuto o dell'internato alcuna disciplina diversa da quella ordinaria.
1. È riconosciuto, in conformità all'articolo 27, terzo comma, della Costituzione, il diritto del condannato a che, verificandosi le condizioni poste dalla legge ordinaria, il protrarsi della realizzazione della pretesa punitiva venga riesaminato al fine di accertare se in effetti la quantità di pena espiata abbia o meno assolto positivamente al suo fine rieducativo.
2. Il sistema normativo deve tenere non solo presenti le finalità rieducative della pena, ma predisporre anche tutti i mezzi idonei a realizzarle e le forme atte a garantirle.
3. Al fine di cui al comma 2 sono stabilite le misure alternative alla detenzione o di prova controllata che, attraverso prescrizioni limitative, ma non privative, della libertà personale e l'apprestamento di forme di sostegno, siano idonee a funzionare come strumenti di controllo sociale e di promozione alla risocializzazione.
4. Il funzionamento del sistema previsto dal presente articolo deve essere assicurato attraverso la creazione e il mantenimento di una organizzazione adeguata a svolgere le funzioni di controllo e di assistenza indicate nel comma 3.
5. Quando il giudice competente accerta che il condannato si trova nelle condizioni, legali e di merito, previste dalla legge, deve ritenere venuta meno la ragione della prosecuzione della pena detentiva continuativa in carcere e disporre
1. Se la pena detentiva non supera tre anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, il detenuto o l'internato può essere affidato al servizio sociale fuori dall'istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare.
2. Il provvedimento di cui al comma 1 è adottato sulla base dei risultati della osservazione della personalità, condotta collegialmente per almeno un mese in istituto, nei casi in cui si può ritenere che il provvedimento stesso, anche attraverso le prescrizioni di cui al presente articolo, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.
3. L'affidamento in prova al servizio sociale può essere disposto senza procedere alla osservazione in istituto quando il condannato, dopo la commissione del reato, ha tenuto comportamento tale da consentire il giudizio di cui al comma 2. L'istanza è proposta al tribunale di sorveglianza
1. Quando è in esecuzione o deve essere eseguita una pena detentiva nella misura indicata al comma 1 dell'articolo 58, l'affidamento in prova al servizio sociale viene preferito alla esecuzione detentiva nei casi in cui il condannato è in condizioni critiche dal punto di vista psichico, pur essendo stato ritenuto capace di intendere e di volere, o si trova in condizioni di abbandono sociale per la carenza di legami e di riferimenti sociali.
2. Ai fini di cui al comma 1, si applicano le disposizioni dell'articolo 58, ma particolare cura è riservata alla realizzazione di rapporti stabili di presa in carico dei servizi pubblici e sociali e, se occorre, psichiatrici del territorio in cui la persona si trova o di quelli nel quale si opera l'inserimento o delle strutture o associazioni che operano la presa in carico per conto o in luogo dei citati servizi.
3. Nell'ambito dei rapporti di cui al comma 2, si provvede alla definizione e
1. Chi si trova in esecuzione della misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale può chiedere di essere autorizzato a recarsi fuori dal territorio dello Stato per un periodo o per più periodi determinati, quando ciò è indispensabile per esigenze di lavoro, di studio, di salute o di famiglia.
2. L'autorizzazione di cui al comma 1 è concessa dal magistrato di sorveglianza, previa verifica delle esigenze dichiarate, attraverso il centro di servizio sociale per adulti o altri organi pubblici dello Stato italiano o di quello in cui l'affidato si reca.
3. L'esito del periodo di permanenza dell'interessato fuori dal territorio dello Stato è verificato, analogamente a quanto disposto dal comma 2, attraverso l'organizzazione di lavoro, di studio, sanitaria o altra organizzazione a conoscenza della situazione familiare e personale dell'interessato.
4. Nell'ambito dei rapporti fra gli Stati dell'Unione europea possono essere stabilite,
1. La pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell'arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, quando trattasi di:
a) donna incinta o madre di prole di età non superiore ad anni dieci, con lei convivente;
b) padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole;
c) persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedono costanti contatti con i presìdi sanitari territoriali;
d) persona di età superiore a sessanta anni;
e) persona minore di anni ventuno per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro o di famiglia.
2. La detenzione domiciliare può essere applicata per l'espiazione della pena detentiva inflitta in misura non superiore a due anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, indipendentemente dalle condizioni di cui al comma 1, quando non ricorrono i presupposti per l'affidamento in prova al servizio sociale e sempre che tale misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati.
3. Quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al comma 1, può disporre la applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di durata di tale applicazione, termine che può essere prorogato. L'esecuzione della pena prosegue durante la esecuzione della detenzione domiciliare.
4. Se l'istanza di applicazione della detenzione domiciliare è proposta dopo che ha avuto inizio l'esecuzione della pena, il magistrato di sorveglianza, cui la domanda deve essere rivolta, può disporre l'applicazione provvisoria della misura, quando ricorrono i requisiti di cui ai commi 1, 2 e 3. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 58, comma 4.
5. Il tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare, fissa le modalità e i tempi di uscita dal luogo della detenzione domiciliare in riferimento ai motivi per cui la misura alternativa è stata concessa e, comunque, per agevolare il recupero di normali relazioni sociali e, in ogni caso, per consentire il soddisfacimento delle indispensabili esigenze di vita del soggetto. Determina e impartisce altresì le disposizioni per gli interventi del servizio sociale. La misura alternativa è eseguita previa accettazione delle prescrizioni e disposizioni da parte dell'interessato. Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente nel luogo in cui si svolge la detenzione domiciliare.
6. Il condannato nei confronti del quale è disposta la detenzione domiciliare non è sottoposto al regime penitenziario previsto
1. Le misure previste dagli articoli 58 e 61 possono essere applicate, anche oltre i limiti di pena ivi previsti, su istanza dell'interessato o del suo difensore, nei confronti di coloro che sono affetti da AIDS
1. Quando non ricorrono le condizioni di cui all'articolo 61, le condannate madri di prole di età non superiore ad anni dieci, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e alla assistenza dei figli, dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l'espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all'ergastolo.
2. In relazione alla possibilità prevista dal comma 1, gli operatori penitenziari attivano le risorse familiari e sociali di accoglienza, con particolare riferimento a quelle dei servizi socio-assistenziali competenti nel luogo di appartenenza della condannata e dei suoi familiari.
3. Per la condannata nei cui confronti è disposta la detenzione domiciliare speciale, nessun onere grava sull'amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l'assistenza medica della condannata che si trovi in tale condizione.
4. Il tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare speciale, fissa le modalità di attuazione, ai sensi di quanto stabilito dal comma 5 dell'articolo 61,
a) disporre la proroga del beneficio, se ricorrono i requisiti per l'applicazione della semilibertà di cui all'articolo 66;
b) disporre l'ammissione all'assistenza all'esterno dei figli minori di cui all'articolo 30, tenuto conto del comportamento dell'interessato nel corso della misura, desunto dalle relazioni redatte ai sensi dei commi 5 e 6, nonché della durata della misura e dell'entità della pena residua.
1. La condannata ammessa al regime della detenzione domiciliare speciale che rimane assente dal proprio domicilio, senza giustificato motivo, per non più di dodici ore, può essere proposta per la revoca della misura.
2. Se l'assenza si protrae per un tempo maggiore, la condannata è punita ai sensi dell'articolo 385, primo comma, del codice penale ed è applicabile la disposizione dell'ultimo comma dello stesso articolo.
3. La condanna per il delitto di evasione comporta la revoca del beneficio.
4. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano al padre detenuto, qualora la detenzione domiciliare è stata concessa a questi, ai sensi dell'articolo 63, comma 9.
1. Il regime di semilibertà consiste nella concessione al condannato e all'internato di trascorrere parte del giorno fuori dell'istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale.
2. I condannati e gli internati ammessi al regime di semilibertà sono assegnati in appositi istituti o apposite sezioni autonome di istituti ordinari e indossano abiti civili.
1. Possono essere espiate in regime di semilibertà la pena dell'arresto e la pena della reclusione non superiore a sei mesi, se il condannato non è affidato in prova al servizio sociale.
2. Fuori dai casi previsti dal comma 1, il condannato può essere ammesso al regime di semilibertà soltanto dopo l'espiazione di almeno metà della pena
1. Il magistrato di sorveglianza, su istanza del soggetto in regime di semilibertà interessato, può disporre che lo stesso, nel periodo in cui, secondo il programma di trattamento applicato, dovrebbe rientrare in istituto, resti, sottoposto a libertà vigilata, nel luogo, per il tempo e con le modalità indicati, nei periodi di malattia o di infortunio, certificati dal servizio sanitario pubblico, e di
1. Il provvedimento di semilibertà può essere in ogni tempo revocato quando il soggetto non si appalesa idoneo al trattamento.
2. Gli accertamenti sull'andamento del regime di semilibertà sono operati dal personale penitenziario, sia da quello educativo e del servizio sociale, sia da quello appartenente al Corpo di polizia penitenziaria. Non hanno funzioni specifiche di controllo in proposito gli altri organi di polizia, che se, nella loro attività di prevenzione generale, verificano situazioni problematiche concernenti i detenuti o gli internati in regime di semilibertà, ne riferiscono al magistrato di sorveglianza e al direttore dell'istituto penitenziario competenti.
3. Nei periodi di sottoposizione al regime della libertà vigilata del condannato o dell'internato in semilibertà di cui all'articolo 67, gli organi di polizia svolgono
1. Al condannato ammesso al regime di semilibertà possono essere concesse, per agevolare il suo reinserimento, una o più licenze di durata non superiore nel complesso
1. Agli internati può essere concessa una licenza di sei mesi nel periodo immediatamente precedente alla scadenza fissata per il riesame di pericolosità.
2. Agli internati può essere concessa, per gravi esigenze personali o familiari, una licenza di durata non superiore a quindici giorni; può essere inoltre concessa una licenza di durata non superiore a trenta giorni, una volta all'anno, al fine di favorirne il riadattamento sociale.
3. Agli internati ammessi al regime di semilibertà possono inoltre essere concesse le licenze previste dal comma 1 dell'articolo 69.
4. Durante la licenza l'internato è sottoposto al regime della libertà vigilata.
5. Se l'internato durante la licenza trasgredisce agli obblighi impostigli, la licenza può essere revocata, anche senza la revoca del regime di semilibertà.
6. All'internato che rimane assente dall'istituto per oltre tre ore dallo scadere della licenza, senza giustificato motivo, sono applicabili le disposizioni dell'articolo 68.
1. Il tempo trascorso dal condannato o dall'internato in permesso o in licenza è computato a ogni effetto nella durata delle
1. Il condannato a pena detentiva che, durante il tempo di esecuzione della pena, ha manifestato costanti progressi nel trattamento, tali da fare ritenere che egli è ravveduto e che non commetterà altri reati, può essere ammesso alla liberazione condizionale se vi sono le condizioni per il suo corretto reinserimento sociale.
2. Il condannato a pena detentiva temporanea può essere ammesso alla liberazione condizionale, ferma restando la disposizione di cui al comma 7 dell'articolo 67:
a) se ha scontato almeno trenta mesi e, comunque, almeno metà della pena in esecuzione e il rimanente della medesima non supera i cinque anni; per le pene superiori a dieci anni, il residuo di pena non deve essere superiore a cinque anni più un quarto della pena in esecuzione eccedente i dieci anni; ferme restando le disposizioni di cui alla presente lettera, nei casi di condannati per delitti di cui al comma 1 dell'articolo 79, commessi dopo il 13 maggio 1991, devono essere espiati almeno i due terzi della pena in esecuzione;
b) quando è stato dichiarato, con la sentenza di condanna, recidivo ai sensi dei capoversi dell'articolo 99 del codice penale,
3. Il condannato all'ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno ventisei anni di pena.
4. La concessione della liberazione condizionale è subordinata all'adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che il condannato dimostri di trovarsi nella impossibilità di adempierle.
