PROPOSTA DI LEGGE

TITOLO I
TRATTAMENTO PENITENZIARIO E DIRITTI DEI DETENUTI E DEGLI INTERNATI

Capo I.
PRINCÌPI DIRETTIVI.

Art. 1.
(Trattamento e rieducazione).

      1. Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona.
      2. Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a sesso, nazionalità, razza, condizioni economiche e sociali, opinioni politiche e credenze religiose. I detenuti e gli internati stranieri, qualora sprovvisti di permesso di soggiorno, sono titolari di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia.
      3. Negli istituti deve essere mantenuto l'ordine e garantito il rispetto dei diritti. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette e, nei confronti degli imputati, non indispensabili ai fini giudiziari. Comunque, ogni restrizione della libertà, ulteriore a quella del regime ordinario di cui alla presente legge, deve essere tassativamente prevista dalla legge.
      4. I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro nome.
      5. Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato al principio che essi non sono considerati colpevoli sino alla condanna definitiva.
      6. Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento di risocializzazione che tenda, anche

 

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attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti.
      7. Ai sensi del comma 6, i condannati e gli internati hanno diritto a disporre degli elementi del trattamento previsti dalla presente legge, attuati sul piano collettivo e su quello individuale, secondo il programma di cui all'articolo 18, che deve essere predisposto per ciascuno di loro.
      8. Tutti i detenuti e gli internati hanno inoltre diritto al rispetto delle regole generali di trattamento previste dalla presente legge con riferimento alle loro indispensabili esigenze di vita.
      9. Il mantenimento dell'ordine non può condizionare od ostacolare l'attuazione dei diritti di cui al presente articolo, ma deve qualificarsi come lo strumento finalizzato e subordinato al raggiungimento dell'attuazione predetta, che rappresenta il fine della attività degli istituti penitenziari. La regolarità dello svolgimento delle attività trattamentali organizzate per la comunità penitenziaria è assicurata dagli stessi operatori che gestiscono tali attività. Il personale istituzionalmente delegato al mantenimento dell'ordine e della disciplina si limita alla ricognizione delle situazioni, intervenendo direttamente solo se richiesto o, in genere, nei casi in cui se ne manifesti, comunque, la necessità. Le ragioni di ordine non possono essere addotte per limitare lo svolgimento delle attività trattamentali, e l'attività di prevenzione di disordini o di eventi critici deve essere legata a indizi documentati, relativi ad effettive situazioni di rischio.

Art. 2.
(Spese per l'esecuzione delle pene e delle misure di sicurezza detentive).

      1. Le spese per l'esecuzione delle pene e delle misure di sicurezza detentive sono a carico dello Stato.
      2. Il rimborso delle spese di mantenimento da parte dei condannati è effettuato

 

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ai sensi degli articoli 145, come modificato dal presente comma, 188, 189 e 191 del codice penale e 274 del codice di procedura penale. Il terzo comma dell'articolo 145 del codice penale è abrogato. Si applica l'articolo 33 della presente legge.
      3. Il rimborso delle spese di mantenimento da parte degli internati si effettua mediante prelievo di una quota della remunerazione ai sensi del quarto comma dell'articolo 213 del codice penale ovvero per effetto della disposizione sul rimborso delle spese di spedalità, di cui al quinto comma del citato articolo 213 del codice penale. Si applica l'articolo 33 della presente legge.
      4. Sono spese di mantenimento quelle concernenti gli alimenti ed il corredo.
      5. Il rimborso delle spese di mantenimento ha luogo per una quota non superiore ai due terzi del costo reale. Il Ministro della giustizia, al principio di ogni esercizio finanziario, determina, sentito il Ministro dell'economia e delle finanze, la quota media di mantenimento dei detenuti in tutti gli istituti penitenziari della Repubblica.

Art. 3.
(Parità di condizioni fra i detenuti e gli internati).

       1. Negli istituti penitenziari è assicurata ai detenuti e agli internati parità di diritti e di condizioni di vita. In particolare il regolamento di attuazione della presente legge emanato ai sensi dell'articolo 175, di seguito denominato «regolamento», stabilisce limitazioni in ordine all'ammontare del peculio disponibile e dei beni provenienti dall'esterno.
      2. Devono essere operati adeguati interventi per prevenire e dare aiuto alle persone in situazioni di povertà economiche e sociali, curando in particolare se le stesse possano accedere agli aiuti economici e sociali previsti dai servizi competenti senza essere penalizzate dalla loro condizione di emarginazione o di restrizione della libertà personale.

 

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Art. 4.
(Esercizio dei diritti dei detenuti e degli internati).

      1. I detenuti e gli internati esercitano personalmente tutti i diritti e le facoltà loro derivanti dalla presente legge.
      2. La fruizione dei diritti e delle facoltà di cui al comma 1 non deve essere subordinata ad autorizzazioni della autorità dirigente, salvo nei casi nei quali occorrono verifiche dei presupposti per l'esercizio del diritto o della facoltà.

Art. 5.
(Minori degli anni diciotto sottoposti a misure penali. Magistratura di sorveglianza).

      1. Salvo quanto disposto nei commi 2 e 3, le norme della presente legge si applicano anche nei confronti dei minori degli anni diciotto sottoposti a misure penali. Entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge il Governo è delegato ad adottare un decreto legislativo recante l'ordinamento penitenziario per i minorenni, prevedendo una nuova organizzazione del personale, che affidi la esecuzione della pena ad operatori sociali, con esclusione di personale di polizia, nonché valutando l'opportunità di confermare l'attuale inserimento del personale della nuova organizzazione nel sistema pubblico statale, ovvero di inserire tale personale nel sistema pubblico regionale in conformità a quanto già avviene per gli altri interventi sociali destinati ai minorenni.
      2. Le misure di sicurezza dell'ospedale psichiatrico giudiziario e della casa di cura e custodia non sono applicabili nei confronti di coloro che hanno commesso il reato quando erano minori di anni diciotto.
      3. Nei confronti dei soggetti di cui al comma 2 non si applicano inoltre le disposizioni dei decreti-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e

 

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8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, che limitano o escludono la ammissibilità ai permessi di risocializzazione, alle misure alternative e al lavoro all'esterno previsti dalla presente legge o la condizionano a determinate circostanze legate al tipo dei reati commessi. Non si applica, inoltre, il comma 5 dell'articolo 41 della presente legge.
      4. Nei confronti dei minori di cui ai commi 1, 2, e 3 e dei soggetti che commisero il reato quando erano minori di anni diciotto, le funzioni del tribunale di sorveglianza e del magistrato di sorveglianza sono esercitate, rispettivamente, dal tribunale per i minorenni e dal giudice di sorveglianza presso il tribunale per i minorenni.
      5. Al giudice di sorveglianza presso il tribunale per i minorenni non si applica la disposizione di cui al comma 4 dell'articolo 102.

Capo II
CONDIZIONI GENERALI

Art. 6.
(Caratteristiche degli istituti penitenziari e degli edifici dei medesimi).

      1. I detenuti e gli internati hanno diritto ad una presa in carico che garantisca la conoscenza specifica della loro situazione e dei loro bisogni da parte degli operatori penitenziari, indispensabile per attivare tutti gli interventi nei loro confronti.
      2. In funzione del diritto di cui al comma 1, gli istituti penitenziari devono essere realizzati in modo da accogliere un numero non elevato di detenuti o di internati. Gli istituti già esistenti che non rispondono a tali caratteristiche devono essere articolati in reparti distinti in grado di organizzare e di svolgere le attività penitenziarie previste dalla presente legge; in tali strutture può comunque permanere

 

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una direzione unica, che provvede a organizzare e a svolgere le attività che richiedono una gestione unitaria.
      3. Per ogni istituto, secondo i criteri di cui al comma 4 dell'articolo 7, deve essere stabilita la capienza regolamentare.
      4. È riconosciuto il diritto dei detenuti e degli internati ad un regime di vita che distribuisca la giornata fra periodo notturno di pernottamento e periodo diurno di attività, in modo da evitare eventuali danni fisico-psichici da istituzionalizzazione.
      5. Gli istituti penitenziari devono essere dotati di locali per le esigenze di vita individuale, con funzione di pernottamento, nonché di locali e di spazi per lo svolgimento delle attività in comune, organizzate per consentire, durante il giorno, un regime di vita attivo secondo le prescrizioni della presente legge.
      6. I locali e gli spazi comuni devono essere utilizzati con continuità e integrati con ulteriori spazi, se occorre, per garantire il regime di vita indicato al comma 5.

Art. 7.
(Locali di soggiorno e di pernottamento).

      1. I locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura, areati, riscaldati ove le condizioni climatiche lo esigono, e dotati di servizi igienici riservati e decenti, realizzati secondo le norme vigenti. Tali locali devono essere dotati di adeguato arredo, corrispondente alle esigenze dei singoli detenuti e internati e mantenuti in buono stato di conservazione e di pulizia.
      2. I locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti.
      3. Le finestre delle camere devono consentire il passaggio diretto di luce e di aria naturali. Non sono consentite reti o schermature che impediscono tale passaggio. Sono approntati pulsanti per la illuminazione artificiale delle camere, nonché

 

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per il funzionamento degli apparecchi radio e televisivi, sia all'esterno, per il personale, sia all'interno, per i detenuti e internati. Il personale, con i pulsanti esterni, può escludere il funzionamento di quelli interni solo quando la utilizzazione di questi pregiudica l'ordinata convivenza dei detenuti e degli internati. Per i controlli notturni da parte del personale, la illuminazione è di intensità attenuata e il suo impiego deve essere limitato al momento del controllo.
      4. Le dimensioni e le corrispondenti capienze dei locali di cui ai commi 1, 2 e 3 sono definite in applicazione degli standard minimi riconosciuti dal Consiglio d'Europa. I locali stessi non possono essere utilizzati oltre le capienze definite ai sensi del periodo precedente, se non in presenza di esigenze eccezionali e per il tempo strettamente necessario alla loro rimozione. Il superamento dei limiti di capienza deve essere immediatamente segnalato dalla direzione dell'istituto al servizio sanitario operante nello stesso e al competente provveditorato regionale della amministrazione penitenziaria, al magistrato di sorveglianza e agli altri organi pubblici competenti.
      5. I detenuti e gli internati hanno diritto al rispetto delle regole di cui al comma 4, che hanno conseguenze immediate sulle loro condizioni di vita.
      6. Particolare cura è impiegata nella scelta di quei soggetti che sono collocati in camere a più posti.
      7. Agli imputati deve essere garantito il pernottamento in camere ad un posto a meno che la situazione particolare dell'istituto non lo consenta.
      8. Ciascun detenuto e internato dispone di un adeguato corredo per il proprio letto.
      9. I detenuti e gli internati provvedono direttamente alla pulizia delle loro camere e dei relativi servizi igienici. A tale fine sono messi a loro disposizione mezzi e materiali adeguati. Per le persone impossibilitate a provvedervi, è utilizzata l'opera retribuita di detenuti e di internati.
      10. La permanenza nei locali di pernottamento non può superare quattordici
 

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ore al giorno nell'anno successivo a quello di entrata in vigore della presente legge; tale permanenza è progressivamente ridotta di un'ora ogni anno fino a raggiungere il limite definitivo di dieci ore al giorno.

Art. 8.
(Vestiario e corredo).

      1. Ciascuna persona è fornita dalla amministrazione penitenziaria di biancheria, di vestiario e di effetti di uso in quantità sufficiente, in buono stato di conservazione e di pulizia e tali da assicurare la soddisfazione delle normali esigenze di vita.
      2. I detenuti e gli internati possono comunque indossare abiti di loro proprietà, purché puliti e convenienti.

Art. 9.
(Igiene personale).

      1. È assicurato ai detenuti e agli internati il diritto all'uso quotidiano di servizio igienico, lavabo, doccia e, negli istituti o sezioni femminili, di bidet, con acqua corrente calda e fredda, nonché alla disponibilità di quanto necessario alla cura e alla pulizia della persona. Le apparecchiature igieniche indicate sono collocate in un locale separato, accessorio e comunicante con la camera di pernottamento e liberamente accessibile dalla stessa. Nelle camere a più posti, il servizio igienico è collocato in un apposito spazio separato dalle altre apparecchiature necessarie alla cura e alla pulizia della persona.
      2. In ciascun istituto sono organizzati i servizi per il periodico taglio dei capelli e la rasatura della barba. Può essere consentito l'uso di rasoio elettrico personale.
      3. Il taglio dei capelli e della barba può essere imposto soltanto per particolari ragioni igienico-sanitarie accertate dal sanitario.
      4. Servizi igienici, lavabi e docce in numero adeguato devono, inoltre, essere

 

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collocati nelle adiacenze dei locali e delle aree dove si svolgono attività in comune.

Art. 10.
(Alimentazione).

      1. I detenuti e gli internati hanno diritto ad una alimentazione sana e sufficiente, adeguata alla età, al sesso, allo stato di salute, al lavoro, alla stagione, al clima e alle diverse abitudini e culture alimentari. A questo scopo sono destinate risorse atte a garantire adeguate quantità e qualità della alimentazione, assumendo come parametro la spesa per le strutture comunitarie pubbliche.
      2. I detenuti e gli internati devono avere sempre a disposizione acqua potabile.
      3. Le quantità e la qualità del vitto giornaliero sono determinate da apposite tabelle approvate con decreto ministeriale della salute, che deve tenere conto delle variazioni climatiche stagionali e delle diversità territoriali. Ai fini della emanazione del decreto, i singoli provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria propongono le variazioni opportune con riferimento ai territori di competenza.
      4. Il servizio di vettovagliamento è di regola gestito dalla amministrazione penitenziaria direttamente o avvalendosi di cooperative sociali.
      5. Ai detenuti e agli internati è consentito l'acquisto, a proprie spese, di generi alimentari e di conforto, entro i limiti fissati dal regolamento. La vendita dei generi alimentari e di conforto deve essere affidata di regola a spacci gestiti direttamente dalla amministrazione carceraria o da imprese che esercitano la vendita a prezzi controllati dalla autorità comunale competente, dando priorità alle cooperative sociali. I prezzi non devono essere superiori a quelli praticati negli esercizi esterni del luogo in cui è ubicato l'istituto, compresi quelli della grande distribuzione. La direzione dell'istituto assume mensilmente informazioni in proposito presso l'autorità comunale competente, procedendo

 

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a verifiche negli esercizi commerciali e sentendo anche la rappresentanza dei detenuti e degli internati di cui al comma 7. La direzione verifica altresì la corrispondenza dei prezzi interni e ne dispone l'adeguamento quando tale corrispondenza manchi.
      6. Per i generi di cui al comma 5, per i quali sia possibile, deve essere favorito l'acquisto a mezzo di distributori automatici con schede prepagate, che vengono ricaricate mensilmente, con un sistema limitativo della spesa giornaliera e mensile, secondo le indicazioni del dipartimento della amministrazione penitenziaria.
      7. Una rappresentanza dei detenuti e degli internati, designata di regola per sorteggio e mensilmente, controlla l'applicazione delle tabelle, la preparazione del vitto e la sua qualità nonché i prezzi dei generi venduti nell'istituto. Negli istituti in cui la preparazione del vitto è effettuata in diverse cucine, è costituita una rappresentanza per ciascuna cucina.
      8. Negli istituti, ogni cucina deve servire un massimo di duecento persone. Se il numero dei detenuti o degli internati è maggiore, sono attrezzate diverse cucine.
      9. Il servizio di cucina è svolto dai detenuti e dagli internati. A tale fine sono costantemente organizzati corsi di formazione professionale per gli stessi.
      10. Il vitto è somministrato caldo, di regola in locali allo scopo destinati, utilizzabili per un numero non elevato di detenuti e di internati. Il regolamento interno stabilisce le modalità con le quali, a turno, i detenuti e gli internati sono ammessi a cucinare in locali attrezzati a tale fine.
      11. È consentito ai detenuti e agli internati, nelle proprie camere, l'uso di fornelli personali per riscaldare liquidi e cibi già cotti e per preparare bevande e cibi di facile e rapido approntamento.
      12. Sono consentiti l'acquisto e il consumo giornaliero di vino e di birra nella misura indicata dal regolamento. La distribuzione e il consumo avvengono di regola nei locali in cui si consumano i pasti. In ogni caso è vietato l'accumulo di
 

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bevande alcooliche. L'acquisto e l'uso di bevande alcooliche possono essere vietati dal regolamento interno o, se questo manchi, dalla direzione, su parere del gruppo di osservazione e trattamento, quando li si considera dannosi per il regolare svolgimento delle attività trattamentali svolte.

Art. 11.
(Ricezione, acquisto e possesso di oggetti e cessioni fra detenuti e internati).

      1. I detenuti e gli internati possono tenere con sè i generi e gli oggetti utili alla cura della persona, al soddisfacimento dei loro interessi culturali e artistici, nonché alla partecipazione e all'espletamento delle attività trattamentali. È consentito inoltre il possesso di oggetti di particolare valore morale o affettivo. È consentito inoltre di tenere nella propria camera, per i motivi indicati nel primo periodo, computer portatili privi di collegamenti in rete e i supporti informatici relativi. Tali generi ed oggetti sono sottoposti al limite di non determinare, nella camera, un ingombro eccessivo. Nelle camere a più posti tale valutazione tiene conto della compatibilità dell'analogo diritto degli altri occupanti.
      2. Il regolamento specifica gli altri generi ed oggetti che possono essere tenuti, oltre a quelli previsti dal comma 1. Possono altresì essere indicate limitazioni dettate da motivate esigenze di sicurezza, igiene e compatibilità di spazio. I libri, comunque, possono essere sempre tenuti e non ne può essere disposta la scomposizione.
      3. E vietato il possesso di denaro.
      4. I generi e gli oggetti provenienti dall'esterno devono essere contenuti in pacchi che, prima della consegna ai destinatari, devono essere sottoposti a controllo; tale controllo deve essere operato in modo da evitare il danneggiamento delle cose. Il numero e il peso di tali pacchi sono specificati nel regolamento, che indica anche i generi alimentari di consumo comune che non richiedono manomissioni

 

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in sede di controllo e le modalità di ricezione degli stessi.
      5. I libri possono essere inviati separatamente dai pacchi di cui al comma 4 e senza tenere conto dei limiti stabiliti nello stesso comma.
      6. Non è ammessa la ricezione dall'esterno di bevande alcoliche.
      7. La cessione e la ricezione di somme in peculio fra detenuti e internati sono vietate, salvo che si tratti di componenti dello stesso nucleo familiare.
      8. È consentita la cessione fra detenuti e internati di oggetti di modico valore, compresi i generi alimentari.

Art. 12.
(Caratteristiche e utilizzazione degli spazi all'aperto).

      1. Gli istituti penitenziari devono disporre di spazi all'aperto, non interclusi fra fabbricati, compresi quelli necessari per lo svolgimento di attività sportive, ricreative e, in genere, trattamentali.
      2. I detenuti e gli internati hanno diritto a permanere all'aperto per tempi adeguati, non inferiori alle quattro ore giornaliere, tenuto conto della necessità di compensare i lunghi periodi di permanenza in locali chiusi. Per motivi eccezionali, esclusivamente relativi alla agibilità delle strutture e degli spazi, e per tempi definiti e brevi, la permanenza all'aperto può essere ridotta a due ore giornaliere con provvedimento motivato del direttore dell'istituto, che viene comunicato al provveditore regionale della amministrazione penitenziaria e al magistrato di sorveglianza. Gli spazi destinati alla sola permanenza all'aperto devono offrire possibilità di protezione dagli agenti atmosferici.
      3. I detenuti e gli internati hanno anche diritto a partecipare alle attività sportive, ricreative e trattamentali in genere. A tale fine gli spazi all'aperto esistenti devono essere adeguatamente attrezzati e utilizzati con continuità.

 

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      4. La utilizzazione degli spazi all'aperto per la fruizione dei diritti di cui ai commi 2 e 3 è stabilita con un programma da definire, anche attraverso le valutazioni dei servizi sanitario, psicologico ed educativo, come strumento essenziale per contenere gli effetti negativi sul piano fisico e psichico della permanenza in una comunità chiusa con prevalenza di vita in ambienti interni.
      5. La fruizione degli spazi all'aperto da parte dei detenuti e degli internati è effettuata in gruppi, salvo i casi di esclusione per brevi periodi, previsti dalla presente legge.

Art. 13.
(Diritto alla salute e servizio sanitario).

      1. La custodia cautelare, la pena detentiva e le misure di sicurezza detentive devono essere eseguite nel rispetto del diritto alla salute delle persone, previsto dall'articolo 32 della Costituzione. Negli istituti penitenziari non devono essere operati trattamenti o poste in essere situazioni che siano contrari al senso di umanità e che siano, comunque, pregiudizievoli della salute psichica e fisica dei detenuti e degli internati.
      2. Tutte le persone in esecuzione di pena, misura di sicurezza e custodia cautelare, hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali e in quelli locali. Tutte le persone predette, qualora già non lo siano, sono iscritte al Servizio sanitario nazionale presso l'azienda sanitaria locale (ASL) competente nel luogo in cui è posto l'istituto o in cui si trovano.
      3. Le regioni definiscono, di concerto con i provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria, le modalità di attuazione dell'assistenza di cui al comma 2,

 

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sia generica che specialistica, secondo i princìpi della gratuità, della eguaglianza fra gli utenti e della continuità dei servizi attraverso la presa in carico dei singoli casi dall'inizio fino alla conclusione degli interventi di cura. La continuità dei servizi è assicurata sia attraverso il collegamento con il servizio che seguiva l'utente prima della detenzione, sia con quello che dovrà seguirlo successivamente alla conclusione della stessa.
      4. Deve essere assicurato un adeguato intervento di medicina preventiva nei confronti dei singoli utenti. Devono essere altresì assicurati la verifica del livello del rischio per la salute nelle situazioni detentive dei singoli istituti penitenziari e gli interventi adeguati per la eliminazione o, almeno, il contenimento del rischio stesso, attraverso la rimozione delle prolungate situazioni di inerzia, di limitazione del movimento e della attività fisica.
      5. Negli istituti penitenziari deve essere assicurato, di concerto con l'area sanitaria generale del territorio, l'intervento multidisciplinare del dipartimento di salute mentale, che deve potere contare su strutture interne distinte ed adeguate, sia ambulatoriali che di permanenza breve o prolungata.
      6. Fin dall'inizio della carcerazione, deve essere attuato l'intervento di assistenza e cura del disagio personale dei detenuti e degli internati conseguente all'inizio e al proseguimento della reclusione. A tale fine, in ogni istituto, è organizzato un servizio di assistenza psicologica e multiprofessionale per la intercettazione e la presa in carico psico-sociale e medica dei soggetti in crisi o a rischio suicidario, con il coinvolgimento delle strutture socio-sanitarie territoriali e del volontariato. Devono essere coordinati con tale servizio gli altri servizi dell'istituto, compresi quelli che svolgono le attività di osservazione e trattamento e quelli di cui ai commi 7 e 8. Devono anche essere mantenuti stretti contatti con il dipartimento di cui al comma 5.
      7. È assicurato l'intervento multidisciplinare del dipartimento delle dipendenze da sostanze stupefacenti o psicotrope,
 

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nonché dei servizi alcoologici, che devono disporre di tutte le risorse che consentono lo svolgimento di progetti riabilitativi sia all'interno che, con preferenza, nei servizi pubblici o privati esterni.
      8. Ai detenuti e agli internati sono assicurati inoltre tutti gli interventi, realizzati all'esterno per le persone libere, per migliorare la qualità e la pertinenza delle diagnosi e delle cure in ambito oncologico, nei confronti dei sieropositivi da HIV e delle persone affette da forme patologiche con potenzialità infettive. Attraverso campagne informative collettive e interventi individuali sono favorite la consapevolezza dei rischi e la disponibilità agli interventi diagnostici relativi a queste patologie. Tali situazioni sono, comunque, tempestivamente segnalate alle autorità giudiziarie competenti a decidere sulla rimozione o sul differimento della situazione detentiva.
      9. In ogni istituto o sezione di istituto penitenziario per donne deve essere assicurata l'assistenza sanitaria alle gestanti e alle puerpere. Se le interessate sono detenute o internate in custodia cautelare, in esecuzione di pena o di misura di sicurezza, la situazione è segnalata alla autorità giudiziaria competente per la immediata sospensione o differimento della situazione detentiva nell'istituto di pena o di prevenzione. Qualora l'autorità giudiziaria, se non è obbligata a fare cessare lo stato detentivo in carcere, rifiuti la revoca, la modifica o il differimento dello stesso, alle madri è consentito di tenere presso di sè i figli fino all'età di tre anni, salva, comunque, la applicazione degli articoli 30 e 63. Per la cura e l'assistenza dei bambini sono organizzati appositi asili nido, di libero accesso per le madri, ed è altresì assicurato l'accesso ai corrispondenti servizi pubblici esterni.
      10. Negli ospedali psichiatrici giudiziari e nelle case di cura e custodia la direzione degli istituti appartiene al personale medico-psichiatrico. Lo stesso, con la collaborazione del personale paramedico e riabilitativo, provvede alla gestione dei reparti di accoglienza, assistenza e cura degli istituti. Il personale che cura l'ordine interviene
 

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all'interno dei reparti predetti solo se richiesto dal personale sanitario.
      11. I detenuti e gli internati hanno diritto ad essere visitati o a fruire, all'interno dell'istituto, di interventi sanitari da parte del medico di famiglia o, comunque, di personale sanitario di fiducia, salva, per gli imputati, la concessione di autorizzazione da parte della autorità giudiziaria competente, che può essere negata solo per particolari e motivate esigenze cautelari.

Art. 14.
(Organizzazione e svolgimento del servizio sanitario).

      1. Fin dall'inizio, all'intervento sanitario si accompagna la presa in carico della persona che ne fruisce. All'atto dell'ingresso nell'istituto i soggetti sono sottoposti a visita medica generale allo scopo di accertare eventuali malattie fisiche o psichiche. L'assistenza sanitaria è prestata, nel corso della permanenza nell'istituto, con periodiche e frequenti visite, indipendentemente dalle richieste degli interessati.
      2. Il sanitario deve visitare ogni giorno gli ammalati e coloro che ne facciano richiesta; deve segnalare immediatamente la presenza di malattie che richiedono particolari indagini e cure specialistiche; deve, inoltre, controllare periodicamente l'idoneità dei soggetti ai lavori cui sono addetti.
      3. Nel rispetto della dignità dei pazienti, ogni intervento medico si deve attenere alle regole sul consenso informato, salvo i casi di trattamento sanitario obbligatorio.
      4. Il responsabile sanitario, quando ritiene che la salute dei reclusi e del personale non possa essere garantita con altri sistemi precauzionali, dispone l'isolamento delle persone affette da malattia contagiosa.
      5. I servizi specialistici ed, in particolare, quelli di assistenza psichiatrica, delle tossicodipendenze e della alcoologia, operano una propria presa in carico dei soggetti e svolgono la loro attività in autonomia dal servizio sanitario interno.

 

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Art. 15.
(Assistenza in luogo esterno di cura. Modalità della sorveglianza).

      1. Ove siano necessari cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i detenuti e gli internati sono trasferiti, con provvedimento del magistrato di sorveglianza, in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura. Per gli imputati, detti trasferimenti sono disposti, dopo la pronunzia della sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza; prima della pronunzia della sentenza di primo grado, dal giudice competente secondo il procedimento seguito e la fase processuale in atto e, in particolare, dal presidente del collegio, se si tratti di organo giudicante collegiale; dal presidente del tribunale, nel corso degli atti preliminari al giudizio dinanzi la corte di assise fino alla convocazione della corte stessa e dal presidente di essa successivamente alla convocazione. Nei casi di assoluta urgenza provvede il direttore dell'istituto, salva successiva ratifica della autorità giudiziaria competente.
      2. L'autorità giudiziaria competente ai sensi del comma 1 può disporre, quando non vi sia pericolo di fuga, che i detenuti e gli internati trasferiti in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura con proprio provvedimento, o con provvedimento del direttore dell'istituto nei casi di assoluta urgenza, non siano sottoposti a piantonamento durante la degenza, salvo che sia necessario per la tutela della loro incolumità personale.
      3. Il detenuto o l'internato che, non essendo sottoposto a piantonamento, si allontana dal luogo di cura senza giustificato motivo è punibile ai sensi del primo comma dell'articolo 385 del codice penale.

Art. 16.
(Vigilanza sullo svolgimento del servizio sanitario).

      1. È istituita, per gli istituti compresi in ogni territorio provinciale, una commissione per la vigilanza e la valutazione dei

 

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servizi relativi alla tutela della salute e alla assistenza sanitaria dei detenuti e degli internati.
      2. La commissione è nominata dal presidente della provincia ed è formata da cinque persone, aventi specifiche competenze, che non abbiano legami professionali o personali con i responsabili della gestione sanitaria controllata. La commissione resta in carica tre anni, durante i quali i singoli componenti, per impedimento o assenza protratta, possono essere sostituiti.
      3. La commissione opera con visite ordinarie semestrali negli istituti penitenziari e con visite straordinarie ove ne ravvisi la necessità. Le visite si svolgono senza preavviso, con la facoltà di svolgere accertamenti sulla situazione dei luoghi e sulla documentazione sanitaria, anche attraverso l'esame delle persone assistite e degli operatori sanitari.
      4. La commissione verifica, oltre che la adeguatezza dei servizi relativi alla salute e alla assistenza sanitaria, anche la validità dei rapporti di collaborazione fra il personale della ASL operante nel singolo istituto e quello della amministrazione penitenziaria.
      5. La commissione adotta le sue conclusioni con apposita relazione, approvata, ove occorra, a maggioranza. Il dissenso viene espresso con relazione di minoranza.
      6. Le conclusioni di cui al comma 5 sono comunicate alla provincia, alla regione, al comune, e alla ASL di competenza, nonché al magistrato di sorveglianza, al provveditorato regionale della amministrazione penitenziaria e alla direzione dell'istituto.

Art. 17.
(Attrezzature per attività di lavoro, di istruzione e di ricreazione).

      1. Negli istituti penitenziari, secondo le esigenze del trattamento, sono approntate attrezzature per lo svolgimento di attività lavorative, di istruzione scolastica e professionale, ricreative, culturali, sportive e

 

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di ogni altra attività in comune, avvalendosi anche di strumenti e di supporti informatici.
      2. Gli istituti devono inoltre essere forniti di una biblioteca costituita da libri, periodici e quotidiani, scelti dalla commissione prevista dal comma 2 dell'articolo 36. La biblioteca è collegata con le biblioteche del territorio ed è organizzata anche come sala di lettura e di animazione socioculturale, fruibile liberamente.
      3. La biblioteca è allestita anche come mediateca, dotata di attrezzature e di materiale multimediale.
      4. Alla gestione del servizio di biblioteca partecipano rappresentanti dei detenuti e degli internati, che espletano la loro attività nel tempo libero. La biblioteca si avvale, inoltre, di uno o più detenuti scrivani, regolarmente retribuiti.

Capo III.
MODALITÀ DEL TRATTAMENTO

Art. 18.
(Individualizzazione del trattamento).

      1. Il trattamento penitenziario deve salvaguardare la salute e la dignità dei detenuti e degli internati e sviluppare il loro senso di responsabilità e incoraggiare quelle attitudini e competenze che possono sostenerli nel reinserimento sociale.
      2. Nei confronti dei detenuti e degli internati è predisposta l'osservazione multiprofessionale della personalità, diretta all'accertamento dei bisogni di ciascuna persona connessi alle eventuali carenze fisio-psichiche, affettive, educative e sociali, che sono state di pregiudizio alla instaurazione di una normale vita di relazione.
      3. Nell'ambito della osservazione di cui al comma 2 è anche offerta all'interessato l'opportunità di una riflessione sulle condotte antigiuridiche addebitate. Tale riflessione non riguarda in alcun modo gli

 

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aspetti del risarcimento del danno conseguente al reato addebitato, che restano riservati alla sede giudiziaria dell'azione civile, se proponibile e proposta.
      4. L'osservazione è compiuta all'inizio dell'esecuzione e proseguita nel corso di essa.
      5. Per ciascun detenuto e internato, in base ai risultati della osservazione, sono formulate indicazioni in merito al trattamento penitenziario da effettuare ed è compilato il relativo programma, che è integrato o modificato secondo le esigenze che si prospettano nel corso dell'esecuzione. La prima formulazione del programma è redatta entro tre mesi dall'inizio della esecuzione.
      6. Le indicazioni generali e particolari della osservazione e del trattamento e i loro aggiornamenti sono inseriti, unitamente ai dati giudiziari, biografici e sanitari, nella cartella personale del detenuto o dell'internato, nella quale sono successivamente annotati gli sviluppi della osservazione e della attuazione del programma di trattamento, nonché i risultati di questo.
      7. Deve essere favorita la collaborazione dei detenuti e degli internati alle attività di osservazione e trattamento.
      8. I detenuti e gli internati, per la attuazione della finalizzazione costituzionale della pena e delle misure di sicurezza volte alla rieducazione alla risocializzazione, hanno diritto allo svolgimento della osservazione e alla predisposizione e successiva realizzazione, in costanza della collaborazione dell'interessato, del programma di trattamento previsto dal presente articolo.

Art. 19.
(Assegnazione, raggruppamento e categorie dei detenuti e degli internati).

      1. Il numero dei detenuti e degli internati negli istituti e nelle loro sezioni deve essere limitato e, comunque, tale da consentire l'individualizzazione del trattamento.