5. Le preclusioni ai benefìci penitenziari, salva collaborazione con la giustizia, di cui al primo periodo del comma 1 dell'articolo 79, non si applicano alla liberazione condizionale.
6. La liberazione condizionale è attuata con la sottoposizione dell'interessato, per un periodo uguale a quello della pena ancora da scontare o di anni cinque, se si tratta di condannato all'ergastolo, alle prescrizioni contenute nella ordinanza ammissiva alla liberazione condizionale. Il verbale di accettazione della sottoposizione alle prescrizioni, in difetto del quale la liberazione condizionale non è eseguita, è redatto dinanzi all'organo penitenziario da cui l'interessato dipende.
7. La sottoposizione alle prescrizioni non configura la misura di sicurezza della libertà vigilata. Il numero 2) del primo comma dell'articolo 230 del codice penale è abrogato.
8. Le prescrizioni devono contenere le indicazioni relative ai rapporti che l'interessato deve stabilire e mantenere con l'organo di polizia e con il centro di servizio sociale per adulti, che seguono la misura e presso i quali si deve presentare senza ritardo, le indicazioni relative alle presentazioni periodiche dinanzi agli stessi organi, nonché le indicazioni sulla dimora, sulla libertà di spostamento e sull'eventuale obbligo di permanenza per tempi determinati presso la dimora, sullo svolgimento di attività di lavoro o di altra attività comunque utile al reinserimento sociale. Nelle prescrizioni può essere anche previsto che, durante tutto o parte del periodo di liberazione condizionale, l'interessato non soggiorni in uno o più comuni
1. Nei confronti del condannato ammesso alla liberazione condizionale resta sospesa l'esecuzione della misura di sicurezza detentiva applicata al condannato con la sentenza di condanna o con provvedimento successivo.
2. La liberazione condizionale è revocata se l'interessato viene condannato per delitto non colposo commesso nel corso della misura ovvero trasgredisce le prescrizioni stabilite per la esecuzione della stessa, quando la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita e alle violazioni delle prescrizioni, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio. Con il provvedimento di revoca il tribunale di sorveglianza determina la pena detentiva ancora da espiare, tenendo conto del tempo trascorso in liberazione condizionale, nonché delle restrizioni di libertà subite dal condannato e del suo comportamento durante tale periodo.
3. Decorso tutto il tempo della pena inflitta ovvero decorsi cinque anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale, se trattasi di condannato all'ergastolo, l'esito positivo del periodo di
1. L'applicazione di una delle misure alternative alla detenzione previste dal presente capo, esclusa la liberazione anticipata, determina la sospensione dell'esecuzione ed impedisce la eseguibilità delle misure di sicurezza, anche detentive, nonché delle misure di prevenzione, ivi compresa quella di cui all'articolo 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni, e di ogni altra misura amministrativa nei confronti del condannato che interferisca sulla fruizione della misura alternativa.
2. In caso di esito positivo delle misure alternative dell'affidamento in prova al servizio sociale, ivi comprese quelle degli articoli 59 e 60, e della liberazione condizionale, gli effetti di cui al comma 13 dell'articolo 58 e al comma 3 dell'articolo 73, determinano, in conseguenza della revoca delle misure di sicurezza e con riferimento all'articolo 10 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, la cessazione degli effetti delle misure di prevenzione disposte nei confronti del condannato, ivi compresa
1. Quando durante l'attuazione dell'affidamento in prova al servizio sociale o della detenzione domiciliare o della detenzione domiciliare speciale o del regime di semilibertà sopravviene un titolo di esecuzione di altra pena detentiva, il direttore dell'istituto penitenziario o il direttore del centro di servizio sociale per adulti informa immediatamente il magistrato di sorveglianza. Se questi, tenuto conto del cumulo delle pene, anche se non
1. Se l'affidato in prova al servizio sociale o l'ammesso al regime di semilibertà o di detenzione domiciliare o di detenzione domiciliare speciale pone in essere comportamenti tali da determinare la revoca della misura, il magistrato di sorveglianza nella cui giurisdizione essa è in corso ne dispone con decreto motivato la provvisoria sospensione, ordinando l'accompagnamento del trasgressore in istituto. Trasmette quindi immediatamente gli atti al tribunale di sorveglianza per le decisioni di competenza. Il provvedimento di sospensione del magistrato di sorveglianza cessa di avere efficacia se la decisione del tribunale di sorveglianza non interviene entro trenta giorni dalla ricezione degli atti.
1. Le disposizioni degli articoli 75 e 76 si applicano anche nei confronti del condannato in esecuzione della liberazione condizionale.
1. Al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all'opera
1. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi di risocializzazione e le misure alternative alla detenzione previste dal
a) nei casi di cui al primo, secondo e terzo periodo del comma 1, presso il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente nel luogo di detenzione del condannato, che può essere integrato dal direttore dell'istituto in cui lo stesso si trova, e dell'analogo organo competente nel luogo di commissione del reato;
b) nei casi di cui al quarto periodo del comma 1, ai questori competenti del luogo di detenzione del condannato e del luogo di commissione dei reati.
5. Quando il comitato di cui al comma 4, lettera a), ritiene che sussistono particolari esigenze di sicurezza ovvero che i collegamenti potrebbero essere mantenuti con organizzazioni operanti in ambiti non locali o extranazionali, ne dà comunicazione al giudice e il termine di cui al comma 2 è prorogato di ulteriori trenta giorni al fine di acquisire elementi ed informazioni da parte dei competenti organi centrali.
6. I commi 3, 4 e 5 si applicano anche alla liberazione condizionale.
1. I limiti di pena previsti dalle disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 29, al comma 4 dell'articolo 41, al comma 2 dell'articolo 66 e alla lettera a) del comma 2 dell'articolo 72, concernenti le persone condannate per taluno dei delitti indicati al comma 1 dell'articolo 79, non si applicano a coloro che, anche dopo la condanna, si sono adoperati per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero hanno aiutato concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura degli autori dei reati.
2. Le condotte indicate nel comma 1 sono accertate dal tribunale di sorveglianza, assunte le necessarie informazioni e sentito il pubblico ministero presso il giudice competente per i reati in ordine ai quali è stata prestata la collaborazione.
1. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi di risocializzazione e le misure alternative di cui agli articoli 58, 61 e 65 non possono essere concessi al condannato per uno dei delitti di cui al comma 1 dell'articolo 79:
a) quando ha posto in essere una condotta punibile ai sensi dell'articolo 385 del codice penale;
b) quando le misure di cui all'alinea sono state revocate a seguito di una condotta colpevole dell'interessato;
c) quando è pronunciata condanna definitiva nei confronti dell'interessato per un delitto doloso, punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, commesso durante la fruizione di uno dei benefìci previsti dall'alinea.
2. Il divieto di cui al comma 1 opera nell'ambito della stessa esecuzione e non concerne i periodi di custodia cautelare o la esecuzione di misure alternative relative ad altre pene; se queste sono comprese nel complesso di pene nella attuale esecuzione contestuale, l'esecuzione della pena per cui opera il divieto di cui al comma 1 deve considerarsi espiata per prima.
3. Il divieto di cui al comma 1 opera:
a) nella ipotesi di cui alla lettera a) del comma 1, per un periodo di tre anni dal momento in cui è ripresa la esecuzione della custodia cautelare o della pena; tale periodo è ridotto a due anni se l'interessato si costituisce volontariamente in carcere entro dieci giorni dalla consumazione della evasione;
b) nella ipotesi di cui alla lettera b) del comma 1, per un periodo di tre anni dalla data della condotta colpevole per cui è stata pronunciata la revoca della misura alternativa o, se tale data non è definita, da quella della pronuncia di revoca;
c) nella ipotesi di cui alla lettera c) del comma 1, per un periodo di tre anni dalla data della commissione del delitto se la pena inflitta non è superiore a due anni di reclusione, e per un periodo di cinque anni dalla stessa data, se la pena inflitta è superiore a due anni di reclusione.
4. Nella ipotesi di cui alla lettera c) del comma 1, il divieto ivi previsto opera anche se è emessa sentenza ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale.
5. Quando, nelle ipotesi di cui alle lettere a) e c) del comma 1, il procedimento penale relativo è pendente per l'evasione o per un delitto doloso punito con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza competenti possono sospendere l'esecuzione del lavoro all'esterno o l'esecuzione o la concessione dei permessi premio o l'esecuzione o la concessione della misura alternativa fino alla pronuncia della sentenza definitiva.
1. Il settimo comma dell'articolo 172 del codice penale è abrogato. Il secondo periodo del primo comma dell'articolo 173 del codice penale è soppresso.
2. La revoca della sospensione condizionale della pena di cui all'articolo 163 del codice penale, dell'indulto e della grazia, dell'affidamento in prova al servizio sociale, della liberazione condizionale e della liberazione anticipata, di cui agli articoli 58, 72 e 78 della presente legge, nonché della sospensione della esecuzione della pena detentiva e dell'affidamento in prova in casi particolari previsti dagli articoli 90 e 94 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, deve essere disposta entro cinque anni dal verificarsi della causa che determina la revoca. Se tale causa è rappresentata da una sentenza di condanna, il termine predetto decorre dal passaggio in giudicato della medesima.
3. L'ordine di esecuzione della pena di cui al comma 2 deve essere emesso e trasmesso per la esecuzione agli organi competenti, che devono provvedere senza alcun ritardo, e comunque entro tre mesi dalla comunicazione dei provvedimenti di cui al medesimo comma 2.
4. Nei casi in cui la revoca del beneficio si verifica automaticamente per effetto della legge, l'ordine di esecuzione della pena di cui al comma 2 deve essere emesso e trasmesso per la esecuzione agli organi competenti entro il termine di cinque anni dalla revoca. Entro tale termine
1. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi di risocializzazione e la semilibertà, nonché la liberazione condizionale possono essere concessi anche in deroga alle disposizioni vigenti, ivi comprese quelle relative ai limiti di pena di cui agli articoli 29, 41, 66 e 72 quando sono decorsi i periodi di tempo, indicati al comma 2, dalla commissione dei reati per cui sono state inflitte la condanna o le condanne. L'ammissione è disposta in base ai risultati della osservazione condotta collegialmente in istituto. Viene valutato, in particolare, in relazione al tempo trascorso dalla commissione dei reati, se non vi sia la probabilità che il condannato commetta altri reati.
2. La disposizione di cui al comma 1 si applica: a) quando sono decorsi dieci anni dalla commissione dei reati e la pena inflitta con la sentenza di condanna non è superiore a cinque anni; b) quando sono decorsi quindici anni dalla commissione dei reati e la pena inflitta non è superiore a dieci anni; c) quando sono decorsi venti anni dalla commissione dei reati e la pena inflitta è superiore a dieci anni; d) quando sono decorsi venticinque anni ed è stata inflitta la pena dell'ergastolo. I termini di cui al presente comma sono rispettivamente ridotti a cinque, dieci, quindici e venti anni, se il condannato ha già espiato oltre un quarto della pena in esecuzione.
3. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano nei casi di cui all'articolo 79, comma 1, primo periodo.
1. Nei confronti dei sottoposti alla libertà vigilata, ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 228 del codice penale, il servizio sociale svolge interventi di sostegno e di assistenza al fine del loro reinserimento sociale.
1. Il debito per le spese del procedimento e per il mantenimento nei periodi detentivi è rimesso nei confronti dei condannati e degli internati che hanno tenuto regolare condotta.
2. Per chi è stato sottoposto a detenzione o è tuttora detenuto, la regolarità della condotta è valutata con riferimento alla condotta attuale del soggetto, anche se in stato di libertà. Per chi non è stato sottoposto a detenzione, la valutazione viene effettuata con riferimento alla condotta attuale.
3. La condotta si considera regolare quando la persona manifesta costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento, volti a realizzare il proprio inserimento sociale.
1. Gli interventi alternativi alla detenzione e gli altri benefìci di cui al presente capo possono essere richiesti dagli interessati, nonché dai prossimi congiunti e dai loro difensori e possono essere proposti dal consiglio di disciplina.