 

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      2. L'assegnazione dei condannati e degli internati ai singoli istituti e il raggruppamento nelle sezioni di ciascun istituto sono disposti con particolare riguardo alla possibilità di procedere ad un trattamento di risocializzazione nella comunità e all'esigenza di evitare influenze nocive reciproche. Per le assegnazioni agli istituti sono, inoltre, applicati i criteri di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 53.
      3. È assicurata la separazione degli imputati dai condannati e dagli internati, dei giovani al di sotto dei venticinque anni dagli adulti di età maggiore, dei detenuti dagli internati e dei condannati all'arresto dai condannati alla reclusione.
      4. È consentita, in particolari circostanze, l'ammissione di detenuti e di internati ad attività organizzate per categorie diverse da quelle di appartenenza.
      5. Le donne sono ospitate in istituti separati o in apposite sezioni di istituto.

Art. 20.
(Elementi del trattamento).

      1. Il trattamento del condannato e dell'internato è svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, della riflessione morale e religiosa, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia.
      2. Per l'attuazione del programma di trattamento, ai sensi dell'articolo 18, i detenuti e gli internati hanno diritto a disporre degli elementi del trattamento di cui al comma 1. Gli istituti penitenziari sono organizzati al fine di rendere tali elementi concretamente disponibili per gli interessati.
      3. Gli imputati sono ammessi, a loro richiesta, a partecipare ad attività risocializzanti, culturali e ricreative e, salvo contrarie disposizioni dell'autorità giudiziaria, a svolgere attività lavorativa o di formazione professionale, possibilmente di loro scelta.

 

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Art. 21.
(Regolamento dell'istituto).

      1. In ciascun istituto il trattamento penitenziario è operato secondo le norme della presente legge e del regolamento, in conformità alle quali la amministrazione penitenziaria centrale può impartire direttive applicative. Le concrete modalità del trattamento da seguire in ciascun istituto, con riguardo alle esigenze dei gruppi di detenuti e di internati ivi ristretti, sono disciplinate dal regolamento interno, che è predisposto e modificato da una commissione composta dal direttore, che la presiede, e dai dirigenti delle diverse aree dell'istituto, nonché dal coordinatore degli assistenti sociali ivi assegnati, da un rappresentante del volontariato operante nell'istituto e da un rappresentante dei responsabili delle attività lavorative ivi svolte. Il provvedimento è trasmesso al magistrato di sorveglianza, che lo restituisce con le eventuali osservazioni.
      2. Dopo la restituzione da parte del magistrato di sorveglianza, il regolamento interno, con le eventuali modificazioni, è trasmesso al Ministro della giustizia, che, entro sessanta giorni dalla ricezione, eliminate o modificate le norme in contrasto con l'ordinamento penitenziario o con il regolamento, provvede alla sua approvazione e lo invia al magistrato di sorveglianza, che, se lo ritiene in contrasto con la normativa vigente, lo rinvia al Ministro entro trenta giorni per le sue ulteriori valutazioni e decisioni.
      3. Le norme del regolamento interno in contrasto con la normativa di livello superiore sono inefficaci e devono essere revocate e sono, comunque, disapplicate.
      4. Il regolamento interno deve circostanziare con riferimento al singolo istituto gli aspetti applicativi che riguardano il regime di vita interno, l'adempimento degli obblighi e la fruizione dei diritti per i detenuti e gli internati, nonché gli obblighi degli operatori in ordine all'espletamento dei servizi.
      5. Nel regolamento interno è dedicata particolare cura nella determinazione

 

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delle concrete modalità di svolgimento della vita quotidiana e dello svolgimento delle attività e dei servizi negli istituti in cui sono realizzate iniziative sperimentali.

Art. 22.
(Partecipazione della comunità esterna all'azione rieducativa).

      1. La finalità del reinserimento sociale dei detenuti e degli internati deve essere perseguita anche sollecitando ed organizzando la partecipazione di privati e di istituzioni o associazioni pubbliche o private all'azione di risocializzazione.
      2. Sono ammessi a frequentare gli istituti penitenziari con l'autorizzazione e secondo le direttive del magistrato di sorveglianza, su parere favorevole del direttore, tutti coloro che, avendo concreto interesse per l'opera di risocializzazione dei detenuti e degli internati, dimostrino di potere utilmente promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera.
      3. Le persone indicate nel comma 2 operano sotto il controllo del direttore dell'istituto.

Art. 23.
(Colloqui, corrispondenza e informazione).

      1. I detenuti e gli internati hanno diritto ad avere colloqui, nel numero, con la durata e le modalità previsti dal regolamento, nonché ad avere corrispondenza con i congiunti e i conviventi e con altre persone, anche al fine di compiere atti giuridici. Per i conviventi deve essere verificato il rapporto di convivenza e, per le altre persone, devono risultare ragionevoli motivi. Ove occorra e sia possibile, gli interessati possono ricorrere ad autocertificazioni, controllate a campione, secondo le modalità previste dalla normativa vigente sulla semplificazione amministrativa. Gli stranieri possono ricorrere a dichiarazioni sostitutive di atto notorio. La

 

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direzione dell'istituto dispone, comunque, accertamenti in merito alle circostanze oggetto delle autocertificazioni o delle dichiarazioni nei soli casi in cui vi sono dubbi motivati sulla autenticità delle stesse.
      2. Il regolamento non può prevedere differenze nel numero di colloqui fruibili per particolari gruppi di detenuti e di internati, ad eccezione di quelli sottoposti ai regimi differenziati di cui al capo III del titolo III.
      3. Oltre quanto previsto dal comma 2, i detenuti e gli internati hanno diritto ad avere colloqui, secondo le esigenze, con il tutore, l'amministratore di sostegno e gli operatori appartenenti alle strutture socio-sanitarie che li hanno o che intendono prenderli in carico o con altri soggetti per ragioni attinenti l'esercizio dei diritti civili e sociali. Tali colloqui sono svolti nei locali adibiti agli incontri con gli operatori interni.
      4. Fino alla sentenza di primo grado, l'autorità giudiziaria indicata nel comma 1 dell'articolo 15 può, per ragioni di cautela processuale, escludere la ammissione ai colloqui di singole persone, anche se comprese tra i congiunti; decide, inoltre, in merito alle verifiche di cui al comma 1, sui rapporti di convivenza e sui ragionevoli motivi per i colloqui con terzi. Dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, tali verifiche sono di competenza del direttore dell'istituto. Fino al compimento delle verifiche rimangono in vigore le autorizzazioni ai colloqui rilasciate dalla autorità giudiziaria procedente.
      5. I colloqui si svolgono in appositi locali interni senza mezzi divisori o, particolarmente quando partecipano al colloquio minori di anni quattordici, in spazi all'aperto a ciò destinati, sotto il controllo a vista e non auditivo del personale di custodia. Per i detenuti e gli internati sottoposti ai regimi differenziati di cui al capo III del titolo III, i locali sono attrezzati in conformità alle disposizioni date con i provvedimenti applicativi dei regimi differenziati, nel rispetto della dignità delle persone.
 

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      6. I detenuti e gli internati hanno diritto ad intrattenere corrispondenza telefonica, verso utenza fissa o mobile, situata in Italia o all'estero, con la frequenza e le modalità previste dal regolamento, con i congiunti e i conviventi, nonché con terzi, allorché ricorrano ragionevoli motivi. Per tutti gli accertamenti e per le modalità degli stessi si applicano le disposizioni di cui al comma 1 e al comma 4 con le competenze ivi previste. Il regolamento non può prevedere differenze, nel numero delle telefonate fruibili, per particolari gruppi di detenuti, ad eccezione di quelli sottoposti ai regimi differenziati di cui al capo III del titolo III.
      7. Per ciascun colloquio ordinario non effettuato è concesso ai detenuti e agli internati un colloquio telefonico aggiuntivo, con le persone autorizzate, della durata di quindici minuti. La telefonata può essere effettuata con costo a carico del destinatario.
      8. I detenuti e gli internati, negli istituti o nelle loro sezioni a sorveglianza media o attenuata, possono, previa richiesta scritta e motivata, essere autorizzati dal direttore, su indicazione e con le modalità previste dal programma di trattamento, ad effettuare corrispondenza telefonica da apposita postazione pubblica, situata nel complesso penitenziario all'esterno delle sezioni.
      9. Deve essere favorita la utilizzazione di schede prepagate per l'uso del telefono negli istituti o nelle sezioni a sorveglianza media o attenuata. Le schede vengono ricaricate mensilmente con un sistema limitativo del tempo a disposizione, tenendo conto, come parametro decisivo, della residenza dei congiunti e dei conviventi. Le schede vengono messe a disposizione degli utenti nei giorni e per il tempo previsti dal regolamento interno. Per utilizzare tale sistema, viene organizzato un posto telefonico con più apparecchi, in un locale apposito, messo a disposizione per tempi e giorni determinati.
      10. I detenuti e gli internati hanno diritto a tenere presso di sè i quotidiani, i periodici e i libri in libera vendita
 

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all'esterno e ad avvalersi degli altri mezzi di informazione.
      11. L'amministrazione penitenziaria pone a disposizione dei detenuti e degli internati, che ne sono sprovvisti, gli oggetti di cancelleria necessari per la corrispondenza.

Art. 24.
(Colloqui a fini investigativi).

      1. Il personale della Direzione investigativa antimafia di cui all'articolo 3 del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410, e dei servizi centrali e interprovinciali di cui all'articolo 12 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, nonché gli ufficiali di polizia giudiziaria designati dai responsabili, a livello centrale, della predetta direzione e dei predetti servizi, possono essere autorizzati, ai sensi del comma 2 del presente articolo, ad avere colloqui personali con detenuti e con internati, al fine di acquisire informazioni utili per la prevenzione e la repressione dei delitti di criminalità organizzata.
      2. Al personale di polizia indicato nel comma 1, l'autorizzazione ai colloqui è rilasciata:

          a) quando si tratta di internati, di condannati o di imputati, dal Ministro della giustizia o da un suo delegato;

          b) quando si tratta di persone sottoposte ad indagini, dal pubblico ministero.

      3. Le autorizzazioni ai colloqui indicate nel comma 2 sono annotate in un apposito registro riservato tenuto presso l'autorità competente al rilascio.
      4. In casi di particolare urgenza, attestati con provvedimento del Ministro dell'interno o, per sua delega, dal Capo della polizia, l'autorizzazione prevista nel comma 2, lettera a), non è richiesta, e del colloquio è data immediata comunicazione all'autorità ivi indicata, che provvede all'annotazione

 

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nel registro riservato di cui al comma 3.
      5. La facoltà di procedere a colloqui personali con detenuti e con internati è attribuita, senza necessità di autorizzazione, altresì al procuratore nazionale antimafia ai fini dell'esercizio delle funzioni di impulso e di coordinamento previste dall'articolo 371-bis del codice di procedura penale; al medesimo procuratore nazionale antimafia sono comunicati i provvedimenti di cui ai commi 2 e 4 del presente articolo, qualora concernenti colloqui con persone sottoposte ad indagini, imputate o condannate per taluno dei delitti indicati nell'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale.

Art. 25.
(Limitazioni e controlli della corrispondenza e della ricezione della stampa).

      1. Per esigenze attinenti alle indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza e di ordine dell'istituto, possono essere disposte, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a tre mesi, prorogabile per analoghi periodi:

          a) limitazioni della corrispondenza epistolare e telegrafica e della ricezione della stampa;

          b) la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo.

      2. La sottoposizione a visto di controllo non può essere applicata alla corrispondenza epistolare o telegrafica indirizzata dai detenuti e dagli internati ai soggetti indicati nel comma 5 dell'articolo 103 del codice di procedura penale, all'autorità giudiziaria, alle autorità indicate nell'articolo 46, comma 1, della presente legge, ai membri del Parlamento nazionale e della Unione europea, alle rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui gli interessati sono cittadini ed agli organismi internazionali amministrativi o giudiziari preposti alla tutela dei diritti dell'uomo

 

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di cui l'Italia fa parte, nonché ai garanti dei diritti dei reclusi nominati dallo Stato o da regioni, province o comuni. Tale corrispondenza è consegnata dagli interessati e inoltrata in busta chiusa.
      3. I provvedimenti previsti dal comma 1 sono adottati con decreto motivato dalla competente autorità giudiziaria indicata nel comma 1 dell'articolo 15 su richiesta del pubblico ministero o su proposta del direttore dell'istituto o di ufficio.
      4. L'autorità giudiziaria indicata nel comma 3, nel disporre la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo, se non ritiene di provvedere direttamente, può delegare il controllo al direttore dell'istituto o ad un appartenente alla amministrazione penitenziaria designato dallo stesso direttore. Analogamente provvede per la esecuzione della disposta limitazione alla ricezione della stampa quando la stessa richieda la individuazione specifica di testi giornalistici.
      5. Qualora, in seguito al visto di controllo, la stessa autorità di cui al comma 3 ritenga che la corrispondenza o la stampa non debba essere consegnata o inoltrata al destinatario, dispone che la stessa sia trattenuta.
      6. Il detenuto o l'internato vengono immediatamente informati dei provvedimenti disposti ai sensi del presente articolo.
      7. Contro tali provvedimenti può essere proposto reclamo al tribunale di sorveglianza, se il provvedimento è emesso dal magistrato di sorveglianza, ovvero, negli altri casi, al tribunale nel cui circondario ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento. Il reclamo viene deciso ai sensi dell'articolo 666 del codice di procedura penale. Il reclamo non ha effetto sospensivo.
      8. La corrispondenza in arrivo o in partenza è sottoposta a controllo al fine di rilevare l'eventuale presenza di valori o di oggetti o di sostanze non consentiti. Tale esame avviene alla presenza del detenuto o dell'internato, all'apertura della busta della corrispondenza in arrivo e alla chiusura di quella in partenza e non può
 

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essere in alcun modo esteso al contenuto della corrispondenza.

Art. 26.
(Istruzione)

      1. I detenuti e gli internati che ne facciano domanda hanno diritto alla iscrizione e alla frequenza dei corsi di istruzione scolastica del primo e del secondo ciclo, nonché universitaria, nel rispetto delle regole di ammissione agli stessi.
      2. Negli istituti penitenziari la formazione culturale e professionale è curata mediante l'organizzazione dei corsi della scuola dell'obbligo, nonché, in quanto possibile, dei corsi di livello superiore e dei corsi di addestramento professionale, ai sensi delle disposizioni vigenti e con l'ausilio di metodi adeguati alla condizione dei soggetti.
      3. Particolare cura è dedicata alla formazione culturale e professionale dei detenuti di età inferiore ai venticinque anni.
      4. È agevolato il compimento degli studi dei corsi universitari ed equiparati ed è favorita la frequenza a corsi scolastici per corrispondenza, per radio e per televisione.
      5. È favorito l'accesso alle pubblicazioni contenute nella biblioteca dell'istituto, con piena libertà di scelta delle letture.

Art. 27.
(Lavoro).

      1. Negli istituti penitenziari devono essere favorite in ogni modo la destinazione dei detenuti e degli internati al lavoro e la loro partecipazione a corsi di formazione professionale. A tale fine, possono essere previste attività lavorative organizzate e gestite direttamente da imprese pubbliche o private e possono essere istituiti corsi di formazione professionale organizzati e svolti da aziende pubbliche o da aziende private convenzionate con la regione.