1. Dei provvedimenti previsti dal presente capo e adottati dal magistrato o dal tribunale di sorveglianza, escluso quello di cui all'articolo 85, è data immediata comunicazione all'autorità provinciale di pubblica sicurezza a cura della cancelleria.
1. Nel casellario giudiziale sono iscritti i provvedimenti del tribunale di sorveglianza e del magistrato di sorveglianza relativi alla concessione e alla revoca delle misure alternative alla pena detentiva previste dal presente capo.
1. L'articolo 660 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:
«Art. 660. - (Esecuzione delle pene pecuniarie). - 1. Le condanne a pene pecuniarie sono eseguite nei modi stabiliti dalle leggi e dai regolamenti vigenti in materia.
2. Quando è accertata l'impossibilità di esazione della pena pecuniaria o di una rata di essa, il pubblico ministero competente per l'esecuzione emette provvedimento di conversione della pena pecuniaria nel trattamento sanzionatorio sostitutivo dell'affidamento in prova al servizio sociale ai sensi dell'articolo 102, comma 1, della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni, e lo trasmette al magistrato di sorveglianza del luogo di residenza del condannato.
3. Il magistrato di sorveglianza, sentito l'interessato, dispone la esecuzione dell'affidamento in prova al servizio sociale ai sensi dell'articolo 107 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni. Se l'interessato lo richiede, assumendo di trovarsi in una situazione di solo temporanea insolvenza, il magistrato di sorveglianza, prima di adottare i provvedimenti indicati, può disporre la rateizzazione della pena ai sensi dell'articolo 133-ter del codice penale, se essa non è stata disposta con la sentenza di condanna, ovvero può differire la esecuzione per un tempo non superiore a sei mesi e alla scadenza di tale termine, se l'insolvenza perdura, prorogare il differimento per lo stesso tempo. Ai fini della estinzione della pena per decorso del tempo, non si tiene
1. L'articolo 678 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:
«Art. 678. - (Procedimento di sorveglianza). - 1. Il tribunale di sorveglianza nelle materie di sua competenza, salvo non sia diversamente disposto, e il magistrato di sorveglianza nelle materie attinenti ai
1. L'articolo 102 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è sostituito dal seguente:
«Art. 102. - (Conversione di pene pecuniarie). - 1. Le pene della multa e dell'ammenda non eseguite per insolvibilità del condannato sono convertite, ai sensi dell'articolo 660 del codice di procedura penale, nell'affidamento in prova al servizio sociale per i seguenti periodi:
a) mesi uno per le pene della multa fino a euro 500 e dell'ammenda fino a euro 1.000;
b) mesi tre per le pene della multa fino a euro 10.000 e dell'ammenda superiori a euro 1.000;
c) mesi sei per le pene della multa superiori a euro 10.000;
d) mesi nove quando vi è concorso di pene della multa e le stesse superano complessivamente euro 25.000.
2. Il condannato può sempre fare cessare la esecuzione della pena convertita pagando la multa o l'ammenda, dedotta la somma proporzionalmente corrispondente alla parte della pena convertita già eseguita fissata in sede di conversione».
2. Gli articoli 103 e 105 della legge 24 novembre 1981, n. 689, sono abrogati.
1. L'articolo 107 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è sostituito dal seguente:
«Art. 107. - (Contenuto del provvedimento di conversione della pena pecuniaria).
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2. Il magistrato di sorveglianza, sentito il condannato, procede ai sensi dell'articolo 678 del codice di procedura penale, alla esecuzione del provvedimento di affidamento in prova al servizio sociale di cui al comma 1 dell'articolo 106, detta le prescrizioni che il soggetto deve seguire in ordine ai suoi rapporti con il servizio sociale e agli altri aspetti relativi all'affidamento in prova previa verifica, da parte dello stesso servizio sociale, della situazione dell'interessato in ordine al suo inserimento sociale, familiare e lavorativo.
3. Nel provvedimento di ammissione alla pena pecuniaria è anche previsto lo svolgimento di attività di volontariato o di lavori socialmente utili, in modo comunque che lo svolgimento di questi non ostacoli lo sviluppo dell'inserimento sociale del condannato e in particolare lo svolgimento dell'attività lavorativa da lui effettivamente svolta, necessaria per soddisfare le sue indispensabili esigenze di vita.
4. Nel caso di cui ai commi 4 e seguenti dell'articolo 660 del codice di procedura penale, il magistrato di sorveglianza provvede contestualmente anche alla conversione della pena in affidamento in prova al servizio sociale.
5. Il provvedimento di affidamento in prova è trasmesso al centro di servizio sociale per adulti territorialmente competente per la redazione del verbale di sottoposizione alle prescrizioni.
6. Nel corso dell'affidamento in prova le prescrizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza.
7. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita.
8. La funzione di controllo sul rispetto delle prescrizioni deve essere assolta dai
1. L'articolo 108 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è sostituito dal seguente:
«Art. 108. - (Inosservanza delle prescrizioni). - 1. Al termine dell'affidamento in prova sostitutivo della pena pecuniaria, questa si considera eseguita, salvo quanto disposto dal presente articolo.
2. Sempre al termine dell'affidamento in prova, se sono state segnalate violazioni delle prescrizioni, il magistrato di sorveglianza, in ordine alle stesse, valuta, con riferimento alle restrizioni della libertà del soggetto, agli impegni da lui assunti e alla sua complessiva risposta alle prescrizioni, se sia stato egualmente mantenuto un margine di maggiore afflittività rispetto alla originaria sanzione congruo in relazione al trattamento sanzionatorio sostitutivo. Se la valutazione è positiva, la pena si considera eseguita.
3. Se la valutazione di cui al comma 2 è negativa, il magistrato di sorveglianza ridetermina, con riferimento ai tempi e all'andamento della prova, il periodo di affidamento in prova che deve essere ancora eseguito, entro i limiti del periodo di affidamento in prova inizialmente applicato,
1. All'articolo 28 del codice penale, è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«L'interdizione dai pubblici uffici non preclude lo svolgimento presso amministrazioni pubbliche di semplici mansioni d'ordine, nonché la prestazione d'opera meramente materiale, non trattandosi di attività di pubblico servizio».
1. L'articolo 32 del codice penale è abrogato.
2. I commi 1 e 2 dell'articolo 85 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono abrogati.
1. Dopo il comma 2 dell'articolo 662 del codice procedura penale sono aggiunti i seguenti:
«2-bis. Le pene accessorie sono eseguite subito dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna che le prevede o a cui, comunque, conseguono, contestualmente alla esecuzione della condanna nelle altre sue parti immediatamente eseguibili.
2-ter. Il periodo stabilito per la esecuzione delle pene accessorie decorre dalla data dell'atto di trasmissione di cui al comma 1».
1. L'articolo 679 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:
«Art. 679. - (Misure di sicurezza). - 1. Quando una misura di sicurezza diversa dalla confisca è stata, fuori dai casi previsti dall'articolo 312, ordinata con sentenza o deve essere ordinata successivamente, il magistrato di sorveglianza, su richiesta del pubblico ministero o di ufficio, accerta se l'interessato è persona socialmente pericolosa e adotta i provvedimenti conseguenti, premessa, ove occorra, la dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato. Provvede, altresì, su richiesta del pubblico ministero, dell'interessato, del suo difensore o di ufficio su ogni questione relativa nonché sulla revoca delle dichiarazioni di abitualità, di professionalità e di tendenza a delinquere.
1. L'articolo 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, è abrogato.
1. A richiesta dell'interessato, quando, a causa di una sentenza o di altro provvedimento del giudice penale, una norma di legge preclude allo stesso interessato l'iscrizione in un registro o in un albo professionale o la ammissione a un provvedimento autorizzativo, dai quali deriva la possibilità di svolgere una attività lavorativa o comunque utile al suo reinserimento sociale, il magistrato di sorveglianza esprime il proprio nulla osta a che l'ente o l'organo competente possa provvedere nel merito nonostante la preclusione prevista dalla legge.
2. Il provvedimento del magistrato di sorveglianza di cui al comma 1 è adottato con decreto motivato previa verifica, a cura del centro di servizio sociale per adulti e, ove occorra, anche degli organi di polizia, della situazione e condotta attuali del richiedente e della utilità dell'intervento richiesto al fine del suo inserimento lavorativo e sociale.
1. La esecuzione di una pena, in ogni sua parte, compresa la pena pecuniaria, anche se da porre ancora in esecuzione, o di una misura di sicurezza giustificano, anche nei casi non è stato emesso provvedimento autorizzativo ai sensi del comma 2 dell'articolo 1, la presenza del cittadino straniero nello Stato, nel quale, pertanto, può essere inserito regolarmente in attività lavorativa, e, se libero, può anche avere regolare domicilio o residenza. Il cittadino straniero può, inoltre, essere iscritto e frequentare corsi scolastici di ogni livello e fruire, se ne ricorrono le condizioni, dei benefìci previsti.
2. All'esito delle esecuzioni di cui al comma 1, il magistrato di sorveglianza, ove sia stata disposta la espulsione dallo Stato del cittadino straniero, può decidere in merito alla stessa, ai sensi dei commi 2, 3 e 4 dell'articolo 679 del codice di procedura penale, come sostituito dalla presente legge, tenendo conto della sua partecipazione all'opera di rieducazione svolta.
1. Nelle assunzioni al lavoro nel settore privato, anche attraverso concorsi o corsi formativi, non può essere richiesta certificazione o autocertificazione relativa ai precedenti penali del soggetto interessato.
1. Gli uffici di sorveglianza sono costituiti nelle sedi di cui alla tabella A allegata alla presente legge e hanno giurisdizione sulle circoscrizioni dei tribunali in essa indicati.
2. Agli uffici di sorveglianza, per l'esercizio delle funzioni rispettivamente elencate negli articoli 103, 104 e 105, sono assegnati magistrati di cassazione, di appello e di tribunale, nonché personale del ruolo delle cancellerie e segreterie giudiziarie e personale esecutivo e subalterno. Nella assegnazione dei magistrati si tiene conto della specifica preparazione in materia penitenziaria, acquisita sia con la frequenza di corsi di formazione e studio relativi alla stessa materia, sia con l'attività giudiziaria svolta presso gli uffici e i tribunali di sorveglianza, sia con attività istituzionali o di fatto svolte presso istituti o centri di servizio sociale penitenziari.
3. Con decreto del presidente della corte di appello può essere temporaneamente destinato ad esercitare le funzioni del magistrato di sorveglianza mancante o impedito un giudice avente la qualifica di magistrato di cassazione, di appello o di tribunale.
4. I magistrati che esercitano funzioni di sorveglianza non devono essere adibiti ad altre funzioni giudiziarie.
5. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, vengono definiti nelle sedi competenti, previa verifica dell'effettivo carico di lavoro, gli organici dei magistrati e del personale degli uffici di sorveglianza. Tali organici sono sottoposti a revisione periodica: entro tre anni, la prima volta, e ogni cinque anni successivamente.
6. Gli organici degli uffici del magistrato di sorveglianza sono calcolati in relazione al numero delle persone detenute
1. Il magistrato di sorveglianza vigila sulla organizzazione degli istituti penitenziari e prospetta al Ministro della giustizia le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento penitenziario.
2. Esercita, altresì, la vigilanza diretta ad assicurare che l'esecuzione della custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti.
3. Sovrintende alla esecuzione delle misure di sicurezza personali.
4. Provvede al riesame della pericolosità ai sensi del primo e del secondo comma dell'articolo 208 del codice penale, nonché alla applicazione, esecuzione, trasformazione o revoca, anche anticipata, delle misure di sicurezza. Provvede, altresì, in occasione dei provvedimenti anzidetti o separatamente, alla eventuale revoca della dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza, di cui agli articoli 102, 103, 104, 105 e 108 del codice penale.
1. Sulla istanza di concessione della liberazione anticipata, il magistrato di sorveglianza provvede, senza la presenza delle parti, con decreto, che è comunicato o notificato senza ritardo all'interessato, al suo difensore e al pubblico ministero.