 

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      2. Il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è retribuito.
      3. I sottoposti alle misure di sicurezza della casa di cura e custodia e dell'ospedale psichiatrico giudiziario, compatibilmente con le loro condizioni, hanno diritto a svolgere attività lavorativa adeguata alle condizioni stesse, con conseguente diritto alla retribuzione in relazione alla quantità e alla qualità del lavoro svolto.
      4. L'organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale.
      5. Nell'assegnazione dei soggetti al lavoro si deve tenere conto esclusivamente dell'anzianità di disoccupazione durante lo stato di detenzione o di internamento, dei carichi familiari, della professionalità, nonché delle precedenti e documentate attività svolte e di quelle a cui essi potranno dedicarsi dopo la dimissione.
      6. L'assegnazione al lavoro da svolgere all'interno dell'istituto avviene nel rispetto di graduatorie fissate in due apposite liste, una generica e l'altra per qualifica o mestiere.
      7. Per la formazione delle graduatorie all'interno delle liste di cui al comma 6 e per la iscrizione nelle liste del lavoro presso il centro per l'impiego, è istituita, presso ogni istituto, una commissione composta dal direttore, dai responsabili delle singole aree, da un rappresentante del centro per l'impiego territorialmente competente e da un rappresentante unitariamente designato dalle organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale o da delegati degli stessi.
      8. Alle riunioni della commissione di cui al comma 7 partecipa senza potere deliberativo un rappresentante dei detenuti e degli internati, designato per sorteggio secondo le modalità indicate nel regolamento interno dell'istituto.
      9. Al lavoro all'esterno si applicano la disciplina generale sul collocamento ordinario ed agricolo, nonché l'articolo 19
 

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della legge 28 febbraio 1987, n. 56, e successive modificazioni.
      10. Per tutto quanto non previsto dal presente articolo si applica la disciplina generale sul collocamento.
      11. Le amministrazioni penitenziarie, centrali e periferiche, stipulano apposite convenzioni con soggetti pubblici o privati o cooperative sociali interessati a fornire a detenuti o internati opportunità di lavoro. Le convenzioni disciplinano l'oggetto e le condizioni di svolgimento dell'attività lavorativa, la formazione e il trattamento retributivo, senza oneri a carico della finanza pubblica.
      12. Le direzioni degli istituti penitenziari, in deroga alle norme di contabilità generale dello Stato e di quelle di contabilità speciale, possono, previa autorizzazione del Ministro della giustizia, vendere prodotti delle lavorazioni penitenziarie a prezzo pari o anche inferiore al loro costo, tenuto conto, per quanto possibile, dei prezzi praticati per prodotti corrispondenti nel mercato all'ingrosso della zona in cui è situato l'istituto.
      13. I detenuti e gli internati che mostrano attitudini artigianali, culturali o artistiche possono essere esonerati dal lavoro ordinario ed essere ammessi ad esercitare, per proprio conto, attività artigianali, intellettuali o artistiche; possono svolgere tali attività anche nel tempo libero dal lavoro.
      14. I soggetti che non hanno sufficienti cognizioni tecniche possono essere ammessi a un tirocinio retribuito.
      15. La durata delle prestazioni lavorative non può superare i limiti stabiliti dalle leggi vigenti in materia di lavoro e, in conformità alle medesime leggi, sono garantiti il riposo festivo, le ferie annuali retribuite e la tutela assicurativa e previdenziale. Ai detenuti e agli internati che frequentano i corsi di formazione professionale di cui al comma 1 sono garantite, nei limiti degli stanziamenti regionali, la tutela assicurativa e ogni altra tutela prevista dalle disposizioni vigenti in ordine a tali corsi.
      16. Agli effetti della presente legge, per la costituzione e lo svolgimento di rapporti
 

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di lavoro nonché per l'assunzione della qualità di socio nelle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, non si applicano le incapacità derivanti da condanne penali o civili.
      17. Entro il 31 marzo di ogni anno il Ministro della giustizia trasmette al Parlamento una analitica relazione circa lo stato di attuazione nell'anno precedente delle disposizioni di legge relative al lavoro dei detenuti e degli internati.

Art. 28.
(Modalità di organizzazione del lavoro).

      1. Il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria può affidare, con contratto d'opera, la direzione tecnica delle lavorazioni a persone estranee all'amministrazione penitenziaria, le quali curano anche la specifica formazione dei responsabili delle lavorazioni e concorrono alla qualificazione professionale dei detenuti e degli internati, d'intesa con la regione. Possono essere inoltre istituite, a titolo sperimentale, nuove lavorazioni, avvalendosi, se necessario, dei servizi prestati da imprese pubbliche o private ed acquistando le relative progettazioni.
      2. L'amministrazione penitenziaria, inoltre, promuove, senza vincoli relativi ai costi, la vendita dei prodotti delle lavorazioni penitenziarie anche mediante apposite convenzioni da stipulare con imprese pubbliche o private, che hanno una propria rete di distribuzione commerciale.
      3. Previo assenso della direzione dell'istituto, i privati che commissionano forniture all'amministrazione penitenziaria possono, in deroga alle norme di contabilità generale dello Stato e a quelle di contabilità speciale, effettuare pagamenti differiti, secondo gli usi e le consuetudini vigenti.
      4. L'articolo 1 della legge 3 luglio 1942, n. 971, e l'articolo 611 delle disposizioni di cui al regio decreto 16 maggio 1920, n. 1908, sono abrogati.
      5. L'amministrazione penitenziaria deve organizzare e utilizzare le lavorazioni

 

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penitenziarie per l'espletamento dei servizi interni e per la provvista di vestiario e di corredo, nonché degli arredi e di quanto altro risulti necessario negli istituti, sia per i detenuti e per gli internati che per il personale. A tale fine la stessa amministrazione può ricorrere all'intervento di imprese pubbliche o private e, in particolare, di cooperative sociali, con le quali sono redatte apposite convenzioni.
      6. Presso la direzione generale del dipartimento della amministrazione penitenziaria competente per la redazione del bilancio e la gestione dei beni e dei servizi, e presso i provveditorati regionali, sono organizzati appositi uffici che devono provvedere ad organizzare e a gestire la rete operativa necessaria per la realizzazione del sistema di cui al comma 5. A tali uffici può essere preposto, tramite apposita convenzione, personale esperto nella organizzazione e qualità del lavoro e nelle reti commerciali.

Art. 29.
(Lavoro ed altre attività trattamentali all'esterno).

      1. I detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro all'esterno, sia subordinato che autonomo, in condizioni idonee a garantire l'attuazione positiva degli scopi previsti dall'articolo 27. Se si tratta di persona condannata alla pena della reclusione per uno dei delitti indicati nel comma 1 dell'articolo 79, commessi dopo il 13 maggio 1991, l'assegnazione al lavoro all'esterno può essere disposta dopo l'espiazione di un terzo della pena e, comunque, di almeno cinque anni. Nei confronti dei condannati all'ergastolo l'assegnazione può avvenire dopo l'espiazione di almeno dieci anni.
      2. I detenuti e gli internati assegnati al lavoro all'esterno sono avviati a prestare la loro opera senza scorta, salvo che essa sia ritenuta necessaria per motivi di sicurezza. Gli imputati sono ammessi al lavoro all'esterno previa autorizzazione della competente autorità giudiziaria.

 

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      3. Quando si tratta di imprese private, il lavoro deve svolgersi sotto il diretto controllo della direzione dell'istituto a cui il detenuto o l'internato è assegnato, la quale può avvalersi a tale fine del personale dipendente e del servizio sociale.
      4. Per ciascun condannato o internato il provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno diviene esecutivo dopo la approvazione del magistrato di sorveglianza.
      5. Le disposizioni di cui al presente articolo e la disposizione di cui al secondo periodo del comma 15 dell'articolo 27, relativa soltanto a chi frequenta i corsi di formazione professionale, si applicano anche ai detenuti e agli internati ammessi a frequentare, all'esterno, corsi di formazione professionale e corsi di istruzione a tutti i livelli, anche universitari, diversi da quelli organizzati nell'istituto.

Art. 30.
(Assistenza all'esterno dei figli minori).

      1. Le condannate e le internate possono essere ammesse alla cura e all'assistenza all'esterno dei figli di età non superiore agli anni dieci, alle condizioni previste dall'articolo 29.
      2. Si applicano tutte le disposizioni della presente legge relative al lavoro all'esterno, in particolare l'articolo 29, in quanto compatibili.
      3. La misura dell'assistenza all'esterno di cui al comma 1 può essere concessa, alle stesse condizioni, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata.

Art. 31.
(Determinazione delle retribuzioni).

      1. I detenuti e gli internati che svolgono attività lavorativa hanno diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro effettivamente prestato e al riconoscimento degli altri diritti inerenti al rapporto di lavoro, tenuto conto del trattamento economico e normativo previsto, per attività lavorative corrispondenti,

 

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dai contratti collettivi di lavoro o da normativa equivalente.
      2. Per le lavorazioni interne gestite dalla amministrazione penitenziaria, il trattamento normativo e retributivo per ciascuna categoria di lavoratori è determinato, tenuto conto della disposizione del comma 1, da una commissione composta dal capo del dipartimento della amministrazione penitenziaria, che la presiede, dal dirigente dell'ufficio del lavoro dei detenuti e degli internati dello stesso dipartimento, da un provveditore regionale della amministrazione penitenziaria, da un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da un rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze, da un delegato per ciascuna delle tre organizzazioni sindacali dei lavoratori più rappresentative sul piano nazionale e da un rappresentante delle organizzazioni dei datori di lavoro dell'industria, dell'artigianato e dell'agricoltura.
      3. La segreteria della commissione è organizzata presso il dipartimento della amministrazione penitenziaria.
      4. La commissione stabilisce, altresì, il numero massimo di ore di permesso di assenza dal lavoro retribuite e le condizioni e le modalità di fruizione delle stesse da parte dei detenuti e degli internati addetti alle lavorazioni, interne o esterne, o ai servizi di istituto, i quali frequentino i corsi della scuola d'obbligo o delle scuole del secondo ciclo di istruzione, o i corsi di addestramento professionale, ove tali corsi si svolgano durante l'orario di lavoro ordinario; la commissione deve comunque provvedere affinché non vi sia sovrapposizione di orario fra lavoro e corsi di formazione.
      5. La commissione si riunisce ogni triennio per la revisione e l'adeguamento dei trattamenti normativi e retributivi, tenendo conto delle modificazioni intervenute per gli stessi nei contratti collettivi di lavoro o nella normativa corrispondente. Nei sei mesi precedenti alla scadenza del triennio, il capo del dipartimento della amministrazione penitenziaria convoca la commissione, previa acquisizione presso gli organi competenti dei dati necessari per la revisione e l'aggiornamento delle
 

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precedenti deliberazioni. La commissione delibera le variazioni almeno tre mesi prima della scadenza del triennio.

Art. 32.
(Assegni familiari).

      1. Ai detenuti e agli internati che lavorano sono dovuti, per le persone a loro carico, gli assegni familiari nella misura e secondo le modalità di legge.
      2. Gli assegni familiari sono versati direttamente alle persone a carico.

Art. 33.
(Pignorabilità e sequestrabilità della retribuzione).

      1. Sulla retribuzione spettante ai detenuti, se superiore alle pensioni sociali minime, sono prelevate, se certe nel concreto ammontare ed esigibili, le somme dovute a titolo di risarcimento del danno e di rimborso delle spese di procedimento. Sulla retribuzione spettante ai detenuti e agli internati, se superiore alle pensioni sociali minime, sono altresì prelevate le somme dovute ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 2, sempre se certe nel concreto ammontare ed esigibili.
      2. In ogni caso deve essere riservata a favore dei detenuti una quota pari a quattro quinti della retribuzione. Tale quota non è soggetta a pignoramento o a sequestro, salvo che per obbligazioni derivanti da alimenti o a prelievo per il risarcimento del danno arrecato alle cose mobili o immobili della amministrazione penitenziaria; in tale caso, comunque, resta riservata a favore dei detenuti una quota pari a tre quinti della retribuzione.
      3. La retribuzione dovuta agli internati e agli imputati non è soggetta a pignoramento o a sequestro, salvo che per obbligazioni derivanti da alimenti o a prelievo per il risarcimento del danno arrecato alle cose mobili o immobili dell'amministrazione penitenziaria; in tale caso, comunque,

 

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resta a loro favore una quota pari a tre quinti della retribuzione.
      4. In merito alla esistenza ed entità del danno arrecato alle cose mobili o immobili della amministrazione penitenziaria può essere proposto reclamo, ai sensi dell'articolo 46, commi 2 e seguenti, contro l'accertamento operato dalla amministrazione.

Art. 34.
(Peculio).

      1. Il peculio dei detenuti e degli internati è costituito dalla parte della retribuzione ad essi spettante, dal danaro posseduto all'atto dell'ingresso in istituto, da quello ricavato dalla vendita degli oggetti di loro proprietà o inviato dalla famiglia o da altri o ricevuto a titolo di premio o di sussidio.
      2. Le somme costituite in peculio producono a favore dei titolari gli interessi maturati per effetto del deposito effettuato dalla amministrazione penitenziaria presso un istituto bancario.
      3. Il regolamento deve prevedere le modalità del deposito e stabilire la parte di peculio disponibile dai detenuti e dagli internati per acquisti autorizzati di oggetti personali o per invii a familiari o conviventi.

Art. 35.
(Religione e pratiche di culto).

      1. I detenuti e gli internati hanno libertà di professare la propria fede religiosa, di istruirsi in essa e di praticarne il culto.
      2. Negli istituti è assicurata la celebrazione dei riti del culto cattolico; a tale fine, a ciascun istituto è addetto un cappellano. Ministri ed esponenti di religione diversa dalla cattolica hanno diritto ad accedere agli istituti e ad incontrare i detenuti e gli internati per esercitare la loro missione.

 

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      3. I detenuti e gli internati appartenenti a religione diversa dalla cattolica hanno diritto di ricevere, su loro richiesta, la assistenza dei ministri o esponenti del proprio culto e di celebrarne i riti con la periodicità propria degli stessi.

Art. 36.
(Attività culturali, ricreative e sportive).

      1. Negli istituti devono essere favorite e organizzate attività culturali, ricreative e sportive e ogni altra attività volta alla realizzazione della personalità dei detenuti e degli internati e allo sviluppo della socialità interna.
      2. Una commissione composta dal direttore dell'istituto, dagli educatori e dagli assistenti sociali e dai rappresentanti dei detenuti e degli internati cura la organizzazione delle attività di cui al comma 1, anche mantenendo contatti con il mondo esterno utili a instaurare positive relazioni con la comunità esterna e al reinserimento sociale dei detenuti e degli internati.

Art. 37.
(Diritto alle relazioni familiari e alla affettività).

      1. I detenuti e gli internati hanno diritto a mantenere le proprie relazioni familiari. Particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire tali relazioni, anche con l'intervento degli operatori interni, del centro servizio sociale adulti e della rete sociale esterna, seguendo un criterio di progressione nel trattamento, sia con colloqui oltre quelli ordinari, sia con modalità tali da accrescere la qualità dei rapporti familiari.
      2. Particolare cura è altresì dedicata a coltivare i rapporti affettivi. A tale fine, i detenuti e gli internati hanno diritto ad una visita al mese, della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore, delle persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgono in locali adibiti o realizzati

 

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a tale scopo, senza controlli visivi e auditivi.
      3. Nei casi in cui non sono utilizzabili le possibilità di cui ai commi 1 e 2, i detenuti e gli internati possono essere avvicinati per colloqui, almeno una volta l'anno, all'istituto più vicino al domicilio dei familiari. In tale sede, in quanto possibile, oltre i colloqui, è anche espletata la visita di cui al comma 2. Il presente comma si applica anche alle persone inserite nel circuito a sorveglianza elevata, salvo non esistano, per tali persone, controindicazioni al rientro al luogo di origine. Il presente comma non si applica alle persone sottoposte ai regimi differenziati di cui al capo III del titolo III.

Art. 38.
(Comunicazioni dello stato di detenzione, dei trasferimenti, delle malattie e dei decessi).

      1. I detenuti e gli internati hanno diritto a informare telefonicamente, immediatamente o al più tardi entro le dodici ore, i congiunti, il difensore e le altre persone da essi eventualmente indicate, del loro ingresso in un istituto penitenziario o dell'avvenuto trasferimento.
      2. In caso di decesso o di intervenuta e grave infermità fisica o psichica di un detenuto o di un internato deve essere data tempestiva notizia ai congiunti e alle altre persone eventualmente da lui indicate; analogamente i detenuti e gli internati devono essere tempestivamente informati del decesso o della grave infermità dei congiunti.

Art. 39.
(Permessi).

      1. Il magistrato di sorveglianza può concedere ai condannati e agli internati, nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente degli stessi, un permesso per recarsi a visitare l'infermo, con le cautele previste dal regolamento. Agli imputati il permesso è

 

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concesso, fino alla sentenza di primo grado, dalle medesime autorità giudiziarie, competenti ai sensi del comma 1 dell'articolo 15, a disporre il trasferimento in luoghi esterni di cura. Durante il procedimento di appello provvede il presidente del collegio e, nel corso di quello di cassazione, il presidente dell'organo collegiale presso il quale si è svolto il procedimento di appello.
      2. Permessi analoghi a quelli previsti dal comma 1 possono essere concessi per eventi familiari di particolare rilevanza che riguardino detenuti o internati.
      3. Il detenuto che non rientra in istituto allo scadere del permesso senza giustificato motivo, se l'assenza si protrae per oltre tre ore e per non più di dodici, è punito in via disciplinare; se l'assenza si protrae per un tempo maggiore, è punibile ai sensi del primo comma dello articolo 385 del codice penale; se l'evaso si costituisce entro tre giorni dalla scadenza del permesso, è punito con la reclusione fino a tre mesi; se si costituisce entro dieci giorni, è punito con la reclusione fino a sei mesi; infine, si applica la disposizione dell'ultimo comma del citato articolo 385.
      4. L'internato che rientra in istituto dopo almeno tre ore dalla scadenza del permesso senza giustificato motivo è punito in via disciplinare.
      5. La ricorrenza di un motivo che giustifica il ritardo nel rientro dal permesso è valutata dal giudice che ha concesso il permesso.

Art. 40.
(Provvedimenti e reclami in materia di permessi).