2. Avverso il decreto di cui al comma 1 il difensore, l'interessato e il pubblico ministero possono, entro dieci giorni dalla comunicazione o notificazione, proporre reclamo al tribunale di sorveglianza competente
1. In ciascun distretto di corte di appello e in ciascuna circoscrizione territoriale di sezione distaccata di corte di appello è costituito il tribunale di sorveglianza, competente per l'affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare, la detenzione domiciliare speciale, la semilibertà, la liberazione condizionale, la revoca o la cessazione dei suddetti benefìci, il rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione delle pene detentive ai sensi degli articoli 146 e 147, primo comma, numeri 1), 2) e 3), del codice penale, nonché per ogni altro provvedimento ad esso attribuito dalla legge.
2. Il tribunale di sorveglianza decide inoltre in sede di appello nei casi di cui all'articolo 680 del codice di procedura penale e in sede di reclamo nei casi previsti dalla legge. Il magistrato di sorveglianza che ha emesso il provvedimento impugnato non fa parte del collegio.
3. Il tribunale di sorveglianza è composto da tutti i magistrati di sorveglianza in servizio nel distretto o nella circoscrizione territoriale della sezione distaccata di corte di appello e da esperti scelti fra le categorie indicate per gli esperti dell'osservazione e trattamento, nonché fra docenti di scienze criminalistiche.
1. Le funzioni di presidente del tribunale di sorveglianza sono conferite a un magistrato di cassazione o, per i tribunali istituiti nelle sezioni distaccate di corte di appello, a un magistrato di appello.
2. Il presidente del tribunale di sorveglianza, fermo restando l'espletamento delle funzioni di magistrato di sorveglianza nell'ufficio di appartenenza, provvede:
a) a dirigere e ad organizzare la attività del tribunale di sorveglianza;
b) a coordinare, in via organizzativa, in funzione del disbrigo degli affari di competenza del tribunale, l'attività degli uffici di sorveglianza compresi nella giurisdizione del tribunale medesimo;
c) a disporre le applicazioni dei magistrati e del personale ausiliario nell'ambito dei vari uffici di sorveglianza nei casi di assenza, impedimento o di urgenti necessità di servizio;
d) a richiedere al presidente della corte di appello la emanazione dei provvedimenti di cui al comma 3 dell'articolo 102;
e) a proporre al Consiglio superiore della magistratura la nomina degli esperti componenti del tribunale e a compilare le tabelle per gli emolumenti loro spettanti;
f) a svolgere tutte le altre attività a lui riservate dalla legge e dai regolamenti.
1. Le denominazioni «sezione di sorveglianza» e «giudice di sorveglianza» di cui alle leggi vigenti sono rispettivamente sostituite dalle seguenti: «tribunale di sorveglianza» e «magistrato di sorveglianza».
2. Per il funzionamento del tribunale di sorveglianza nonché degli uffici di sorveglianza di cui all'articolo 102, si provvede con assegnazioni dirette di fondi e di attrezzature mediante prelievo delle somme necessarie dalle apposite unità previsionali di base del bilancio di previsione del Ministero della giustizia.
1. Quando perviene al tribunale o al magistrato di sorveglianza istanza o richiesta o si deve procedere d'ufficio, deve
1. Nei tribunali di sorveglianza presso i quali è pendente, in attesa di fissazione dell'udienza, un numero di procedure superiore alla metà di quelle definite nel corso dell'anno precedente, sono istituite apposite sezioni stralcio per la definizione delle procedure pendenti.
2. Il presidente del tribunale di sorveglianza dirige ed organizza anche l'attività della sezione stralcio. Può altresì disporre, compatibilmente con la dimensione del lavoro sopravvenuto, che si proceda, nella composizione ordinaria dell'ufficio, alla decisione di parte delle procedure pendenti.
3. Le assegnazioni delle procedure alle udienze dinanzi alle sezioni stralcio sono stabilite seguendo l'ordine cronologico di iscrizione, salvo non ricorrano situazioni di urgenza di singole procedure.
4. Le sezioni stralcio sono composte da un magistrato di sorveglianza, per il quale deve essere osservata la disposizione del comma 6 dell'articolo 105, che assume la funzione di presidente, e da tre esperti componenti del tribunale di sorveglianza. Con le modalità previste dal presente
1. Gli istituti per adulti dipendenti dalla amministrazione penitenziaria si distinguono in:
a) istituti per la custodia cautelare;
b) istituti per la esecuzione delle pene;
c) istituti per la esecuzione delle misure di sicurezza.
2. I centri di osservazione sono soppressi.
1. Gli istituti per la custodia cautelare sono le case circondariali.
2. Le case circondariali assicurano la custodia degli imputati a disposizione di
1. Gli istituti per la esecuzione delle pene detentive della reclusione sono le case di reclusione.
2. Sezioni di casa di reclusione possono essere istituite presso le case circondariali.
3. Per esigenze particolari, e nei limiti e con le modalità previste dal regolamento, i condannati in esecuzione di pena detentiva possono essere assegnati alle case circondariali. In tali istituti è anche eseguita la pena dell'arresto.
1. Possono essere istituite case territoriali di reinserimento sociale in ambito comunale. Tali istituti devono essere di dimensioni limitate, di capienza da un minimo di dieci persone a un massimo di quaranta.
2. Le case territoriali possono essere istituite anche nei comuni in cui sono presenti gli istituti di cui agli articoli 111 e 112.
3. Le case territoriali possono accogliere:
a) i detenuti e gli internati destinatari dei progetti collettivi relativi a gruppi di persone in condizioni particolari, di cui ai capi II e III del titolo IV;
b) le persone ammesse alla semilibertà o al lavoro all'esterno, nonché alla semidetenzione;
c) i condannati in espiazione di pena detentiva non superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena.
4. Le case territoriali sono istituite dal Ministro della giustizia, su proposta della regione, che la formula sentiti il comune o i comuni interessati. La proposta prevede la sede, le modalità di realizzazione, le risorse organizzative necessarie, il collegamento con i progetti collettivi di cui alla lettera a) del comma 3 e la concreta indicazione delle altre possibili utilizzazioni di cui al medesimo comma 3, lettere b) e c).
5. L'assegnazione dei detenuti e degli internati alle case territoriali è di competenza del provveditore regionale della amministrazione penitenziaria, che ne ha anche la vigilanza.
6. Direttore delle case territoriali è il sindaco del comune o un delegato dello stesso. Il personale che cura la gestione delle case territoriali è dipendente dal comune e assunto dallo stesso con concorso pubblico, secondo le regole stabilite dalla regione anche in ordine alle unità di personale necessarie e alla disciplina normativa e retributiva del rapporto di lavoro.
7. Presso le case territoriali svolgono la loro attività operatori di rete che seguono la realizzazione dei programmi di reinserimento sociale; anche per tali soggetti la regione stabilisce le modalità, i tempi e il regime giuridico dei rapporti con la struttura. Ove occorra svolgono, per tempi limitati, le funzioni di loro competenza presso le case territoriali gli educatori assegnati agli istituti ordinari, esistenti nella provincia nella quale si trova la casa territoriale. Gli operatori dei centri di servizio sociale per adulti svolgono le funzioni di loro competenza nella esecuzione delle misure giuridiche utilizzate.
8. La regione mantiene, attraverso un apposito servizio, la supervisione in ordine alle case territoriali comprese nel suo territorio.
9. I programmi di trattamento nei casi di cui alle lettere a) e b) del comma 3 sono predisposti dalla direzione e dagli operatori
1. Gli istituti per la esecuzione delle misure di sicurezza si distinguono in:
a) colonie agricole;
b) case di lavoro;
c) case di cura e custodia;
d) ospedali psichiatrici giudiziari.
2. Negli istituti di cui al presente articolo si eseguono le misure di sicurezza rispettivamente previste dai numeri 1), 2) e 3) del secondo comma dell'articolo 215 del codice penale.
3. Possono essere istituite:
a) sezioni per la esecuzione delle misure di sicurezza della colonia agricola presso una casa di lavoro e viceversa;
b) sezioni per la esecuzione delle misure di sicurezza della casa di cura e custodia presso un ospedale psichiatrico giudiziario;
c) sezioni per la esecuzione delle misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro presso le case di reclusione.
1. La costituzione, la trasformazione e la soppressione degli istituti penitenziari nonché delle sezioni sono disposti con decreto del Ministro della giustizia.
2. Presso la direzione generale a ciò delegata del dipartimento della amministrazione
1. Agli istituti penitenziari accedono tutti coloro che vi svolgono le loro funzioni, compresi il capo del dipartimento della amministrazione penitenziaria e i provveditori regionali della stessa, nonché i funzionari da questi delegati appartenenti al dipartimento e ai provveditorati.
2. Gli istituti penitenziari possono essere visitati senza autorizzazione da:
a) il Presidente del Consiglio dei ministri e il presidente della Corte costituzionale;
b) i Ministri, i giudici della Corte costituzionale, i sottosegretari di Stato, i membri del Parlamento e i componenti del Consiglio superiore della magistratura;
c) il presidente della corte di appello, il procuratore generale della Repubblica
d) i consiglieri regionali nell'ambito del territorio della regione;
e) l'ordinario diocesano per l'esercizio del suo ministero;
f) il prefetto e il questore della provincia;
g) il presidente della provincia e il sindaco del comune in cui si trova l'istituto e le persone dagli stessi delegate, in loro sostituzione, nonché i garanti per la verifica del rispetto dei diritti dei detenuti e degli internati, nominati dalla regione o dalla provincia o dal comune; il presidente del quartiere e il responsabile dell'azienda sanitaria locale in cui si trova l'istituto;
h) i membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, nonché i rappresentanti delle istituzioni dell'Unione europea che svolgono attività concernenti gli istituti penitenziari, nonché i rappresentanti del Consiglio d'Europa;
i) l'ispettore centrale dei cappellani.
3. L'autorizzazione per la visita agli istituti non è altresì richiesta per coloro che accompagnano i soggetti di cui al comma 2 per ragioni del loro ufficio.
4. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono accedere agli istituti penitenziari, per ragioni del loro ufficio, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria.
5. Possono accedere agli istituti penitenziari, con l'autorizzazione del direttore, i ministri della religione cattolica e i ministri ed esponenti delle altre religioni.
1. I singoli istituti devono essere organizzati con caratteristiche differenziate in relazione alla posizione giuridica dei detenuti e degli internati e alle necessità di trattamento individuale o di gruppo degli stessi.
2. La distribuzione delle persone negli istituti o nelle sezioni avviene:
a) con riferimento al diverso livello di sorveglianza, che le persone richiedono, distinguendo fra una sorveglianza elevata, una sorveglianza media e una sorveglianza attenuata;
b) con riferimento alle difficoltà di convivenza di singole persone con la restante popolazione detenuta a seguito della tipologia del reato commesso da tali persone o dei comportamenti tenuti dalle stesse nel corso dei processi sostenuti o della detenzione sofferta;
c) con riferimento alle situazioni delle persone affette da infermità fisica in situazione di cronicità o da minorazione fisica.
3. La collocazione separata non impedisce l'applicazione a tutti i detenuti o internati delle regole di trattamento previste dalla normativa vigente in materia penitenziaria. Tali regole non possono essere sospese neppure temporaneamente in nessun istituto, salvo non ricorra una specifica situazione prevista dalla legge.
4. Negli istituti sono installati sistemi di sorveglianza a distanza, che comportano maggiore sicurezza ed economia di personale e minore usura dello stesso; in particolare, ciò deve essere attuato per la sorveglianza sui muri di cinta.
5. Le modalità di svolgimento della sorveglianza non devono in alcun modo
1. Con il regolamento o con provvedimenti amministrativi sono definiti i singoli circuiti differenziati di sorveglianza.
2. Il circuito a sorveglianza elevata riguarda i detenuti autori di reati relativi alla criminalità organizzata e, in particolare, dei reati di cui al primo periodo del comma 1 dell'articolo 79. Con provvedimento del capo del dipartimento della amministrazione penitenziaria sono assegnati eccezionalmente a tale circuito anche coloro che sono stati condannati per reati diversi da quelli indicati, ma che, per la particolare gravità e risonanza del delitto o dei delitti posti in essere, specialmente se commessi negli istituti penitenziari, si sono segnalati come soggetti di particolare pericolosità.
3. Nel circuito a sorveglianza elevata, il rapporto numerico fra operatori di polizia penitenziaria e detenuti o internati deve essere adeguato. La sorveglianza di tali operatori durante le attività trattamentali è svolta a diretto contatto con i soggetti sorvegliati, anche se, per le attività trattamentali svolte in locali chiusi sotto la direzione di operatori specifici, la sorveglianza è attuata all'esterno dei locali stessi.
4. Nelle sezioni o negli istituti a sorveglianza elevata sono svolte tutte le attività trattamentali previste dalla legge. Per manifestazioni singole, organizzate in sezioni dell'istituto a sorveglianza inferiore e per le quali non si prevede ripetizione, la partecipazione dei detenuti e degli internati del circuito a sorveglianza elevata è consentita, mantenendo una separazione dagli altri detenuti e internati. Analogamente
1. Nel circuito a sorveglianza media sono compresi tutti i detenuti e gli internati non assegnati ai circuiti di cui agli articoli 118 e 120.
2. Nel circuito di cui al presente articolo la sorveglianza è effettuata da gruppi di operatori della polizia penitenziaria per
1. Il circuito a sorveglianza attenuata è riservato a detenuti e internati di modesta pericolosità, giudicata in base alla devianza prevalentemente di carattere sociale che ha portato al reato, anche se in esecuzione di pena non breve, nonché ai detenuti e agli internati in esecuzione di pena breve. Tale circuito deve interessare almeno il 10 per cento dei detenuti o degli internati nell'ambito del territorio di ogni provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria.
2. La sorveglianza attenuata può anche essere attuata in singole sezioni di un istituto.
3. La sorveglianza attenuata è operata, salvo singole situazioni che richiedono una sorveglianza diversa:
a) negli istituti o sezioni femminili;
b) negli istituti o sezioni per detenuti tossicodipendenti;
c) nelle sezioni di istituti di esecuzione delle pene che accolgono persone che presentano problemi psichiatrici;
d) nei seguenti istituti per la esecuzione delle misure di sicurezza: ospedali psichiatrici giudiziari e case di cura e custodia;
e) negli altri istituti per la esecuzione delle misure di sicurezza;
f) negli istituti o sezioni ai quali sono assegnati detenuti con pene in esecuzione non superiori a due anni, anche come residuo di maggior pena.
4. La sorveglianza attenuata deve assicurare lo svolgimento di tutte le attività trattamentali. Lo svolgimento delle stesse deve consentire il costante impegno dei detenuti e degli internati e la verifica della loro corretta partecipazione da parte degli operatori, che seguono le varie attività. Viene altresì ricercata la definizione di percorsi che portano alla ammissione a trattamenti alternativi alla detenzione.
5. La chiusura nella camera di pernottamento non può superare le otto ore giornaliere.
6. La sorveglianza attenuata si attua con un gruppo di operatori di polizia penitenziaria disponibili per gli eventuali interventi di emergenza che vengano richiesti, nonché per la sorveglianza generale dell'istituto.
1. Sono predisposte apposite sezioni protette alle quali sono assegnati detenuti o internati che richiedono particolari cautele, anche per la tutela da aggressioni o sopraffazioni da parte dei compagni, sia con riferimento ai tipi di reati commessi, sia in relazione al comportamento tenuto durante i processi o nel corso della detenzione. Con riferimento alle diverse ragioni di protezione sono attivate sezioni diverse.
1. Sono predisposte apposite sezioni per le persone affette da infermità fisica in condizioni di cronicità e per persone affette da minorazione fisica, che non possono trovare adeguata assistenza nelle sezioni ordinarie anche se assistite da un compagno di esecuzione quale badante o piantone.
2. La esigenza di assegnazione nelle sezioni è accertata dal servizio sanitario e viene verificata semestralmente o con scadenze più brevi nei casi con maggiori possibilità di evoluzione.
3. Le sezioni sono realizzate per ogni regione o gruppi di regioni, secondo le esigenze.
4. Nelle sezioni, sia con la rimozione delle barriere architettoniche, sia con l'assistenza di un compagno, come indicato al comma 1, particolarmente nei casi in cui le persone interessate non sono autosufficienti, sono attuati gli interventi utili a ridurre le limitazioni del regime di vita. Le camere di pernottamento sono tenute
1. Sono predisposte apposite sezioni per i collaboratori di giustizia. Le sezioni sono differenziate in relazione al tipo di reati per cui è stata prestata la collaborazione, nonché allo stesso tipo della collaborazione e al riconoscimento che è in corso o che è stato effettuato.
2. Nella assegnazione alle sezioni si tiene conto della vicinanza ai familiari e generalmente della esigenza del distacco dal territorio di provenienza o di commissione dei reati.
3. Nei confronti delle persone interessate sono svolte le attività di osservazione e trattamento, anche in relazione alla possibile ammissione ai benefìci penitenziari secondo la specifica normativa applicabile.
4. Le sezioni devono essere realizzate in istituti diversi e non prossimi a quelli nei quali è attuato il regime di massima sicurezza di cui all'articolo 130.
1. Nei confronti dei detenuti e degli internati che presentano relazioni critiche con le strutture penitenziarie, dovute a condizioni problematiche dal punto di vista
1. Negli istituti sono favorite iniziative di sperimentazione.
2. Le iniziative di sperimentazione sono attuate previa definizione di un progetto approvato dai provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria, che possono esserne anche i promotori. Il progetto approvato è trasmesso per conoscenza al dipartimento della amministrazione penitenziaria che, entro trenta
1. Possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile in misura non superiore ogni volta a tre mesi, i condannati, gli internati e gli imputati:
a) che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza ovvero turbano l'ordine negli istituti;
b) che con violenza o minaccia impediscono le attività degli altri detenuti o internati;
c) che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri detenuti o internati nei loro confronti.
2. Ai casi di cui all'articolo 124 non è applicabile il regime di sorveglianza particolare.
3. Il regime di sorveglianza particolare è disposto con provvedimento motivato della amministrazione penitenziaria previo parere del consiglio di disciplina, integrato da due degli esperti del trattamento e osservazione.
4. Nei confronti degli imputati il regime di sorveglianza particolare è disposto sentita l'autorità giudiziaria che procede.
5. In caso di necessità ed urgenza l'amministrazione penitenziaria può disporre in via provvisoria la sorveglianza particolare prima dei pareri prescritti, che comunque devono essere acquisiti entro dieci giorni dalla data del provvedimento. Scaduto tale termine, la amministrazione, acquisiti i pareri prescritti, decide in via definitiva entro dieci giorni; decorso il termine senza che sia intervenuta la decisione, il provvedimento provvisorio decade.
6. Possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare, fin dal momento del loro ingresso in istituto, i condannati, gli internati e gli imputati, sulla base di pregressi comportamenti penitenziari o di altri concreti comportamenti tenuti nello stato di libertà, indipendentemente dalla natura dell'imputazione. L'autorità giudiziaria segnala gli eventuali elementi a sua conoscenza all'amministrazione penitenziaria che decide sulla adozione dei provvedimenti di sua competenza.
7. Il provvedimento che dispone il regime di cui al presente articolo è comunicato immediatamente al magistrato di sorveglianza ai fini dell'esercizio del suo potere di vigilanza.
1. Avverso il provvedimento che dispone o proroga il regime di sorveglianza
1. Il regime di sorveglianza particolare comporta le restrizioni all'esercizio dei diritti dei detenuti e degli internati e alle regole di trattamento previste dalla presente legge, strettamente necessarie per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza.
2. L'amministrazione penitenziaria può attuare il visto di controllo sulla corrispondenza, previa autorizzazione motivata e conseguente delega dell'autorità giudiziaria competente.
3. Le restrizioni di cui al comma 1 sono motivatamente stabilite nel provvedimento che dispone il regime di sorveglianza particolare. Il provvedimento di cui al comma 2 deve essere emanato dalla autorità giudiziaria competente ai sensi dell'articolo 25.
4. In ogni caso le restrizioni non possono riguardare: l'igiene e le esigenze della salute; il vitto; il vestiario ed il corredo; il possesso, l'acquisto e la ricezione di generi e di oggetti permessi dal regolamento interno, nei limiti in cui ciò non comporta pericolo per la sicurezza; la lettura di libri e di periodici; le pratiche di culto; l'uso di apparecchi radio del tipo consentito; la permanenza all'aperto ai sensi di quanto disposto dall'articolo 12; i colloqui con i difensori, nonché quelli con il coniuge, il convivente, i figli, i genitori, i fratelli.
1. In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il Ministro della giustizia ha facoltà di sospendere nell'istituto interessato o in parte di esso l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto.
1. Quando ricorrono gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia ha la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti o degli internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell'articolo 79, in relazione ai quali vi sono elementi tali da fare ritenere la sussistenza di collegamenti con una associazione criminale, terroristica o eversiva, l'applicazione delle regole di trattamento e delle altre norme previste dalla presente legge che possono porsi in concreto contrasto con il mantenimento o la ripresa di quei collegamenti.
2. I provvedimenti emessi ai sensi del comma 1 sono adottati con decreto motivato del Ministro della giustizia, sentito
a) quando sono decorsi dieci anni dall'inizio della applicazione con riferimento a coloro che, con sentenza, sono stati ritenuti in posizione apicale nella organizzazione criminale, terrorista o eversiva;
b) quando sono decorsi cinque anni negli altri casi non previsti dalla lettera a).
5. Per coloro per i quali i termini indicati nel comma 4 sono già scaduti alla
1. Il detenuto o l'internato nei confronti del quale è stata disposta o confermata l'applicazione del regime di massima sicurezza di cui all'articolo 130, ovvero il difensore, possono proporre reclamo avverso il provvedimento applicativo. Il reclamo è presentato nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento e su di esso è competente a decidere il tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sull'istituto al quale il detenuto o l'internato è assegnato in modo stabile; i trasferimenti temporanei in altre sedi non modificano la competenza predetta. Il reclamo non sospende la esecuzione del provvedimento reclamato.
2. Il tribunale, entro dieci giorni dal ricevimento del reclamo di cui al comma 1, decide in camera di consiglio, nelle forme previste dagli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale, come modificato dalla presente legge, sulla sussistenza dei presupposti per l'adozione del provvedimento
1. La sospensione della applicazione delle regole o degli istituti di cui all'articolo 130 non può comportare la attuazione di misure comunque incidenti sulla qualità e sulla quantità della pena o sul grado di libertà personale del detenuto, nonché di misure che, per il loro contenuto, non sono riconducibili alla concreta esigenza di tutelare l'ordine e la sicurezza o sono inidonee o incongrue rispetto a tali esigenze con una portata puramente afflittiva, nonché, infine, di misure che violano il divieto costituzionale di disporre trattamenti contrari al senso di umanità e l'obbligo di tenere conto della finalità rieducativa che deve connotare la pena.
2. La sospensione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge può comportare:
a) la determinazione dei colloqui in non meno di due ore e in non più di quattro ore al mese, distribuite in non
b) la limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall'esterno;
c) l'esclusione dalle rappresentanze dei detenuti e degli internati;
d) la limitazione della permanenza all'aperto, che non può svolgersi in gruppi superiori a dieci persone, a una durata non inferiore a due ore al giorno e non superiore a quattro ore al giorno. Dopo i primi due anni, devono essere concesse quattro ore al giorno. In ogni caso, la permanenza nella camera di pernottamento
3. Nei casi di applicazione del regime di massima sicurezza la direzione dell'istituto richiede all'autorità competente la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo in applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 25. In applicazione delle disposizioni dello stesso articolo, possono anche essere richieste limitazioni della corrispondenza epistolare e telegrafica e della ricezione della stampa. Analogamente si deve provvedere per disporre la sottoposizione dei colloqui a controllo auditivo o a registrazione o a entrambi.