      1. Prima di pronunciarsi sull'istanza di permesso, l'autorità competente deve assumere informazioni sulla sussistenza dei motivi addotti, a mezzo delle autorità di polizia, anche del luogo in cui l'istante chiede di recarsi.
      2. La decisione sull'istanza è adottata con provvedimento motivato.
      3. Il provvedimento è comunicato immediatamente senza formalità, anche a

 

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mezzo del telegrafo o del telefono, al pubblico ministero e all'interessato, i quali, entro ventiquattro ore dalla comunicazione, possono proporre reclamo, se il provvedimento è stato emesso dal magistrato di sorveglianza, al tribunale di sorveglianza, o, se il provvedimento è stato emesso da altro organo giudiziario, alla corte di appello.
      4. Il tribunale di sorveglianza, raccolte, se del caso, ulteriori documentazioni o informazioni, applicati gli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale, come modificato dalla presente legge, provvede sul reclamo, previa comunicazione alle parti, nella prima udienza utile, con dispensa dalla osservanza dei termini minimi per comparire. La corte di appello provvede in camera di consiglio con le forme previste dall'articolo 127 del codice di procedura penale.
      5. Il magistrato di sorveglianza, o il presidente della corte di appello, non fa parte del collegio che decide sul reclamo avverso il provvedimento da lui emesso.
      6. Quando per effetto della disposizione del comma 5 non è possibile comporre il tribunale di sorveglianza con i magistrati di sorveglianza del distretto, si procede all'integrazione del tribunale ai sensi del comma 3 dell'articolo 102.
      7. L'esecuzione del permesso è sospesa sino alla scadenza del termine stabilito dal comma 3 e durante il procedimento previsto dal comma 4, sino alla decisione dell'organo giudiziario che decide sul reclamo.
      8. Le disposizioni del comma 7 non si applicano ai permessi concessi ai sensi del comma 1 dell'articolo 39. In tale caso è obbligatoria la scorta.
      9. Il procuratore generale presso la corte di appello è informato dei permessi concessi e del relativo esito con relazione trimestrale degli organi che hanno rilasciati gli stessi permessi.

Art. 41.
(Permessi di risocializzazione).

      1. Ai detenuti che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del comma 8

 

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e che non risultano di attuale e particolare pericolosità, il magistrato di sorveglianza, acquisite le valutazioni del gruppo di osservazione e trattamento, o, in mancanza, del direttore dell'istituto, può concedere permessi di risocializzazione, di durata non superiore ogni volta a quindici giorni e, nel corso dell'anno, a quarantacinque giorni complessivi, per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro. Di regola, la durata complessiva dei permessi nel corso dell'anno deve essere conforme al limite indicato.
      2. Per i detenuti minori di età la durata dei permessi di risocializzazione non può superare ogni volta i venti giorni e la durata complessiva non può eccedere i sessanta giorni in ciascun anno di espiazione.
      3. L'esperienza dei permessi di risocializzazione è parte integrante del programma di trattamento e deve essere seguita dagli educatori e dagli assistenti sociali penitenziari in collaborazione con gli operatori sociali del territorio.
      4. La concessione dei permessi è ammessa:

          a) nei confronti dei condannati all'arresto o alla reclusione non superiore a tre anni anche se congiunta all'arresto;

          b) nei confronti dei condannati alla reclusione superiore a tre anni dopo l'espiazione di almeno un quarto della pena;

          c) nei casi di cui alla lettera b), nei confronti dei condannati alla reclusione per taluno dei delitti indicati nel comma 1 dell'articolo 79, dopo l'espiazione di metà della pena e, comunque, di almeno dieci anni; si applica la disposizione della lettera b) per i condannati per delitti compresi nel comma 1 dell'articolo 79, commessi prima del 13 maggio 1991;

          d) nei confronti dei condannati all'ergastolo, dopo l'espiazione di almeno dieci anni.

      5. Nei confronti dei soggetti che hanno riportato condanna o hanno assunto la

 

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qualità di imputato ai sensi dell'articolo 60 del codice di procedura penale per delitto doloso commesso durante l'espiazione della pena detentiva in carcere, punibile con una pena minima edittale superiore ad un anno, la concessione è ammessa soltanto decorsi due anni dalla commissione del fatto ascritto.
      6. Si applicano, ove del caso, le cautele previste per i permessi di cui al comma 1 dell'articolo 39; si applicano altresì le disposizioni di cui ai commi 3 e 5 dello stesso articolo.
      7. Il provvedimento relativo ai permessi di risocializzazione è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza, secondo le procedure di cui all'articolo 40.
      8. La condotta dei detenuti si considera regolare quando i soggetti, durante la detenzione, hanno manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle attività lavorative o culturali.
      9. Ai detenuti che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del comma 8, il magistrato di sorveglianza può concedere, oltre i permessi di cui al comma 1, un ulteriore permesso di dieci giorni per ogni semestre di carcerazione per coltivare specificatamente interessi affettivi.
      10. Nel caso di imminente pericolo di vita o di decesso di un familiare o di un convivente e, comunque, quando ricorrano motivi di particolare rilevanza, concernenti i rapporti familiari o la necessità di interventi sanitari particolari, che richiedono la presenza del condannato fuori dallo Stato, il permesso può essere concesso, limitatamente all'ambito dell'Unione europea. Della fruizione di tali permessi è data notizia alla autorità di polizia del luogo in cui il permesso si svolge e alla quale l'interessato deve presentarsi.
      11. Quando la direzione dell'istituto, su parere del gruppo di osservazione e trattamento, ne ravvisa la esigenza per il completamento delle attività trattamentali intraprese, può proporre al magistrato di sorveglianza la concessione di permessi di risocializzazione nell'ambito di altri Paesi dell'Unione europea a condannati che abbiano
 

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già fruito positivamente di permessi premio. Tali permessi possono essere concessi congiuntamente a più condannati, sempre precedenti fruitori di permessi premio, con particolare riferimento alla effettuazione di scambi culturali con altri Paesi dell'Unione europea. In tali casi, i detenuti possono essere accompagnati dagli operatori, anche non dipendenti dalla amministrazione penitenziaria, che hanno seguito le attività trattamentali, in relazione alle quali i permessi vengono concessi. Della fruizione è data notizia alla autorità di polizia del luogo in cui i permessi si attuano.

Art. 42.
(Diritto alla partecipazione e costituzione delle rappresentanze dei detenuti e degli internati).

      1. La partecipazione dei detenuti e degli internati alle occasioni di programmazione, monitoraggio e verifica delle attività trattamentali e di ambiti significativi della vita interna al carcere, deve essere incentivata al fine di ottenere un maggiore coinvolgimento e accrescere il senso di responsabilità individuale. Costituiscono un utile strumento di valorizzazione di tale diritto le rappresentanze previste dagli articoli 10, 17 e 36.
      2. Le rappresentanze di cui al comma 1 sono nominate di regola per sorteggio secondo le modalità indicate dal regolamento interno dell'istituto.

Capo IV
REGIME PENITENZIARIO

Art. 43.
(Norme di condotta dei detenuti e degli internati. Obbligo di risarcimento del danno).

      1. In ogni istituto penitenziario sono tenuti, presso la biblioteca o altro locale cui i detenuti e gli internati possono

 

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accedere, i testi dell'ordinamento penitenziario, del regolamento e del regolamento interno, nonché delle altre disposizioni in materia.
      2. Ai detenuti e agli internati, all'atto del loro ingresso negli istituti e, se occorre, anche successivamente, viene rilasciato un estratto delle principali norme di cui al comma 1, con la indicazione di come consultare i testi integrali.
      3. I detenuti e gli internati devono osservare le norme e le disposizioni che regolano la vita penitenziaria, alla cui osservanza è tenuta anche la amministrazione penitenziaria.
      4. Nessun detenuto o internato può avere, nei servizi dell'istituto, mansioni che comportano un potere disciplinare o consentono la acquisizione di una posizione di preminenza sugli altri. In relazione alle loro capacità detenuti e internati possono collaborare alla definizione e alla attuazione di programmi di formazione o di lavoro.
      5. I detenuti e gli internati devono avere cura degli oggetti messi a loro disposizione e astenersi da qualsiasi danneggiamento di cose altrui.
      6. I detenuti e gli internati che arrecano danno alle cose mobili o immobili dell'amministrazione penitenziaria sono tenuti a risarcirlo senza pregiudizio dell'eventuale procedimento penale e disciplinare. Si applica la disposizione del comma 4 dell'articolo 33.

Art. 44.
(Isolamento).

      1. Negli istituti penitenziari l'isolamento continuo è ammesso:

          a) quando è prescritto per ragioni sanitarie;

          b) durante l'esecuzione della sanzione della esclusione dalle attività in comune;

          c) per gli imputati durante le indagini preliminari per un tempo limitato e breve e se vi sono ragioni di cautela processuale: sia il tempo che le ragioni indicati devono essere specificati nel provvedimento della

 

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autorità giudiziaria procedente, impugnabile come provvedimento sulla libertà personale.

      2. L'isolamento diurno nei confronti dei condannati all'ergastolo non esclude l'ammissione degli stessi alle attività lavorative, nonché di istruzione e formazione diverse dai normali corsi frequentati dagli altri reclusi. I periodi di detenzione trascorsi in situazione di isolamento, anche se solo di fatto, diversi da quelle di cui alle lettere a) e b) del comma 1, sono computati sulla durata di tale sanzione. La esecuzione della stessa può essere sospesa nei casi in cui, per le condizioni fisiche o psichiche della persona, la esecuzione medesima non possa essere sostenuta senza rischi dall'interessato; si provvede ai sensi dell'articolo 684 del codice di procedura penale. La sanzione predetta deve essere posta in esecuzione sollecitamente e comunque prima che si sia avviato il percorso di reinserimento sociale con la fruizione dei benefìci, a cominciare dai permessi di risocializzazione.
      3. Il regolamento specifica le modalità di attuazione dell'isolamento nei vari casi indicati al comma 1. Sono assicurate le normali condizioni di vita, di alimentazione, di igiene e di assistenza. Non deve essere compromesso il rispetto della dignità della persona.
      4. La situazione di isolamento dei detenuti e degli internati deve essere oggetto di particolare attenzione, con adeguati controlli giornalieri nel luogo di isolamento, da parte sia di un medico, sia di un componente del gruppo di osservazione e trattamento, e con vigilanza adeguata da parte del personale del Corpo di polizia penitenziaria.
      5. Al di fuori dei casi di cui al comma 4, non possono essere attuate forme di isolamento anche temporaneo. Particolarmente ciò non deve avvenire nei casi di cui al comma 6 dell'articolo 13 e più in generale nelle situazioni individuali di criticità descritte nell'articolo 124, nelle quali vanno ricomprese anche quelle di cosiddetto «isolamento volontario», non risolvibili

 

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con l'assegnazione alle sezioni protette di cui all'articolo 121.

Art. 45.
(Perquisizioni).

      1. Le perquisizioni concernono la persona o i locali di vita dei detenuti e degli internati.
      2. I detenuti e gli internati possono essere sottoposti a perquisizione personale, salvo che l'accertamento non possa essere eseguito con strumento di controllo non invasivo, per motivi di sicurezza, con le modalità stabilite nel regolamento. Il personale che vi partecipa deve essere dello stesso sesso della persona perquisita.
      3. La perquisizione personale deve essere effettuata nel pieno rispetto della personalità. Solo in presenza di specifici e giustificati motivi la perquisizione può essere attuata con ispezione nelle parti intime della persona; al riguardo, la perquisizione attuata solo con denudamento e osservazione esterna delle parti intime viola il rispetto della personalità ed è vietata. L'utilizzazione di cani è possibile solo quando occorra per la ricerca di sostanze per il reperimento delle quali gli animali sono addestrati.
      4. Dell'avvenuta perquisizione deve essere data adeguata documentazione che comprovi quanto previsto dai commi 1, 2 e 3 e le motivazioni relative, anche in merito alle ispezioni nelle parti intime e all'uso di cani.
      5. Le perquisizioni nelle camere dei detenuti e degli internati e negli altri luoghi di uso comune nei quali si trovano cose di loro pertinenza sono effettuate con rispetto della dignità delle persone e senza produrre danni alle loro cose.
      6. Il regolamento stabilisce quali sono le situazioni in cui si effettuano le perquisizioni ordinarie, sia personali sia dei luoghi.
      7. Per procedere a perquisizioni fuori dei casi ordinari è necessario il provvedimento motivato del direttore dell'istituto.

 

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      8. Le perquisizioni sono effettuate dal personale in servizio nell'istituto in cui sono attuate.

Art. 46.
(Diritto di reclamo).

      1. I detenuti e gli internati possono rivolgere istanze o reclami orali o scritti, anche in busta chiusa:

          a) al direttore dell'istituto, al provveditore regionale, al capo del dipartimento della amministrazione penitenziaria e al Ministro della giustizia;

          b) al presidente della giunta regionale, al presidente della giunta provinciale, al sindaco, al garante dei diritti dei detenuti eventualmente nominato da regione, provincia e comune;

          c) al magistrato di sorveglianza;

          d) al Capo dello Stato.

      2. Il reclamo proposto al magistrato di sorveglianza può avere ad oggetto un provvedimento adottato, la omissione di un provvedimento richiesto, la preclusione ad uno spazio trattamentale, la determinazione o il mantenimento di una situazione del reclamante che comportano la violazione di un diritto o una condizione del reclamante diversa da quella prevista dalla legge.
      3. Il magistrato di sorveglianza decide anche sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti l'osservanza delle norme riguardanti:

          a) l'attribuzione della qualifica lavorativa, la retribuzione, nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali;

          b) i provvedimenti di irrogazione delle sanzioni disciplinari sotto il profilo della legittimità e del merito.

      4. Il magistrato di sorveglianza provvede sul reclamo con ordinanza, nella quale, se accoglie il reclamo, indica quale

 

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debba essere la decisione o la condotta che la amministrazione penitenziaria deve tenere, secondo le rispettive competenze della direzione dell'istituto o del provveditorato regionale o del dipartimento della amministrazione penitenziaria o di tutti o alcuni di tali soggetti.
      5. Il procedimento si svolge ai sensi degli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale, come modificato dalla presente legge. Il magistrato di sorveglianza fissa la data dell'udienza e ne fa dare avviso alle parti, compresa la direzione dell'istituto penitenziario interessata, che ha diritto a comparire ed è, comunque, invitata ad esprimere, se lo ritiene, le proprie osservazioni. Il magistrato di sorveglianza può anche disporre che il direttore dell'istituto compaia per fornire i chiarimenti che si ritengono necessari. Nell'avviso di udienza deve essere specificato l'oggetto del reclamo.
      6. Nel provvedere, il magistrato di sorveglianza indica anche le situazioni di gestione degli istituti che condizionano il provvedimento reclamato, specificando tali condizionamenti e individuando a chi siano addebitabili.
      7. Contro la ordinanza del magistrato di sorveglianza è ammesso ricorso per cassazione anche da parte della direzione penitenziaria interessata.
      8. La amministrazione penitenziaria si deve conformare alla decisione adottata dal magistrato di sorveglianza.

Art. 47.
(Regime delle sanzioni disciplinari).

      1. Il regime delle sanzioni è attuato in modo da stimolare il senso di responsabilità e la capacità di autocontrollo. Esso è adeguato alle condizioni fisiche e psichiche dei soggetti.
      2. L'applicazione della sanzione tiene conto del programma di trattamento in corso e il programma stesso può essere modificato in conseguenza della sanzione applicata.

 

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Art. 48.
(Ricompense).

      1. Le ricompense costituiscono il riconoscimento del senso di responsabilità dimostrato nella condotta personale e nelle attività organizzate negli istituti.
      2. Le ricompense e gli organi competenti a concederle sono previsti dal regolamento.

Art. 49.
(Infrazioni disciplinari).

      1. I detenuti e gli internati non possono essere puniti per un fatto che non è espressamente previsto come infrazione dal regolamento.
      2. Ai fini della configurazione di determinati illeciti penali e conseguentemente disciplinari, la camera di pernottamento del detenuto o dell'internato, anche se sottoposta a controllo visivo del personale penitenziario, non è luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico.

Art. 50.
(Sanzioni disciplinari).

      1. Nessuna sanzione può essere inflitta se non con provvedimento motivato dopo la contestazione dell'addebito all'interessato, il quale è ammesso ad esporre le proprie discolpe.
      2. Nell'applicazione delle sanzioni bisogna tenere conto, oltre che della natura e della gravità del fatto, del comportamento e delle condizioni personali del soggetto. Devono essere acquisiti la relazione di osservazione e il programma di trattamento.
      3. Le sanzioni sono eseguite nel rispetto della personalità.
      4. Le infrazioni disciplinari possono dare luogo solo alle seguenti sanzioni:

          a) richiamo del direttore;

          b) ammonizione rivolta dal direttore;

 

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          c) esclusione da attività ricreative e sportive per non più di dieci giorni;

          d) isolamento durante la permanenza all'aria aperta per non più di dieci giorni;

          e) esclusione dalle attività in comune per non più di quindici giorni.

      5. La sanzione della esclusione dalle attività in comune non può essere eseguita senza la certificazione scritta, rilasciata dal sanitario, attestante che il soggetto può sopportarla. Il soggetto escluso dalle attività in comune è sottoposto a costante controllo sanitario.
      6. L'esecuzione della sanzione della esclusione dalle attività in comune è sospesa nei confronti delle donne gestanti e delle puerpere fino a sei mesi, e delle madri che allattano la propria prole fino ad un anno, qualora le stesse siano detenute o internate nonostante le disposizioni di legge vigenti in materia.
      7. In caso di assoluta urgenza, determinata dalla necessità di prevenire danni a persone o a cose o l'insorgenza o la diffusione di disordini o in presenza di fatti di particolare gravità per la sicurezza e l'ordine dell'istituto, il direttore può disporre, in via cautelare, con provvedimento motivato, che il detenuto o l'internato, che ha commesso una infrazione sanzionabile con la esclusione dalle attività in comune, resti in una camera individuale, in attesa della convocazione del consiglio di disciplina. La durata della misura cautelare non può eccedere i cinque giorni ed è detratta dalla durata della sanzione eventualmente applicata.
      8. Nel caso del comma 7, il direttore attiva e svolge al più presto il procedimento disciplinare.

Art. 51.
(Autorità competente a deliberare le sanzioni).

      1. Le sanzioni del richiamo e della ammonizione sono deliberate dal direttore.

 

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      2. Le sanzioni diverse da quelle di cui al comma 1 sono deliberate dal consiglio di disciplina, composto dal direttore o, in caso di suo legittimo impedimento, dal funzionario dell'area pedagogica più elevato in grado, con funzioni di presidente, dal sanitario e dall'educatore e, nel caso di detenuti stranieri, dal rispettivo mediatore linguistico-culturale, se operante presso l'istituto.

Art. 52.
(Impiego della forza fisica).

      1. Non è consentito l'impiego della forza fisica nei confronti dei detenuti e degli internati se non sia indispensabile per impedire atti di violenza o tentativi di evasione o per vincere la resistenza, anche passiva, all'esecuzione degli ordini impartiti.
      2. La forza impiegata deve essere proporzionata alla attività violenta che è necessario reprimere e non deve essere accompagnata o seguita da atti aventi finalità punitive, intimidatorie e comunque degradanti. Quando sia necessario, possono essere usate manette durante l'intervento e per il tempo strettamente successivo allo stesso.
      3. Il personale che, per qualsiasi motivo, ha fatto uso della forza fisica nei confronti dei detenuti o degli internati, deve immediatamente riferirne, con apposito verbale dell'accaduto, al direttore dell'istituto, il quale dispone, senza indugio, accertamenti sanitari e procede alle altre indagini del caso. Il verbale è trasmesso immediatamente al magistrato di sorveglianza
      4. Gli agenti in servizio all'interno degli istituti non possono portare armi se non nei casi eccezionali in cui ciò è ordinato dal direttore.

Art. 53.
(Trasferimenti).

      1. I detenuti e gli internati hanno diritto ad essere assegnati in un istituto prossimo alla residenza della loro famiglia

 

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e, comunque, compreso nella regione di residenza, salva la presenza di motivi contrari, legati al reato commesso o a situazioni di mantenimento o di possibile recupero di legami con la criminalità organizzata, che devono essere motivati.
      2. I detenuti e gli internati possono essere trasferiti per gravi e comprovati motivi di sicurezza, per esigenze dell'istituto legate a inagibilità di parti dello stesso o a impossibilità di ricezione del medesimo, per motivi di giustizia, di salute, di studio e familiari. I motivi vanno specificati nel provvedimento.
      3. I detenuti e gli internati devono essere trasferiti con il bagaglio personale e con almeno parte del loro peculio.

Art. 54.
(Traduzioni).

      1. Sono traduzioni tutte le attività di accompagnamento coattivo, da un luogo ad un altro, di soggetti detenuti, internati, fermati, arrestati o comunque in condizione di restrizione della libertà personale.
      2. Le traduzioni dei detenuti e degli internati adulti sono eseguite, nel tempo più breve possibile, dal personale del Corpo di polizia penitenziaria, con le modalità stabilite dalle leggi e dai regolamenti interni e, se trattasi di donne, con l'assistenza di personale femminile.
      3. Le traduzioni di soggetti che rientrano nella competenza dei servizi dei centri per la giustizia minorile sono effettuate dai contingenti del Corpo di polizia penitenziaria assegnati al settore minorile fino all'entrata in vigore dell'ordinamento penitenziario minorile, ai sensi dell'articolo 5, che deve prevedere anche una nuova e autonoma organizzazione del personale.
      4. Nelle traduzioni sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità, nonché per evitare ad essi inutili disagi. L'inosservanza della presente disposizione costituisce comportamento valutabile ai fini disciplinari

 

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nei confronti del personale. Al fine di uniformarsi a tali disposizioni, i mezzi di trasporto impiegati devono assicurare posto sufficiente, circolazione di aria e temperature adeguate alla stagione.
      5. Nelle traduzioni individuali l'uso delle manette ai polsi è obbligatorio solo quando lo richiedono la particolare pericolosità attuale del soggetto o vi è il ragionevole sospetto del rischio di fuga o quando ricorrono circostanze di ambiente che rendono difficile la traduzione. In tutti gli altri casi l'uso delle manette ai polsi o di qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica è vietato. Nel caso di traduzioni individuali di detenuti o di internati la valutazione della particolare pericolosità attuale del soggetto o della ragionevolezza del sospetto del pericolo di fuga è previamente compiuta dall'autorità giudiziaria o dalla direzione penitenziaria competente, le quali dettano le conseguenti prescrizioni.
      6. Nelle traduzioni collettive è sempre obbligatorio l'uso di manette modulari multiple dei tipi definiti con decreto del Ministro della giustizia. È vietato l'uso di qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica.
      7. Nelle traduzioni individuali e collettive i detenuti e gli internati utilizzano abiti civili.
      8. Il direttore può disporre che il personale che effettua la traduzione indossi abiti civili quando risulti opportuno per il buon esito della stessa. Nelle traduzioni dei soggetti di cui al comma 3 il personale indossa sempre abiti civili.

Art. 55.
(Dimissione).

      1. La dimissione dei detenuti e degli internati è eseguita senza indugio dalla direzione dell'istituto in base ad ordine scritto della autorità competente.
      2. Il direttore dell'istituto dà notizia della prevista dimissione, almeno tre mesi prima, al centro di servizio sociale per

 

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adulti del luogo in cui ha sede l'istituto ed a quelli del luogo dove il soggetto intende stabilire la sua residenza, comunicando tutti i dati necessari per gli opportuni interventi socio-assistenziali. Il centro di servizio sociale per adulti investe del caso la rete dei servizi già attivata o attivabile. Nel caso in cui il momento della dimissione non possa essere previsto tre mesi prima, il direttore dà le prescritte notizie non appena viene a conoscenza della relativa decisione.
      3. Oltre a quanto stabilito da specifiche disposizioni di legge, il direttore informa anticipatamente il magistrato di sorveglianza, il questore e l'ufficio di polizia territorialmente competente di ogni dimissione anche temporanea dall'istituto.
      4. Il direttore dell'istituto o un suo delegato, all'atto della dimissione o successivamente, rilascia al soggetto, che lo richieda, un attestato con l'eventuale qualificazione professionale conseguita e notizie obiettive circa la condotta tenuta, desunte dagli atti di osservazione.
      5. I soggetti, che ne sono privi, vengono provvisti di un corredo di vestiario civile.

Art. 56.
(Nascite, matrimoni, decessi).

      1. Negli atti di stato civile relativi ai matrimoni celebrati e alle morti avvenute in istituti non si fa menzione dell'istituto. Le nascite sono registrate nell'ospedale di ricovero della madre.
      2. La direzione dell'istituto deve dare immediata notizia del decesso di un detenuto o di un internato, oltre che ai familiari, all'autorità giudiziaria del luogo, a quella da cui il soggetto dipendeva e al Ministero della giustizia.
      3. La salma è messa immediatamente a disposizione dei congiunti. Non può essere applicata per la salma del detenuto o dell'internato alcuna disciplina diversa da quella ordinaria.

 

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TITOLO II
MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE, ESECUZIONE DI ALTRI TRATTAMENTI SANZIONATORI PENALI E MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA

Capo I
MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE

Art. 57.
(Diritti dei condannati).

      1. È riconosciuto, in conformità all'articolo 27, terzo comma, della Costituzione, il diritto del condannato a che, verificandosi le condizioni poste dalla legge ordinaria, il protrarsi della realizzazione della pretesa punitiva venga riesaminato al fine di accertare se in effetti la quantità di pena espiata abbia o meno assolto positivamente al suo fine rieducativo.
      2. Il sistema normativo deve tenere non solo presenti le finalità rieducative della pena, ma predisporre anche tutti i mezzi idonei a realizzarle e le forme atte a garantirle.
      3. Al fine di cui al comma 2 sono stabilite le misure alternative alla detenzione o di prova controllata che, attraverso prescrizioni limitative, ma non privative, della libertà personale e l'apprestamento di forme di sostegno, siano idonee a funzionare come strumenti di controllo sociale e di promozione alla risocializzazione.
      4. Il funzionamento del sistema previsto dal presente articolo deve essere assicurato attraverso la creazione e il mantenimento di una organizzazione adeguata a svolgere le funzioni di controllo e di assistenza indicate nel comma 3.
      5. Quando il giudice competente accerta che il condannato si trova nelle condizioni, legali e di merito, previste dalla legge, deve ritenere venuta meno la ragione della prosecuzione della pena detentiva continuativa in carcere e disporre

 

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che la stessa prosegua con le forme di una misura alternativa. Tale misura rappresenta un intervento ordinario e necessario attraverso il quale la pena viene eseguita anche nei casi in cui la legge ordinaria la prevede nei confronti di persone in stato di libertà.
      6. L'organo giudiziario competente agli interventi di cui al comma 5 è rappresentato dalla magistratura di sorveglianza. Alla magistratura è attribuita la funzione di assicurare una gestione dinamica della esecuzione della pena attraverso la utilizzazione degli strumenti ordinari previsti a tale scopo, rappresentati, prima, dalla promozione della redazione e della attuazione dei programmi di trattamento per la definizione dei percorsi di reinserimento sociale e dalla ammissione, poi, se ne ricorrono le condizioni, alle varie alternative alla detenzione. Tali strumenti tendono tutti alla risocializzazione dei condannati.

Art. 58.
(Affidamento in prova al servizio sociale).

      1. Se la pena detentiva non supera tre anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, il detenuto o l'internato può essere affidato al servizio sociale fuori dall'istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare.
      2. Il provvedimento di cui al comma 1 è adottato sulla base dei risultati della osservazione della personalità, condotta collegialmente per almeno un mese in istituto, nei casi in cui si può ritenere che il provvedimento stesso, anche attraverso le prescrizioni di cui al presente articolo, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.
      3. L'affidamento in prova al servizio sociale può essere disposto senza procedere alla osservazione in istituto quando il condannato, dopo la commissione del reato, ha tenuto comportamento tale da consentire il giudizio di cui al comma 2. L'istanza è proposta al tribunale di sorveglianza

 

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territorialmente competente nel luogo di residenza o domicilio del condannato, che decide previo accertamento della sua posizione esecutiva presso l'ufficio del pubblico ministero competente alla esecuzione.
      4. Se l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale è proposta dopo che ha avuto inizio l'esecuzione della pena, il magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo di detenzione, cui l'istanza deve essere rivolta, può sospendere l'esecuzione della pena e ordinare la liberazione del condannato, quando sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'ammissione all'affidamento in prova e al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e non vi è pericolo di fuga. La sospensione dell'esecuzione della pena opera sino alla decisione del tribunale di sorveglianza, cui il magistrato di sorveglianza trasmette immediatamente gli atti, e che decide entro quarantacinque giorni. Se l'istanza non è accolta, riprende l'esecuzione della pena, e non può essere accordata altra sospensione, quale che sia l'istanza successivamente proposta.
      5. Nel provvedimento di affidamento in prova sono dettate le prescrizioni che il soggetto deve seguire in ordine ai suoi rapporti con il servizio sociale, alla dimora, alla libertà di locomozione, al divieto di frequentare determinati locali e al lavoro.
      6. Con lo stesso provvedimento di cui al comma 5 può essere disposto che durante tutto o parte del periodo di affidamento in prova il condannato non soggiorni in uno o più comuni, o soggiorni in un comune determinato; in particolare sono stabilite prescrizioni che impediscano al soggetto di svolgere attività o di avere rapporti personali che possono portare al compimento di altri reati.
      7. Nel provvedimento può anche essere stabilito che l'affidato si adoperi a favore della vittima del reato e, quando è in esecuzione di pena per reato commesso in violazione dei suoi doveri familiari, adempia puntualmente gli obblighi di assistenza
 

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familiare. Gli interventi predetti prescindono dall'eventuale obbligo di risarcimento del danno derivante dal reato, da attuare solo nell'ambito e secondo le regole dell'azione civile relativa.
      8. Nel corso dell'affidamento in prova le prescrizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza. Peraltro, è vietato al magistrato di sorveglianza, che segue la esecuzione della prova, di apportare modifiche che contrastano con il quadro complessivo delle prescrizioni stabilite nella ordinanza ammissiva del tribunale di sorveglianza, nonché modifiche che non derivano da esigenze concrete emerse nello svolgersi dell'affidamento in prova.
      9. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita.
      10. La funzione di controllo sul rispetto delle prescrizioni deve essere assolta dai centri di servizio sociale per adulti a mezzo di proprio personale non appartenente a organi di polizia, compreso il Corpo di polizia penitenziaria. Nelle prescrizioni non possono essere introdotti compiti degli organi di polizia e riferimenti agli stessi. Se questi, nella loro attività di prevenzione generale, verificano situazioni problematiche che riguardano affidati in prova al servizio sociale, ne riferiscono al magistrato di sorveglianza e al centro di servizio sociale per adulti competenti alla esecuzione della misura alternativa.
      11. Il servizio sociale riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto.
      12. L'affidamento in prova è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione della prova. Con il provvedimento di revoca il tribunale di sorveglianza determina la pena detentiva ancora da espiare, tenendo conto del tempo trascorso nel regime di prova, delle restrizioni di libertà subite dal condannato
 

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e del suo comportamento durante tale periodo.
      13. L'esito positivo del periodo di prova estingue la pena nella sua interezza, compresa la pena pecuniaria, le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna. Sono inoltre revocate le misure di sicurezza personali, ordinate dal giudice con la sentenza di condanna o con provvedimento successivo. Il permesso di soggiorno per motivi di giustizia di cui all'articolo 1, comma 2, può essere convertito, qualora ne ricorrano le condizioni, in un permesso di soggiorno ordinario.
      14. All'affidato in prova al servizio sociale che ha dato prova, nel periodo di affidamento, di un suo concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della sua personalità, può essere concessa la detrazione di pena di cui all'articolo 78. Si applicano gli articoli 78, comma 4, e 104.

Art. 59.
(Affidamento in prova in casi di disagio psichico o sociale).

      1. Quando è in esecuzione o deve essere eseguita una pena detentiva nella misura indicata al comma 1 dell'articolo 58, l'affidamento in prova al servizio sociale viene preferito alla esecuzione detentiva nei casi in cui il condannato è in condizioni critiche dal punto di vista psichico, pur essendo stato ritenuto capace di intendere e di volere, o si trova in condizioni di abbandono sociale per la carenza di legami e di riferimenti sociali.
      2. Ai fini di cui al comma 1, si applicano le disposizioni dell'articolo 58, ma particolare cura è riservata alla realizzazione di rapporti stabili di presa in carico dei servizi pubblici e sociali e, se occorre, psichiatrici del territorio in cui la persona si trova o di quelli nel quale si opera l'inserimento o delle strutture o associazioni che operano la presa in carico per conto o in luogo dei citati servizi.
      3. Nell'ambito dei rapporti di cui al comma 2, si provvede alla definizione e

 

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allo sviluppo di un programma di intervento per il contenimento o, se possibile, il superamento, delle criticità psico-sociali. Nelle prescrizioni della misura alternativa deve essere prevista anche quella relativa alla attuazione di tale programma.
      4. Le prescrizioni devono adeguarsi alla specifica situazione della persona e possono limitarsi a prevedere un riferimento costante al servizio o comunità o associazione di accoglienza, riferimento che consenta i contatti e la comunicazione con la persona, anche senza esigere uno stabile inserimento abitativo.
      5. Il programma di cui al comma 3 deve essere volto alla ricostruzione di un inserimento sociale soddisfacente o quantomeno al contenimento delle condizioni di disagio psico-sociale in cui la persona vive. In relazione a tale inserimento deve essere valutato l'andamento e l'esito dell'affidamento in prova.

Art. 60.
(Uscita dallo Stato durante la esecuzione di affidamento in prova).