1. L'organizzazione del personale penitenziario negli istituti deve essere conforme a quanto disposto dall'articolo 1.
2. Il personale operante negli istituti ha il suo vertice organizzativo nella direzione. Il personale è distribuito nelle seguenti aree professionali: area della direzione, area amministrativo-contabile, area educativa, area degli esperti dell'osservazione e trattamento, area sanitaria e area della sicurezza. Il direttore dell'area della direzione esercita la funzione di dirigente dell'intera organizzazione, indipendentemente da eventuali livelli di carriera superiori dei dirigenti delle altre aree.
3. Le singole aree hanno propri responsabili, che collaborano con l'area della direzione, che coordina e indirizza l'attività complessiva dell'istituto.
4. Nei rapporti fra appartenenti ad aree diverse nell'ambito di singoli servizi, il diverso livello di carriera del personale non modifica la titolarità della responsabilità
1. Il direttore esercita i poteri relativi alla organizzazione dell'istituto, al coordinamento e all'indirizzo delle attività delle singole aree e al controllo delle stesse. Predispone, con i responsabili delle singole aree, i programmi da attuare, in istituto e all'esterno, e ne segue lo svolgimento. Impartisce direttive agli operatori penitenziari, i quali svolgono i compiti loro affidati secondo le rispettive specificità professionali. Coordina le attività degli operatori volontari e ne agevola lo svolgimento.
2. Il direttore, nell'ambito dell'area della direzione, distribuisce le responsabilità operative dei funzionari direttivi assegnati all'istituto fra i vari servizi e sezioni.
3. Il direttore o i funzionari direttivi che lo coadiuvano ai sensi del comma 2 devono effettuare audizioni frequenti dei detenuti e degli internati, su richiesta degli stessi o di propria iniziativa.
4. Nell'area della direzione è istituito un servizio di individuazione e verifica
1. L'area amministrativo-contabile segue tutte le attività dell'istituto che attengono ai rapporti di carattere giuridico ed economico con i dipendenti, alle relazioni con gli organi della amministrazione penitenziaria e con organismi esterni, pubblici e privati, nonché alla concreta gestione delle risorse economiche disponibili per l'istituto.
2. All'area amministrativo-contabile è preposto un funzionario che appartiene al ruolo dei contabili e ha funzioni di dirigente dell'area.
3. All'area amministrativo-contabile è assegnato personale con preparazione e in numero adeguati ai compiti da svolgere, tenuto conto della gestione ordinaria dell'istituto, e di tutte le attività che nell'istituto devono essere svolte con riferimento a quanto disposto dal comma 1 dell'articolo 133.
1. Il personale dell'all'area educativa svolge, con riferimento a quanto disposto dal comma 1 dell'articolo 133, le attività necessarie per promuovere la individualizzazione del trattamento penitenziario, l'attuazione degli elementi del trattamento, la predisposizione dei percorsi riabilitativi dei detenuti e degli internati e il sostegno agli stessi. Nella predisposizione di tali percorsi viene stimolata la realizzazione di una rete sociale, che raccoglie, oltre agli operatori interni e a quelli dei centri di servizio sociale per adulti, gli operatori dei servizi socio-sanitari e assistenziali e degli altri servizi pubblici, nonché persone e organizzazioni private, che promuovono l'inserimento sociale e lavorativo.
2. Il personale di cui al comma 1 partecipa inoltre alla predisposizione dei programmi di cui al comma 5 dell'articolo 133, collabora alla loro organizzazione e segue la fase attuativa degli stessi.
3. Il responsabile operativo dell'area educativa appartiene al ruolo degli educatori e ha funzioni di dirigente dell'area. Di intesa con la direzione, organizza e coordina l'attività degli educatori e quella degli altri operatori impegnati nelle attività relative all'area stessa. Provvede inoltre a promuovere, coordinandosi con la direzione, le attività, anche esterne, che realizzano gli elementi del trattamento.
4. L'organizzazione del gruppo di osservazione e trattamento, che raccoglie tutti gli operatori che svolgono le attività relative, è curata dal dirigente dell'area educativa. Lo stesso cura, in particolare, i rapporti con gli esperti dell'osservazione e trattamento e con gli operatori del centro di servizio sociale per adulti, che svolgono le attività di loro competenza. Gli incontri del gruppo sono coordinati dal direttore o da un funzionario direttivo delegato o da
1. Per l'attività di osservazione e trattamento è istituito un apposito servizio, cui sono assegnati, con rapporto organico con la amministrazione penitenziaria, professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica.
1. L'organizzazione dell'area sanitaria prevista dagli articoli 13 e seguenti ed
1. Il personale dell'area della sicurezza, che costituisce il Corpo di polizia penitenziaria, svolge, secondo le modalità previste dalla presente legge e in particolare dall'articolo 1, le attività necessarie per il mantenimento dell'ordine e della garanzia dei diritti negli istituti, in conformità alle direttive impartite dal direttore. Lo stesso personale disimpegna inoltre il servizio di traduzioni e scorte dei detenuti e degli internati.
2. L'organizzazione del Corpo di polizia penitenziaria è definita dalla legislazione vigente in materia. Le assunzioni del personale devono essere operate con concorso pubblico, effettuato nelle sedi di ogni provveditorato regionale della amministrazione penitenziaria, in relazione alle necessità di personale di ciascun territorio, con vincolo di permanenza nello stesso per almeno cinque anni. Non sono consentite modalità
1. Negli istituti deve essere predisposto l'organico del personale che provvede al lavoro amministrativo nelle varie aree, prevedendo che parte dello stesso deve avere specializzazione informatica. Inoltre, deve essere predisposto un organico degli autisti, da utilizzare nei vari servizi di istituto. Nel servizio traduzioni e scorte le funzioni degli autisti devono essere svolte da personale del Corpo di polizia penitenziaria, appositamente qualificato.
2. È determinato l'organico complessivo per ogni area in tutti gli istituti. Quando l'organico è definito in relazione al numero di detenuti o di internati dell'istituto, si tiene conto del valore medio della presenza giornaliera degli stessi negli ultimi due anni. Sono stabiliti organici anche per i provveditorati regionali e per il dipartimento e per le altre strutture della amministrazione penitenziaria.
3. L'adeguatezza degli organici di cui ai commi 1 e 2 è riesaminata ogni cinque anni.
4. Alla copertura dei nuovi posti negli organici di cui ai commi 1 e 2 si provvede nel termine massimo di tre anni.
5. Alla copertura di cui al comma 4 si provvede con concorsi pubblici da organizzare ed espletare nell'ambito di ciascun provveditorato regionale della amministrazione penitenziaria, con vincolo quinquennale, per gli assunti, di restare nell'ambito territoriale in cui il concorso si è svolto. Alla scadenza del vincolo predetto, l'accoglimento di istanze di trasferimento deve
1. Nelle sedi degli uffici di sorveglianza sono istituiti i centri di servizio sociale per adulti, che dipendono dalla amministrazione penitenziaria.
2. La struttura dei centri, in ragione delle dimensioni del territorio di competenza e del volume di lavoro, può essere articolata in sedi decentrate.
3. L'attività dei centri deve attuare i diritti costituzionali richiamati nell'articolo 57. A tale fine i centri, a mezzo del personale di servizio sociale, svolgono le attività richieste dagli uffici di sorveglianza, nonché dalle direzioni degli istituti penitenziari. Partecipano, con le loro competenze, alle attività di osservazione e trattamento. Seguono lo svolgimento delle
1. Il direttore dell'area della direzione e della segreteria esercita i poteri attinenti
1. All'area del servizio sociale sono assegnati gli assistenti sociali e, per la collaborazione agli stessi, gli operatori di servizio sociale di cui al comma 5.
2. Gli assistenti sociali svolgono le funzioni indicate nei commi 3 e 4 dell'articolo 141. Il responsabile dell'area, assegnato in relazione allo sviluppo di carriera, coordina lo svolgimento del servizio degli altri operatori, mantenendo una parziale attività operativa diretta di servizio sociale.
3. Nella fase della esecuzione della pena all'interno degli istituti, gli assistenti sociali concorrono alla formazione e alla attività della rete sociale di cui al comma 1 dell'articolo 136. Nella fase della preparazione delle misure alternative a seguito di istanze avanzate dal Tribunale della libertà, nonché nella fase della concreta
1. L'area amministrativo-contabile segue tutte le attività del centro che attengono ai rapporti di carattere giuridico ed economico con i dipendenti, alle relazioni con gli organi della amministrazione penitenziaria e con organismi esterni, pubblici e privati, nonché alla attività amministrativa e contabile della gestione delle risorse economiche.
2. All'area di cui al presente articolo è preposto un funzionario operativo con adeguata preparazione professionale e personale amministrativo-contabile secondo le esigenze. Tale personale appartiene ai ruoli del personale dell'area corrispondente degli istituti.
1. Sono predisposti i ruoli organici, complessivi e per ogni centro, di tutti gli operatori delle diverse aree e dei diversi ruoli. Nella predisposizione degli organici dei singoli centri si tiene conto del numero dei detenuti e degli internati presenti negli istituti compresi nel territorio di ciascun centro e del numero delle misure alternative in esecuzione nello stesso territorio; tale calcolo è operato sui valori medi degli ultimi due anni. Sono previsti gli organici del servizio sociale anche per i provveditorati regionali e il dipartimento e le altre strutture della amministrazione penitenziaria.
2. L'adeguatezza degli organici è riesaminata ogni cinque anni; può essere rivalutata
1. Il provveditore regionale della amministrazione penitenziaria promuove la formazione di un sistema operativo coordinato fra gli istituti penitenziari e i centri
1. Il capo del dipartimento della amministrazione penitenziaria è scelto fra coloro che hanno un riconosciuto prestigio in materia penitenziaria, acquisito sia attraverso l'attività svolta nella amministrazione penitenziaria, sia attraverso l'attività giudiziaria concernente il settore penitenziario, sia attraverso l'insegnamento universitario nello stesso settore, sia attraverso la partecipazione ad associazioni, enti od organismi che hanno avuto costante attenzione alla realtà penitenziaria.
2. Il capo del dipartimento, annualmente, indica le linee di intervento che saranno seguite dalla amministrazione penitenziaria, che presenta ai provveditori regionali, esaminando le richieste e le osservazioni degli stessi.
3. Le competenze del dipartimento della amministrazione penitenziaria sono distribuite fra le direzioni generali in cui si articola secondo le disposizioni di legge e regolamentari vigenti. Devono essere, comunque, configurate come direzioni generali le articolazioni relative al personale penitenziario, all'area interna dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari, all'area esterna dei centri di servizio sociale per adulti, all'ufficio che cura la
a) per lo svolgimento della attività di cui all'articolo 28, commi 5 e 6, un'ufficio che dispone di corrispondenti articolazioni presso i provveditorati regionali;
b) per la definizione, ove ricorra convenienza economica, di rapporti unificati per la ricezione delle forniture di servizi essenziali nell'ambito dei prodotti energetici e delle telecomunicazioni, e in altri eventuali settori, un ufficio che dispone di corrispondenti articolazioni presso i provveditorati regionali.
4. Presso l'ufficio per la redazione del bilancio e la gestione dei beni e dei servizi è organizzato, con propria autonomia dirigenziale e operativa, l'ufficio che si occupa dell'edilizia penitenziaria, previsto dal comma 2 dell'articolo 115.
5. Il dipartimento esercita le competenze ad esso affidate dalla legge e dai regolamenti. Può sostituire i provveditorati solo nel caso di mancato esercizio delle competenze dei medesimi.
6. Il dipartimento provvede annualmente a redigere, entro il 30 luglio, il bilancio annuale della amministrazione penitenziaria, verificando le risorse disponibili e prevedendone l'impiego.
7. Il capo del dipartimento, in particolare, assume la presidenza della Cassa delle ammende di cui all'articolo 148, con facoltà di delega per lo svolgimento in tutto o parte delle funzioni della medesima.
1. Le risorse economiche della Cassa delle ammende del dipartimento della amministrazione penitenziaria devono essere impiegate:
a) per il finanziamento di progetti per l'assistenza economica alle famiglie dei detenuti e per l'assistenza post-penitenziaria;
b) per il finanziamento di programmi volti al reinserimento sociale dei detenuti e degli internati durante la esecuzione della pena e delle misure di sicurezza, anche in regimi alternativi alla detenzione;
c) per il finanziamento di progetti per il soccorso e l'assistenza alle vittime del delitto.
2. I progetti e i programmi di cui al comma 1 trasmessi dai provveditorati sono predisposti dagli stessi o ricevuti dagli istituti o centri di servizio sociale per adulti o da enti od organismi pubblici o privati. Ai progetti e ai programmi è unita una relazione di valutazione dell'assessorato competente per la sicurezza sociale della provincia nel cui territorio si trovano gli uffici penitenziari nonché gli enti od organismi proponenti.
3. Le risorse economiche, con le finalità di cui al comma 1, possono essere impiegate anche per il finanziamento congiunto con fondi europei.
4. Annualmente la Cassa delle ammende distribuisce le risorse economiche fra i provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria per il finanziamento di progetti e di programmi rispondenti alle finalità indicate nel comma 1.
5. La distribuzione prevista dal comma 4 avviene in base alla spesa prevista per i progetti e i programmi trasmessi dai provveditorati e non può superare l'80 per cento delle risorse stesse. L'importo residuo di tali risorse è gestito dalla Cassa delle ammende per il finanziamento di progetti e di programmi disposti direttamente dal dipartimento della amministrazione penitenziaria.
6. Le risorse economiche ai singoli provveditorati sono corrisposte, considerata anche la valutazione dell'assessorato provinciale competente per la sicurezza sociale di cui al comma 2, in relazione alla entità dei progetti e dei programmi presentati e previa una positiva valutazione dei medesimi. Quando il complesso delle richieste di finanziamento supera le risorse disponibili, sono preferiti i progetti e i programmi che presentano la maggiore
1. La formazione del personale appartenente a tutte le aree è operata dai provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria nei territori di loro competenza.
2. Il personale di cui al comma 1 frequenta corsi di formazione organizzati per ogni ruolo, dopo la assunzione nella amministrazione penitenziaria e periodicamente in seguito. I corsi di formazione iniziali devono avere durata di almeno sei mesi.
3. Durante i corsi di formazione, ai periodi di docenza sono alternati periodi di sperimentazione pratica con l'accompagnamento formativo di personale in servizio.
4. Le docenze nei corsi di formazione sono tenute da esperti nelle materie penitenziarie o in altre materie utili all'inquadramento delle stesse e da operatori appartenenti ai vari ruoli della amministrazione penitenziaria, attualmente in servizio.
5. I contenuti dei corsi di formazione devono fare costante riferimento alle norme della Costituzione, delle leggi penali, della presente legge e del regolamento, in particolare alle norme in materia di esecuzione della pena e della custodia cautelare, delle misure di sicurezza e delle misure alternative alla detenzione.
6. Durante lo svolgimento dei corsi di formazione possono essere previsti momenti di aggregazione degli allievi in sede nazionale o interregionale.
7. Per ogni regione o per gruppi di regioni possono essere previste strutture residenziali per lo svolgimento dei corsi di
1. L'amministrazione penitenziaria può, con parere del magistrato di sorveglianza, autorizzare persone idonee, singole o appartenenti ad associazioni o gruppi organizzati, a frequentare gli istituti penitenziari allo scopo di partecipare al sostegno dei detenuti e degli internati e al loro futuro reinserimento nella vita sociale. Analogamente tale autorizzazione può essere concessa per collaborare con i centri di servizio sociale per adulti nella esecuzione delle misure alternative alla detenzione e per l'assistenza ai dimessi dagli istituti e alle loro famiglie.
2. Gli assistenti volontari sono nominati dal provveditore regionale della amministrazione penitenziaria o, nella inerzia di questi, dal dipartimento della stessa amministrazione.
3. L'opera degli assistenti volontari non è retribuita.
1. Negli istituti gli assistenti volontari svolgono la loro attività in rapporto diretto con i detenuti e gli internati. A tale fine effettuano colloqui con gli stessi e possono cooperare nelle attività di risocializzazione in coordinazione con il personale addetto al trattamento. Essi sono considerati operatori del trattamento e fanno parte dell'area
1. Gli enti o le organizzazioni che svolgono attività di cooperazione sociale possono concorrere, con apposite convenzioni con le direzioni degli istituti, nello svolgimento dei servizi interni nei settori della fornitura del vitto, della pulizia, della manutenzione ordinaria dei fabbricati e, in genere, di tutta la rete dei servizi.
2. In base ad apposite convenzioni, gli enti e le organizzazioni di cui al comma 1 possono anche organizzare negli istituti lavorazioni o assumere la gestione delle lavorazioni esistenti, senza oneri per la utilizzazione dei locali e delle attrezzature.
3. Gli stessi enti ed organizzazioni di cui al comma 1, sempre attraverso apposite convenzioni, possono avere funzioni
1. L'attuazione del programma di trattamento deve svilupparsi, in ragione dei tempi di esecuzione della pena e della risposta dell'interessato, nella progettazione del percorso trattamentale interno e di quello di reinserimento sociale all'esterno; tali progetti sono suscettibili di modificazioni ed adattamenti nel corso della loro progressiva realizzazione.
2. Nella definizione del percorso penitenziario sono previsti e utilizzati tutti gli elementi del trattamento indicati nell'articolo 20. Sono altresì previste la ricognizione della situazione oggettiva entro la quale dovrebbe svolgersi tale percorso e la individuazione delle risorse concrete che lo rendono possibile.
1. Gli operatori penitenziari che hanno predisposto il programma di trattamento contribuiscono alla definizione del percorso di reinserimento sociale. Essi sono coadiuvati dagli altri operatori penitenziari, operanti nella stessa sede o in una sede diversa, e in particolare dagli operatori dei centri di servizio sociale per adulti dei luoghi dove il percorso è predisposto e dove si dovrebbe attuare.
2. Nella predisposizione del percorso di reinserimento sociale sono coinvolti i servizi pubblici socio-assistenziali e sanitari del territorio di appartenenza del condannato e dei suoi familiari, competenti per la assistenza alle famiglie dei detenuti e degli internati, nonché per la assistenza post-penitenziaria agli stessi.
3. Nella predisposizione del percorso di reinserimento sociale sono altresì ricercate ed attivate le risorse del volontariato all'interno e all'esterno dell'istituto.
4. È curata la complessiva promozione della rete sociale che collabora alla predisposizione e all'attuazione del percorso di reinserimento sociale.
1. L'intervento trattamentale, finalizzato alla definizione e all'attuazione del percorso di reinserimento sociale, è integrato, previa adeguata ricognizione della situazione, dall'azione di assistenza e sostegno nei confronti delle famiglie dei detenuti e degli internati.
2. L'azione di cui al comma 1 è rivolta anche a migliorare le relazioni delle persone detenute o internate con i familiari e a rimuovere le difficoltà che possono ostacolare il reinserimento sociale delle medesime persone. In quanto possibile, i familiari devono essere coinvolti come risorsa che favorisce l'adeguato sviluppo di tale processo.
3. Per la attuazione di quanto previsto dai commi 1 e 2, è utilizzata la collaborazione degli enti e organi pubblici e delle organizzazioni private competenti.
4. I centri di servizio sociale per adulti e gli altri operatori della rete sociale rilevano anche le criticità dell'ambiente sociale in cui vivono il condannato e la propria famiglia e ne investono gli enti e i servizi generali che hanno le competenze di intervento sociale in quel contesto.
1. Il processo di reinserimento sociale prosegue e si sviluppa durante la esecuzione delle misure alternative, nella costanza del sostegno e del controllo degli operatori penitenziari competenti e con il concorso delle positive risorse della famiglia, nonché di quelle dei servizi territoriali, pubblici e privati, e del volontariato.
2. Le varie risorse di sostegno previste dal comma 1 devono integrarsi in una rete sociale di aiuto, i cui componenti sono coinvolti dagli operatori penitenziari nel trovare fasi comuni di conoscenza, di consultazione e di specifiche e concrete
1. Sono promossi, dagli stessi centri di servizio sociale per adulti o da organismi
1. I detenuti e gli internati ricevono un particolare aiuto nel periodo di tempo che immediatamente precede la loro dimissione dagli istituti e per un congruo periodo successivo. Tale disposizione si applica anche nei confronti di coloro che fruiscono di misure alternative.
2. Il definitivo reinserimento nella vita libera è agevolato dai centri di servizio sociale per adulti, che promuovono gli interventi adeguati, facendo riferimento alle risorse della rete sociale.
3. I dimessi affetti da gravi infermità o da anomalie psichiche sono segnalati ai
1. Deve essere promossa l'attività di ricerca o studio sulla esecuzione della pena e delle misure di sicurezza, nonché delle misure alternative alle stesse al fine di verificare la loro efficacia e indicarne i possibili miglioramenti.
2. Le università, gli enti e gli organismi che svolgono documentata attività di ricerca possono procedere alla elaborazione dei dati statistici raccolti dagli appositi servizi della amministrazione penitenziaria o di altre amministrazioni pubbliche, nonché effettuare ricerche in merito alle modalità di esecuzione della pena, delle misure di sicurezza e delle misure alternative alle stesse, anche in ordine alla ricaduta degli interessati nel reato.
3. Le ricerche e gli studi possono comportare l'accesso alla documentazione giuridica di procedure archiviate e alla documentazione giudiziaria delle persone interessate, esistente presso il casellario giudiziale e le eventuali banche dati sulle pendenze giudiziarie. È altresì possibile
1. Devono essere attuati progetti di reinserimento sociale concernenti gruppi di detenuti e di internati, la cui restrizione è condizionata da problemi comuni di carattere sociale, il cui superamento può essere decisivo per la riabilitazione dalle condotte illecite, che hanno determinato la detenzione o l'internamento.
2. Nei gruppi di detenuti e di internati di cui al comma 1 sono compresi:
a) coloro che presentano o hanno presentato e che sono ancora coinvolti, a diversi livelli, in problemi di tossicodipendenza o di alcooldipendenza;
b) coloro che vivono situazioni di disagio fisico che incide sulla loro autosufficienza, nonché di disagio psichiatrico e psicologico o di abbandono sociale;
c) coloro che appartengono all'area della immigrazione.
1. I progetti di cui all'articolo 160 sono attuati attraverso lo svolgimento, da parte degli interessati, di attività lavorativa o di altre attività comunque utili al reinserimento sociale. I progetti devono essere finalizzati al superamento dei problemi che hanno influito sulle condizioni di esclusione sociale e che hanno concorso a determinare la commissione dei reati e conseguentemente la detenzione.
2. Ai progetti di cui al comma 1 si applicano le disposizioni vigenti relative ai lavori socialmente utili e, per le persone che presentano problemi di dipendenza dagli stupefacenti o dall'alcool, quelle relative ai programmi terapeutici per la cura e la riabilitazione dalle dipendenze, nonché, per le persone con problemi psicofisici e di abbandono sociale, quelle relative alla cura e alla assistenza socio-sanitarie.
3. La preparazione alla partecipazione ai progetti può essere attuata attraverso appositi corsi di formazione professionale per i detenuti e gli internati, realizzati in tutto o in parte all'esterno degli istituti.
4. Nella realizzazione dei progetti è privilegiata l'attuazione degli stessi all'esterno degli istituti.
5. Quando i progetti hanno ad oggetto lo svolgimento di attività lavorativa, gli stessi possono essere attuati:
a) con la costituzione di rapporti di lavoro;
b) con la assegnazione di borse-lavoro;
c) con le modalità previste per lo svolgimento dei lavori socialmente utili, dove sia possibile ricorrere agli stessi;
d) con l'attuazione di programmi di reintegrazione sociale, esclusi dall'applicazione della disciplina del rapporto di lavoro,
1. Per la realizzazione dei progetti di cui al presente capo, da attuare in tutto o in parte all'esterno degli istituti, sono utilizzati il lavoro all'esterno e le misure alternative alla detenzione.