      1. Chi si trova in esecuzione della misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale può chiedere di essere autorizzato a recarsi fuori dal territorio dello Stato per un periodo o per più periodi determinati, quando ciò è indispensabile per esigenze di lavoro, di studio, di salute o di famiglia.
      2. L'autorizzazione di cui al comma 1 è concessa dal magistrato di sorveglianza, previa verifica delle esigenze dichiarate, attraverso il centro di servizio sociale per adulti o altri organi pubblici dello Stato italiano o di quello in cui l'affidato si reca.
      3. L'esito del periodo di permanenza dell'interessato fuori dal territorio dello Stato è verificato, analogamente a quanto disposto dal comma 2, attraverso l'organizzazione di lavoro, di studio, sanitaria o altra organizzazione a conoscenza della situazione familiare e personale dell'interessato.
      4. Nell'ambito dei rapporti fra gli Stati dell'Unione europea possono essere stabilite,

 

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a condizioni di reciprocità, convenzioni, fra il dipartimento della amministrazione penitenziaria dello Stato italiano e la corrispondente autorità di altro Stato dell'Unione europea, per la esecuzione, nell'altro Stato, dell'affidamento in prova al servizio sociale nei confronti di persona condannata in Italia. Nei casi in cui sono applicate tali convenzioni, la gestione della misura alternativa è condotta dagli organi competenti dell'altro Stato che, alla conclusione del periodo di affidamento in prova, rimettono gli atti al tribunale di sorveglianza che aveva emesso l'ordinanza ammissiva alla misura alternativa, competente in merito ai provvedimenti conclusivi.

Art. 61.
(Detenzione domiciliare).

      1. La pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell'arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, quando trattasi di:

          a) donna incinta o madre di prole di età non superiore ad anni dieci, con lei convivente;

          b) padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole;

          c) persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedono costanti contatti con i presìdi sanitari territoriali;

          d) persona di età superiore a sessanta anni;

          e) persona minore di anni ventuno per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro o di famiglia.

 

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      2. La detenzione domiciliare può essere applicata per l'espiazione della pena detentiva inflitta in misura non superiore a due anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, indipendentemente dalle condizioni di cui al comma 1, quando non ricorrono i presupposti per l'affidamento in prova al servizio sociale e sempre che tale misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati.
      3. Quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al comma 1, può disporre la applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di durata di tale applicazione, termine che può essere prorogato. L'esecuzione della pena prosegue durante la esecuzione della detenzione domiciliare.
      4. Se l'istanza di applicazione della detenzione domiciliare è proposta dopo che ha avuto inizio l'esecuzione della pena, il magistrato di sorveglianza, cui la domanda deve essere rivolta, può disporre l'applicazione provvisoria della misura, quando ricorrono i requisiti di cui ai commi 1, 2 e 3. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 58, comma 4.
      5. Il tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare, fissa le modalità e i tempi di uscita dal luogo della detenzione domiciliare in riferimento ai motivi per cui la misura alternativa è stata concessa e, comunque, per agevolare il recupero di normali relazioni sociali e, in ogni caso, per consentire il soddisfacimento delle indispensabili esigenze di vita del soggetto. Determina e impartisce altresì le disposizioni per gli interventi del servizio sociale. La misura alternativa è eseguita previa accettazione delle prescrizioni e disposizioni da parte dell'interessato. Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente nel luogo in cui si svolge la detenzione domiciliare.
      6. Il condannato nei confronti del quale è disposta la detenzione domiciliare non è sottoposto al regime penitenziario previsto

 

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dalla presente legge e dal regolamento. Nessun onere grava sull'amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l'assistenza medica del condannato che trovasi in detenzione domiciliare.
      7. La detenzione domiciliare è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione della misura.
      8. La misura della detenzione domiciliare deve essere inoltre dichiarata inefficace quando vengono a cessare le condizioni previste nei commi 1, 2 e 3.
      9. Il condannato che, essendo in stato di detenzione nella propria abitazione o in un altro dei luoghi indicati nel comma 1, se ne allontana senza giustificato motivo, è punito ai sensi dell'articolo 385 del codice penale. Si applica la disposizione dell'ultimo comma dello stesso articolo. Il luogo della detenzione domiciliare comprende anche gli spazi annessi e collegati alla abitazione, alla privata dimora e alle strutture indicate nel comma 1, come l'ingresso, compreso lo spazio pubblico antistante allo stesso, i cortili, i giardini, gli spazi coltivati e simili, annessi al luogo della detenzione domiciliare.
      10. L'esistenza del giustificato motivo di cui al comma 9 è valutata dal magistrato di sorveglianza, che segue la esecuzione della detenzione domiciliare.
      11. Quando vi è denuncia per il delitto di cui al comma 9, il magistrato di sorveglianza può sospendere l'attuazione del beneficio, che viene, comunque, revocato dal tribunale di sorveglianza in presenza della condanna definitiva.

Art. 62.
(Misure alternative alla detenzione nei confronti dei soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria).

      1. Le misure previste dagli articoli 58 e 61 possono essere applicate, anche oltre i limiti di pena ivi previsti, su istanza dell'interessato o del suo difensore, nei confronti di coloro che sono affetti da AIDS

 

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conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell'articolo 286-bis, comma 2, del codice di procedura penale, e che hanno in corso o intendono intraprendere un programma di cura e assistenza presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere o universitarie o altre unità operative prevalentemente impegnate, secondo i piani regionali, nell'assistenza ai casi di AIDS.
      2. L'istanza di cui al comma 1 deve essere corredata da certificazione del servizio sanitario pubblico competente o del servizio sanitario penitenziario, che attesta la sussistenza delle condizioni di salute ivi indicate e la concreta attuabilità del programma di cura e assistenza, in corso o da effettuare, presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere o universitarie o altre unità operative prevalentemente impegnate, secondo i piani regionali, nell'assistenza ai casi di AIDS.
      3. Le prescrizioni da impartire per l'esecuzione della misura alternativa devono contenere anche quelle relative alle modalità di esecuzione del programma di cura e assistenza.
      4. In caso di applicazione della misura della detenzione domiciliare, i centri di servizio sociale per adulti svolgono l'attività di sostegno e controllo circa l'attuazione del programma di cura e assistenza.
      5. Nei casi previsti dal comma 1, il giudice può non applicare la misura alternativa qualora l'interessato abbia già fruito di analoga misura e questa sia stata revocata da meno di un anno.
      6. Il giudice può revocare la misura alternativa disposta ai sensi del comma 1 qualora il soggetto risulti imputato o sia stato sottoposto a misura cautelare per uno dei delitti previsti dall'articolo 380 del codice di procedura penale, relativamente a fatti commessi successivamente alla concessione del beneficio.
      7. Il giudice, quando non applica o quando revoca la misura alternativa per uno dei motivi di cui ai commi 5 e 6, ordina che il soggetto sia detenuto presso un istituto penitenziario dotato di reparto attrezzato per la cura e l'assistenza necessarie.
 

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      8. Per quanto non diversamente stabilito dal presente articolo si applicano le disposizioni degli articoli 58 o 61 in relazione a quale delle due misure alternative ivi indicate sia stata concessa.
      9. Ai fini del presente articolo non si applica il divieto di concessione dei benefìci previsto dall'articolo 79.
      10. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle persone internate intendendosi sostituite le misure di sicurezza detentive con la misura della libertà vigilata e la relativa prescrizione di seguire il programma di cura e assistenza.

Art. 63.
(Detenzione domiciliare speciale).

      1. Quando non ricorrono le condizioni di cui all'articolo 61, le condannate madri di prole di età non superiore ad anni dieci, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e alla assistenza dei figli, dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l'espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all'ergastolo.
      2. In relazione alla possibilità prevista dal comma 1, gli operatori penitenziari attivano le risorse familiari e sociali di accoglienza, con particolare riferimento a quelle dei servizi socio-assistenziali competenti nel luogo di appartenenza della condannata e dei suoi familiari.
      3. Per la condannata nei cui confronti è disposta la detenzione domiciliare speciale, nessun onere grava sull'amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l'assistenza medica della condannata che si trovi in tale condizione.
      4. Il tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare speciale, fissa le modalità di attuazione, ai sensi di quanto stabilito dal comma 5 dell'articolo 61,

 

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stabilisce il periodo di tempo che il soggetto può trascorrere all'esterno del proprio domicilio, detta le prescrizioni relative agli interventi del servizio sociale. Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente per il luogo in cui si svolge la misura.
      5. All'atto della scarcerazione è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto deve seguire nei rapporti con il servizio sociale.
      6. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita; riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto.
      7. Sulla osservanza delle prescrizioni non legate agli interventi di servizio sociale vigilano anche gli organi di polizia.
      8. La detenzione domiciliare speciale è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione della misura.
      9. La detenzione domiciliare speciale può essere concessa, alle stesse condizioni previste per la madre, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole.
      10. Al compimento del decimo anno di età del figlio, su domanda del soggetto già ammesso alla detenzione domiciliare speciale, il tribunale di sorveglianza può:

          a) disporre la proroga del beneficio, se ricorrono i requisiti per l'applicazione della semilibertà di cui all'articolo 66;

          b) disporre l'ammissione all'assistenza all'esterno dei figli minori di cui all'articolo 30, tenuto conto del comportamento dell'interessato nel corso della misura, desunto dalle relazioni redatte ai sensi dei commi 5 e 6, nonché della durata della misura e dell'entità della pena residua.

 

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Art. 64.
(Allontanamento dal domicilio senza giustificato motivo).

      1. La condannata ammessa al regime della detenzione domiciliare speciale che rimane assente dal proprio domicilio, senza giustificato motivo, per non più di dodici ore, può essere proposta per la revoca della misura.
      2. Se l'assenza si protrae per un tempo maggiore, la condannata è punita ai sensi dell'articolo 385, primo comma, del codice penale ed è applicabile la disposizione dell'ultimo comma dello stesso articolo.
      3. La condanna per il delitto di evasione comporta la revoca del beneficio.
      4. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano al padre detenuto, qualora la detenzione domiciliare è stata concessa a questi, ai sensi dell'articolo 63, comma 9.

Art. 65.
(Regime di semilibertà).

      1. Il regime di semilibertà consiste nella concessione al condannato e all'internato di trascorrere parte del giorno fuori dell'istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale.
      2. I condannati e gli internati ammessi al regime di semilibertà sono assegnati in appositi istituti o apposite sezioni autonome di istituti ordinari e indossano abiti civili.

Art. 66.
(Ammissione alla semilibertà).

      1. Possono essere espiate in regime di semilibertà la pena dell'arresto e la pena della reclusione non superiore a sei mesi, se il condannato non è affidato in prova al servizio sociale.
      2. Fuori dai casi previsti dal comma 1, il condannato può essere ammesso al regime di semilibertà soltanto dopo l'espiazione di almeno metà della pena

 

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ovvero, se si tratta di condannato per taluno dei delitti indicati dal comma 1 dell'articolo 79, commessi dopo il 13 maggio 1991, di almeno due terzi di essa. Nei casi previsti dall'articolo 58, se mancano i presupposti per l'affidamento in prova al servizio sociale, il condannato può essere ammesso al regime di semilibertà anche prima dell'espiazione di metà della pena.
      3. L'internato può essere ammesso alla semilibertà in ogni tempo.
      4. L'ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società.
      5. Il condannato all'ergastolo può essere ammesso al regime di semilibertà dopo avere espiato almeno venti anni di pena.
      6. Nei casi previsti dal comma 1, se il condannato ha dimostrato la propria volontà di reinserimento nella vita sociale, la semilibertà può essere altresì disposta successivamente all'inizio dell'esecuzione della pena. Si applica, in quanto compatibile, l'articolo 58, comma 4.
      7. Se l'ammissione alla semilibertà riguarda una condannata madre di un figlio di età inferiore a tre anni, essa ha diritto di usufruire della casa per la semilibertà prevista dal comma 8 dell'articolo 101 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230.

Art. 67.
(Progressione nel regime in semilibertà).

      1. Il magistrato di sorveglianza, su istanza del soggetto in regime di semilibertà interessato, può disporre che lo stesso, nel periodo in cui, secondo il programma di trattamento applicato, dovrebbe rientrare in istituto, resti, sottoposto a libertà vigilata, nel luogo, per il tempo e con le modalità indicati, nei periodi di malattia o di infortunio, certificati dal servizio sanitario pubblico, e di

 

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ferie annuali riconosciute nell'ambito del rapporto di lavoro in corso di svolgimento nel regime di semilibertà.
      2. Quando il soggetto in regime di semilibertà è ammissibile all'affidamento in prova al servizio sociale, dopo tre mesi, e, negli altri casi di semilibertà, dopo un anno di effettivo e regolare svolgimento della misura alternativa, il magistrato di sorveglianza, su istanza dell'interessato, può disporre che lo stesso, nel periodo in cui, secondo il programma di trattamento applicato, dovrebbe rientrare in istituto, resti, sottoposto a libertà vigilata, nel luogo, per il tempo e con le modalità indicati dallo stesso magistrato, nei giorni di sabato o domenica o in entrambi, nonché nel giorno di riposo settimanale diverso dai predetti.
      3. Il magistrato di sorveglianza può adottare il provvedimento di cui al comma 2 nei confronti dei soggetti in regime di semilibertà in esecuzione di una pena residua inferiore ad anni due, anche a prescindere dalla previa espiazione di parte della pena di cui al comma 2.
      4. Nei casi di cui alla prima ipotesi del primo periodo del comma 2 e di cui al comma 3, dopo un anno, e, nei casi di cui alla seconda ipotesi del medesimo primo periodo del comma 2, dopo tre anni di effettivo e regolare svolgimento del regime di semilibertà, il magistrato di sorveglianza, su istanza dell'interessato, può disporre che lo stesso, in parte dei periodi in cui dovrebbe rientrare in istituto, resti, sottoposto a libertà vigilata, nel luogo, per i tempi e con le modalità stabiliti dallo stesso giudice. Tale intervento è ammissibile anche senza che vi sia stato in precedenza l'intervento di cui ai commi 2 e 3.
      5. Il magistrato di sorveglianza, sentito il gruppo di osservazione e trattamento e svolti gli eventuali ulteriori accertamenti, provvede nelle forme del decreto previsto dall'articolo 103, commi 5 e 6. La applicazione, i tempi e le modalità di attuazione della libertà vigilata sono comunicati agli organi di polizia per l'espletamento dei compiti di loro competenza.
      6. Il magistrato di sorveglianza, sentiti l'interessato e il gruppo di osservazione e
 

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trattamento, può modificare le prescrizioni stabilite nei provvedimenti indicati dal comma 5. Nei casi indicati dal presente articolo, per il periodo della giornata in cui l'interessato esce dall'istituto per il compimento delle attività da svolgere in regime di semilibertà, restano ferme le competenze di cui all'articolo 103, comma 5.
      7. Il condannato ammesso al regime di semilibertà, dopo quattro anni di effettivo e regolare svolgimento dello stesso, è ammissibile alla liberazione condizionale anche se la parte di pena espiata non raggiunge quella che deve essere previamente espiata o eccede quella residua, secondo le misure indicate dall'articolo 72. Se si tratta di condannato all'ergastolo, dopo cinque anni di effettivo e regolare svolgimento del regime di semilibertà, è ammessa la liberazione condizionale anche se non è ancora maturata l'espiazione della parte di pena prevista dall'articolo 72.

Art. 68.
(Sospensione e revoca del regime di semilibertà).

      1. Il provvedimento di semilibertà può essere in ogni tempo revocato quando il soggetto non si appalesa idoneo al trattamento.
      2. Gli accertamenti sull'andamento del regime di semilibertà sono operati dal personale penitenziario, sia da quello educativo e del servizio sociale, sia da quello appartenente al Corpo di polizia penitenziaria. Non hanno funzioni specifiche di controllo in proposito gli altri organi di polizia, che se, nella loro attività di prevenzione generale, verificano situazioni problematiche concernenti i detenuti o gli internati in regime di semilibertà, ne riferiscono al magistrato di sorveglianza e al direttore dell'istituto penitenziario competenti.
      3. Nei periodi di sottoposizione al regime della libertà vigilata del condannato o dell'internato in semilibertà di cui all'articolo 67, gli organi di polizia svolgono

 

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i controlli di loro competenza e riferiscono sulle eventuali violazioni al magistrato di sorveglianza e alla direzione dell'istituto penitenziario.
      4. Il provvedimento di revoca del regime di semilibertà deve fare sempre riferimento ad una condotta colpevole dell'interessato, di rilevanza tale da palesare la sua inidoneità al trattamento. Se manca tale condotta colpevole, l'ammissione alla misura alternativa è dichiarata inefficace ed è esclusa l'applicazione della normativa conseguente alla revoca.
      5. Il condannato, ammesso al regime di semilibertà, che rimane assente dall'istituto senza giustificato motivo, per non più di dodici ore, è punito in via disciplinare e può essere proposto per la revoca della concessione.
      6. Se l'assenza di cui al comma 5 si protrae per un tempo maggiore, il condannato è punibile ai sensi del primo comma dell'articolo 385 del codice penale. In caso di ritardato rientro si applicano le disposizioni del comma 3 dell'articolo 39.
      7. Quando vi è denuncia per il delitto di cui al comma 6, il magistrato di sorveglianza può sospendere l'attuazione del beneficio, che viene, comunque, revocato dal tribunale di sorveglianza in presenza della condanna definitiva.
      8. All'internato ammesso al regime di semilibertà, che rimane assente dall'istituto per oltre tre ore senza giustificato motivo, può essere revocata la semilibertà, fatte salve le conseguenze, se vi siano, della sottrazione volontaria alla esecuzione delle misure di sicurezza detentive.
      9. L'esistenza o meno del giustificato motivo, nei casi di cui ai commi 5, 6 e 8, è valutata dal magistrato di sorveglianza.