2. Quando si ricorre a programmi di reintegrazione sociale di cui all'articolo 161, comma 5, lettera d), nei quali l'interessato non viene remunerato per il lavoro svolto, la detrazione di pena, se concessa, è determinata nella misura di novanta giorni per ogni semestre di pena scontata in costanza dell'attuazione del programma, anche se questa ha interessato solo parte del semestre stesso.
3. Ai partecipanti ai progetti di cui al presente articolo si applica la disciplina legislativa concernente la particolare misura giuridica utilizzata. La partecipazione ai progetti nonché le modalità e i tempi della stessa sono stabiliti dalle prescrizioni relative alle misure alternative alla detenzione o dai programmi di trattamento attuativi delle stesse.
4. Specifici progetti possono essere proposti e realizzati anche per coloro che si trovano in esecuzione di una misura alternativa attuata totalmente all'esterno degli istituti e che rientrano nelle previsioni di cui all'articolo 160.
5. Possono essere ammessi ai programmi anche i detenuti in custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari. Quando i programmi si svolgono in luogo esterno a quello di detenzione, ai detenuti in carcere si applica l'articolo 29 ed è
1. I progetti di cui al presente capo sono proposti dagli enti pubblici territoriali. Possono essere proposti anche da organismi privati, che svolgono attività di cura e di assistenza in ordine alle situazioni indicate nell'articolo 160 o che sono inquadrati nella cooperazione sociale.
2. I progetti devono assicurare:
a) la copertura organizzativa, con personale adeguato, delle attività svolte in attuazione dei progetti stessi, sia per la parte concernente le attività lavorative, sia per quelle concernenti le attività di cura e di assistenza;
b) la conformità alla normativa vigente sul rapporto di lavoro, se questo si configuri e, in caso diverso, il rispetto delle previsioni del comma 5 dell'articolo 161;
c) il raccordo con gli operatori del sistema penitenziario e il rispetto della normativa vigente relativa alla situazione giuridica dei partecipanti all'attuazione dei progetti;
d) le risorse finanziarie necessarie per l'attuazione del progetto.
3. Per i singoli partecipanti ai progetti, a seconda della misura alternativa alla detenzione applicata, vengono indicati dagli organi competenti le prescrizioni o i programmi di trattamento funzionali allo svolgimento dei progetti.
1. Una apposita struttura della regione sovrintende alla programmazione e alla organizzazione dei progetti di cui al presente capo, con funzioni di coordinamento degli enti e degli organismi che concretamente li attuano. La stessa struttura provvede anche alla programmazione e alla organizzazione delle case territoriali per il reinserimento sociale, che sono utilizzate per l'attuazione dei progetti.
2. Presso la struttura di cui al comma 1 opera anche un ufficio di servizio con il compito di sostegno e consulenza nelle fasi di definizione e di presentazione dei progetti.
3. L'ufficio di cui al comma 2 individua le risorse economiche utilizzabili per i progetti, riferibili anche a quelle assegnate ai vari assessorati regionali e in particolare a quelli competenti in materia di ambiente, protezione civile, sanità, sicurezza sociale, istruzione e formazione professionale ed eventuali altri. Promuove anche, presso gli enti e gli organismi di cui al comma 1 dell'articolo 163, la proposizione di progetti che possano rendere utilizzabili particolari fondi e presta assistenza agli stessi soggetti, ove occorra, per la formulazione e la presentazione dei progetti. L'ufficio svolge, inoltre, attività di coordinamento e di servizio, finalizzata alla concreta presentazione dei progetti da parte dei citati enti ed organismi.
4. L'ufficio di cui ai commi 2 e 3, nella individuazione delle risorse economiche, fa riferimento anche ai fondi disponibili per le iniziative in questione presso l'Unione europea e a quelli della Cassa delle ammende presso il dipartimento della amministrazione penitenziaria.
5. La definizione operativa dei progetti, completa della documentazione relativa, è curata dagli enti o dagli organismi interessati di cui al comma 1 dell'articolo 163. I progetti sono presentati per la approvazione e il conseguente finanziamento alle autorità di competenza.
1. I progetti di cui al capo II hanno finalizzazioni diverse, sempre rivolte alla rimozione delle difficoltà sociali dei partecipanti, nonché allo svolgimento di attività di pubblica utilità.
2. In merito allo svolgimento di attività di pubblica utilità previsto dal comma 1 sono privilegiati i progetti che realizzano interventi ambientali, quali la tenuta e il riordino delle zone agricole o boschive abbandonate, nonché la sistemazione e la pulizia di corsi d'acqua, e la migliore utilizzazione delle zone urbane destinate ad uso pubblico o in condizioni di abbandono.
3. Nell'attuazione dei progetti si deve promuovere la organizzazione della rete sociale che favorisce il reinserimento sociale dei partecipanti.
1. I progetti per le persone dipendenti da stupefacenti, proposti ed attuati dal servizio tossicodipendenze pubblico o, previa valutazione positiva dello stesso, da enti od organismi privati compresi negli enti ausiliari previsti dall'articolo 115 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono organizzati in forma di comunità diurna. Vengono realizzati programmi diurni, anche di riduzione del danno, nei
1. I progetti per le persone detenute o internate in situazioni di disagio psicofisico o sociale proposti ed attuati dai servizi socio-assistenziali competenti o, previa valutazione positiva degli stessi, da enti od organismi privati, in particolare appartenenti alla cooperazione sociale, sono organizzati in appositi servizi o comunità diurni. Si applica quanto previsto dall'ultimo periodo del comma 1 e dal comma 2 dell'articolo 166.
1. I progetti per le persone immigrate sono individuati in particolare tra quelli di cui al comma 2 dell'articolo 165.
2. Nella attuazione dei progetti particolare cura è dedicata agli aspetti di formazione professionale.
3. Per l'attuazione dei progetti si applicano le disposizioni degli articoli 166 e 167.
4. Per la gestione dei progetti le cooperative sociali devono essere considerate soggetto preferito.
1. L'attuazione dei progetti di cui al capo II e al presente capo deve realizzare una riduzione delle persone detenute e internate e, in particolare, di quelle che si trovano negli istituti penitenziari ordinari.
2. Al fine di cui al comma 1 devono essere utilizzate, come sedi detentive non comprese tra quelle ordinarie, le case territoriali di reinserimento sociale previste dall'articolo 113.
3. Le case territoriali di cui al comma 2, in particolare, sono realizzate in comuni prossimi ai luoghi di attuazione dei progetti.
4. Può essere anche autorizzato lo svolgimento del periodo giornaliero detentivo, previsto dal programma di trattamento, presso la stessa sede di attuazione del progetto o una sede appositamente realizzata dall'organismo che cura la realizzazione del progetto. L'autorizzazione è concessa dal provveditorato regionale della amministrazione penitenziaria che, attraverso apposita convenzione, definisce le condizioni, anche economiche, di gestione. In tali casi, le funzioni penitenziarie sono svolte dagli operatori del progetto.
1. La violazione per difetto di risorse economiche dei diritti dei detenuti e degli
1. Finalità della presente legge sono il progressivo contenimento del ricorso alla detenzione e l'uso di misure alternative al fine di garantire ai detenuti e agli internati, in particolare ai soggetti in situazioni di disagio sociale e psichico, maggiori possibilità di recupero personale e di reinserimento sociale.
2. La rete delle strutture penitenziarie è organizzata in modo da garantire l'attuazione delle finalità stabilite dal comma 1, con l'adeguamento delle dimensioni delle aree penitenziarie interna ed esterna.
3. Nell'ambito dell'adeguamento della rete penitenziaria previsto dal comma 2 è in particolare curata la realizzazione di nuove strutture di gestione territoriale e a custodia attenuata allo scopo di contribuire all'ulteriore contenimento del sovraffollamento carcerario.
4. Fatto salvo quanto previsto dal comma 3, possono essere realizzati nuovi istituti ordinari solo per la sostituzione di istituti già esistenti e in stato di degrado e per i quali, a causa delle loro caratteristiche strutturali e della loro ubicazione, non risulta efficace né economicamente conveniente il recupero.
5. Sono abbandonati i programmi di aumento degli istituti ordinari e il connesso aumento del personale per la loro gestione.
6. È prevista l'erogazione di adeguate risorse economiche per la copertura della spesa per l'adeguamento degli istituti e per la dotazione del relativo personale, in attuazione della presente legge, nonché per l'adeguamento del personale e dei mezzi dei centri di servizio sociale per
1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il dipartimento della amministrazione penitenziaria definisce i nuovi organici del personale penitenziario relativi agli istituti, ai centri di servizio sociale per adulti, ai provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria e allo stesso dipartimento. Al fine della sollecita definizione degli organici, i singoli provveditorati regionali entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite le direzioni degli istituti e dei centri, formulano le proposte per i territori di competenza.
2. In attuazione di quanto disposto dal comma 1, sono di seguito indicati i diversi ruoli dei quali deve essere assicurata la copertura:
a) funzionari direttivi degli istituti, di cui al comma 7 dell'articolo 134;
b) funzionari amministrativo-contabili degli istituti e dei centri di servizio sociale per adulti, di cui al comma 3 dell'articolo 135;
c) educatori, di cui ai commi 5 e 6 dell'articolo 136;
d) esperti dell'osservazione e trattamento, di cui al comma 2 dell'articolo 137;
e) Corpo di polizia penitenziaria, di cui al comma 3 dell'articolo 139;
f) personale di collaborazione degli istituti e dei centri di servizio sociale per adulti, di cui al comma 1 dell'articolo 140 e al comma 1 dell'articolo 145;
g) funzionari direttivi dei centri di servizio sociale per adulti, di cui al comma 1 dell'articolo 145;
h) assistenti sociali, di cui al comma 1 dell'articolo 145;
i) operatori di servizio sociale, di cui al comma 5 dell'articolo 143 e al comma 1 dell'articolo 145.
3. Nei ruoli elencati al comma 2 non è compreso il personale dell'area sanitaria, che deve essere inserito nel Servizio sanitario nazionale.
1. Devono essere realizzate in via di urgenza le assunzioni di personale specificamente indicate dal presente articolo.
2. Per un terzo dei posti in organico del ruolo degli educatori, definito ai sensi dell'articolo 172, la copertura è effettuata, nell'ambito dei singoli provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria, con gli educatori professionali risultati idonei nei concorsi presso gli enti locali, secondo i criteri definiti dal dipartimento della amministrazione penitenziaria.
3. Alla copertura dei posti in organico del ruolo degli esperti dell'osservazione e trattamento, definito ai sensi dell'articolo 172, si provvede inizialmente, a loro richiesta, con gli esperti attualmente operanti negli istituti con rapporto libero professionale, in considerazione dei periodi di servizio prestati e previa positiva valutazione del servizio stesso. Il provveditorato regionale della amministrazione penitenziaria provvede agli atti necessari per lo svolgimento della procedura di assunzione in via di urgenza, secondo i tempi, la progressione e i criteri definiti dal dipartimento della amministrazione penitenziaria che, all'esito della procedura, provvede all'assunzione.
4. Per la metà dei posti in organico del ruolo degli operatori di servizio sociale, definito ai sensi dell'articolo 172, la copertura è attuata, nell'ambito dei singoli provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria, con le persone risultate idonee nei concorsi presso gli enti
1. Possono essere stabiliti rapporti libero professionali con persone, dotate di particolare preparazione, per gli uffici di cui alle lettere a) e b) del comma 3 e al comma 4 dell'articolo 147.
2. I rapporti di cui al comma 1 sono stabiliti con singole convenzioni, che definiscono anche i relativi compensi.
1. Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, è emanato il relativo regolamento di attuazione. Per quanto riguarda la materia dell'istruzione negli istituti penitenziari, il regolamento è emanato di concerto anche con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
2. Fino alla emanazione del regolamento di cui al comma 1 si applicano, per quanto compatibili con le norme della presente legge, le disposizioni del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230.
1. La legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, è abrogata.
2. Gli articoli 176 e 177 del codice penale sono abrogati.
3. La legge 5 dicembre 2005, n. 251, è abrogata.