Art. 69.
(Licenza al condannato ammesso al regime di semilibertà).

      1. Al condannato ammesso al regime di semilibertà possono essere concesse, per agevolare il suo reinserimento, una o più licenze di durata non superiore nel complesso

 

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a giorni quarantacinque all'anno. Di regola, la durata complessiva delle licenze nel corso dell'anno deve allinearsi al limite massimo indicato.
      2. Durante la licenza il condannato è sottoposto al regime della libertà vigilata.
      3. Se il condannato durante la licenza viola gli obblighi impostigli, la licenza può essere revocata senza procedere alla revoca del regime di semilibertà.
      4. Al condannato che, allo scadere della licenza o dopo la revoca di essa, non rientra in istituto, senza giustificato motivo, sono applicabili le disposizioni di cui all'articolo 68.

Art. 70.
(Licenze agli internati).

      1. Agli internati può essere concessa una licenza di sei mesi nel periodo immediatamente precedente alla scadenza fissata per il riesame di pericolosità.
      2. Agli internati può essere concessa, per gravi esigenze personali o familiari, una licenza di durata non superiore a quindici giorni; può essere inoltre concessa una licenza di durata non superiore a trenta giorni, una volta all'anno, al fine di favorirne il riadattamento sociale.
      3. Agli internati ammessi al regime di semilibertà possono inoltre essere concesse le licenze previste dal comma 1 dell'articolo 69.
      4. Durante la licenza l'internato è sottoposto al regime della libertà vigilata.
      5. Se l'internato durante la licenza trasgredisce agli obblighi impostigli, la licenza può essere revocata, anche senza la revoca del regime di semilibertà.
      6. All'internato che rimane assente dall'istituto per oltre tre ore dallo scadere della licenza, senza giustificato motivo, sono applicabili le disposizioni dell'articolo 68.

Art. 71.
(Computo del periodo di permesso o di licenza).

      1. Il tempo trascorso dal condannato o dall'internato in permesso o in licenza è computato a ogni effetto nella durata delle

 

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misure restrittive della libertà personale, salvi i casi di mancato rientro o di altri gravi comportamenti da cui risulta che il soggetto non si è dimostrato meritevole del beneficio. In tali casi sull'esclusione dal computo decide, con decreto motivato, il magistrato di sorveglianza.
      2. Avverso il decreto di cui al comma 1 può essere proposto dall'interessato reclamo al tribunale di sorveglianza secondo la procedura di cui agli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale, come modificato dalla presente legge. Il magistrato che ha emesso il provvedimento non fa parte del collegio.

Art. 72.
(Liberazione condizionale).

      1. Il condannato a pena detentiva che, durante il tempo di esecuzione della pena, ha manifestato costanti progressi nel trattamento, tali da fare ritenere che egli è ravveduto e che non commetterà altri reati, può essere ammesso alla liberazione condizionale se vi sono le condizioni per il suo corretto reinserimento sociale.
      2. Il condannato a pena detentiva temporanea può essere ammesso alla liberazione condizionale, ferma restando la disposizione di cui al comma 7 dell'articolo 67:

          a) se ha scontato almeno trenta mesi e, comunque, almeno metà della pena in esecuzione e il rimanente della medesima non supera i cinque anni; per le pene superiori a dieci anni, il residuo di pena non deve essere superiore a cinque anni più un quarto della pena in esecuzione eccedente i dieci anni; ferme restando le disposizioni di cui alla presente lettera, nei casi di condannati per delitti di cui al comma 1 dell'articolo 79, commessi dopo il 13 maggio 1991, devono essere espiati almeno i due terzi della pena in esecuzione;

          b) quando è stato dichiarato, con la sentenza di condanna, recidivo ai sensi dei capoversi dell'articolo 99 del codice penale,

 

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se ha scontato almeno quattro anni e non meno di tre quarti della pena in esecuzione.

      3. Il condannato all'ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno ventisei anni di pena.
      4. La concessione della liberazione condizionale è subordinata all'adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che il condannato dimostri di trovarsi nella impossibilità di adempierle.
      5. Le preclusioni ai benefìci penitenziari, salva collaborazione con la giustizia, di cui al primo periodo del comma 1 dell'articolo 79, non si applicano alla liberazione condizionale.
      6. La liberazione condizionale è attuata con la sottoposizione dell'interessato, per un periodo uguale a quello della pena ancora da scontare o di anni cinque, se si tratta di condannato all'ergastolo, alle prescrizioni contenute nella ordinanza ammissiva alla liberazione condizionale. Il verbale di accettazione della sottoposizione alle prescrizioni, in difetto del quale la liberazione condizionale non è eseguita, è redatto dinanzi all'organo penitenziario da cui l'interessato dipende.
      7. La sottoposizione alle prescrizioni non configura la misura di sicurezza della libertà vigilata. Il numero 2) del primo comma dell'articolo 230 del codice penale è abrogato.
      8. Le prescrizioni devono contenere le indicazioni relative ai rapporti che l'interessato deve stabilire e mantenere con l'organo di polizia e con il centro di servizio sociale per adulti, che seguono la misura e presso i quali si deve presentare senza ritardo, le indicazioni relative alle presentazioni periodiche dinanzi agli stessi organi, nonché le indicazioni sulla dimora, sulla libertà di spostamento e sull'eventuale obbligo di permanenza per tempi determinati presso la dimora, sullo svolgimento di attività di lavoro o di altra attività comunque utile al reinserimento sociale. Nelle prescrizioni può essere anche previsto che, durante tutto o parte del periodo di liberazione condizionale, l'interessato non soggiorni in uno o più comuni

 

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e non svolga attività o intrattenga rapporti personali che possono porlo a rischio del compimento di altri reati.
      9. Nel corso della liberazione condizionale, le prescrizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza.
      10. Il centro di servizio sociale per adulti, oltre a controllare la condotta del soggetto, svolge le attività di sostegno e assistenza utili al suo reinserimento sociale. L'organo di polizia verifica l'osservanza delle prescrizioni che lo riguardano. Entrambi riferiscono periodicamente al magistrato di sorveglianza circa l'andamento della liberazione condizionale.
      11. Le disposizioni dell'articolo 60 sono applicabili anche alla liberazione condizionale.

Art. 73.
(Revoca della liberazione condizionale o estinzione della pena).

      1. Nei confronti del condannato ammesso alla liberazione condizionale resta sospesa l'esecuzione della misura di sicurezza detentiva applicata al condannato con la sentenza di condanna o con provvedimento successivo.
      2. La liberazione condizionale è revocata se l'interessato viene condannato per delitto non colposo commesso nel corso della misura ovvero trasgredisce le prescrizioni stabilite per la esecuzione della stessa, quando la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita e alle violazioni delle prescrizioni, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio. Con il provvedimento di revoca il tribunale di sorveglianza determina la pena detentiva ancora da espiare, tenendo conto del tempo trascorso in liberazione condizionale, nonché delle restrizioni di libertà subite dal condannato e del suo comportamento durante tale periodo.
      3. Decorso tutto il tempo della pena inflitta ovvero decorsi cinque anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale, se trattasi di condannato all'ergastolo, l'esito positivo del periodo di

 

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prova estingue la pena nella sua interezza, compresa la pena pecuniaria, le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna e sono revocate le misure di sicurezza personali, ordinate dal giudice con la sentenza di condanna o con provvedimento successivo.
      4. Al soggetto che ha dato prova, nel periodo di liberazione condizionale, di un suo concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della sua personalità, può essere concessa la detrazione di pena di cui all'articolo 78. Si applicano gli articoli 78, comma 4, e 104.
      5. Il beneficio di cui al comma 4 si applica anche alle liberazioni condizionali e per i semestri in corso alla data di entrata in vigore della presente legge.

Art. 74.
(Rapporto fra l'applicazione delle misure alternative alla detenzione ed altri interventi penali o amministrativi).

      1. L'applicazione di una delle misure alternative alla detenzione previste dal presente capo, esclusa la liberazione anticipata, determina la sospensione dell'esecuzione ed impedisce la eseguibilità delle misure di sicurezza, anche detentive, nonché delle misure di prevenzione, ivi compresa quella di cui all'articolo 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni, e di ogni altra misura amministrativa nei confronti del condannato che interferisca sulla fruizione della misura alternativa.
      2. In caso di esito positivo delle misure alternative dell'affidamento in prova al servizio sociale, ivi comprese quelle degli articoli 59 e 60, e della liberazione condizionale, gli effetti di cui al comma 13 dell'articolo 58 e al comma 3 dell'articolo 73, determinano, in conseguenza della revoca delle misure di sicurezza e con riferimento all'articolo 10 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, la cessazione degli effetti delle misure di prevenzione disposte nei confronti del condannato, ivi compresa

 

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quella di cui all'articolo 2 della stessa legge n. 1423 del 1956, e successive modificazioni.
      3. Per le altre misure alternative, alla conclusione della esecuzione della pena, si applicano le disposizioni dell'articolo 679 del codice di procedura penale, come sostituito dalla presente legge.
      4. L'esecuzione della pena in regime di misura alternativa alla detenzione, esclusa la semilibertà, e la custodia cautelare in regime di arresti domiciliari si considerano compatibili quando hanno in comune il luogo di attuazione e le modalità esecutive. In tale ultima ipotesi, la custodia cautelare è sospesa, ma le prescrizioni relative alla esecuzione delle misure alternative devono tenere conto delle modalità esecutive stabilite per gli arresti domiciliari dall'autorità giudiziaria che li ha concessi.
      5. Le disposizioni del presente articolo relative all'affidamento in prova al servizio sociale si applicano anche all'affidamento in prova al servizio sociale in casi particolari previsti dall'articolo 94 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni.
      6. Il comma 2 dell'articolo 298 del codice di procedura penale è abrogato.

Art. 75.
(Sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà).

      1. Quando durante l'attuazione dell'affidamento in prova al servizio sociale o della detenzione domiciliare o della detenzione domiciliare speciale o del regime di semilibertà sopravviene un titolo di esecuzione di altra pena detentiva, il direttore dell'istituto penitenziario o il direttore del centro di servizio sociale per adulti informa immediatamente il magistrato di sorveglianza. Se questi, tenuto conto del cumulo delle pene, anche se non

 

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formalmente redatto, rileva che permangono le condizioni di cui al comma 1 dello articolo 58 o ai commi 1 e 2 dell'articolo 61 o ai commi 1 e 2 dell'articolo 63 o ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 66, dispone con decreto la prosecuzione provvisoria della misura in corso; in caso contrario, dispone la sospensione della misura stessa. Il magistrato di sorveglianza trasmette quindi gli atti al tribunale di sorveglianza che deve decidere nel termine di venti giorni la prosecuzione o la cessazione della misura.

Art. 76.
(Sospensione cautelativa delle misure alternative).

      1. Se l'affidato in prova al servizio sociale o l'ammesso al regime di semilibertà o di detenzione domiciliare o di detenzione domiciliare speciale pone in essere comportamenti tali da determinare la revoca della misura, il magistrato di sorveglianza nella cui giurisdizione essa è in corso ne dispone con decreto motivato la provvisoria sospensione, ordinando l'accompagnamento del trasgressore in istituto. Trasmette quindi immediatamente gli atti al tribunale di sorveglianza per le decisioni di competenza. Il provvedimento di sospensione del magistrato di sorveglianza cessa di avere efficacia se la decisione del tribunale di sorveglianza non interviene entro trenta giorni dalla ricezione degli atti.

Art. 77.
(Estensione alla liberazione condizionale della applicazione degli articoli 75 e 76).

      1. Le disposizioni degli articoli 75 e 76 si applicano anche nei confronti del condannato in esecuzione della liberazione condizionale.

Art. 78.
(Liberazione anticipata).

      1. Al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all'opera

 

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di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione da quarantacinque a sessanta giorni per ogni singolo semestre di pena scontata. A tale fine è valutato anche il periodo trascorso in stato di custodia cautelare o di detenzione domiciliare.
      2. La progressiva maggiore misura della detrazione, con riferimento ad ogni singolo semestre di pena scontata, tiene conto dei dati particolarmente significativi nel lavoro, nello studio o in altre attività trattamentali, nonché nei rapporti con il personale e con i compagni, verificando se la scarsità o l'assenza di dati specifici rilevanti sia indipendente dalla volontà del condannato e conseguente alla assenza o, comunque, alla povertà delle offerte trattamentali ricevute.
      3. La concessione del beneficio è comunicata all'ufficio del pubblico ministero presso la corte di appello o presso il tribunale che ha emesso il provvedimento di esecuzione.
      4. La condanna per delitto non colposo commesso nel corso della esecuzione successivamente alla concessione del beneficio ne comporta la revoca se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio.
      5. Agli effetti del computo della misura di pena che occorre avere espiato per essere ammessi ai benefìci dei permessi premio, della semilibertà e della liberazione condizionale, la parte di pena detratta ai sensi del comma 1 si considera come scontata. La presente disposizione si applica anche ai condannati all'ergastolo.

Art. 79.
(Divieto di concessione dei benefìci e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti).

      1. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi di risocializzazione e le misure alternative alla detenzione previste dal

 

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presente capo, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e agli internati per i seguenti delitti solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia ai sensi dell'articolo 80: delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale, delitti commessi, in concorso del delitto precedente, avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, delitti di cui agli articoli 600, 601, 602 e 630 del codice penale, all'articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all'articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. Sono fatte salve le disposizioni degli articoli 16-nonies e 17-bis del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82. I benefìci suddetti possono essere concessi ai detenuti o agli internati per uno dei delitti di cui al primo periodo del presente comma, solo se non vi sono elementi tali da fare ritenere la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un'utile collaborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulta oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati è stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall'articolo 62, numero 6), anche qualora il risarcimento del danno è avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall'articolo 114
 

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ovvero dall'articolo 116, secondo comma, del codice penale. I benefìci di cui al presente comma possono essere concessi solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, ai detenuti o agli internati per i delitti di cui: agli articoli 575, 628, terzo comma, e 629, secondo comma, del codice penale, all'articolo 291-ter del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, all'articolo 73 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articolo 80, comma 2, del medesimo testo unico, all'articolo 416 del codice penale, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, e dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del medesimo codice penale e dall'articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni. Le disposizioni di cui al presente comma sono applicabili alle sole pene inflitte per i delitti ivi indicati, che devono considerarsi espiate per prima.
      2. Le preclusioni, salva collaborazione con la giustizia ai sensi dell'articolo 80, alla ammissibilità al lavoro all'esterno e ai permessi di risocializzazione, di cui al primo periodo del comma 1, cessano di avere efficacia dopo la espiazione effettiva di metà della pena e comunque di non oltre dieci anni, non applicandosi in tale calcolo la disposizione del comma 5 dell'articolo 78. Le stesse preclusioni all'ammissibilità alle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 58, 61 e 66, cessano di avere efficacia dopo la espiazione effettiva di due terzi della pena e, comunque, di non oltre dodici anni, non applicandosi in tale calcolo la disposizione del comma 5 dell'articolo 78. Venuta meno la efficacia delle preclusioni, la ammissione ai benefìci predetti può avvenire solo in presenza delle condizioni legali e di merito previste per i singoli benefìci e
 

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purché non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata.
      3. Ai fini della decisione in merito ai benefìci di cui al comma 1, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza integra i dati istruttori utili alla decisione stessa, acquisendo dettagliate informazioni dagli organi indicati al comma 4 sulla attualità dei collegamenti del condannato con la criminalità organizzata o eversiva. Le informazioni di tali organi non devono esprimere pareri sulla concessione dei benefìci, ma fornire dati conoscitivi relativi alla permanenza attuale dei collegamenti indicati; gli eventuali pareri espressi non possono essere utilizzati nella motivazione della decisione. In ogni caso il giudice decide decorsi quaranta giorni dalla richiesta delle informazioni.
      4. Le informazioni di cui al comma 3 sono acquisite:

          a) nei casi di cui al primo, secondo e terzo periodo del comma 1, presso il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente nel luogo di detenzione del condannato, che può essere integrato dal direttore dell'istituto in cui lo stesso si trova, e dell'analogo organo competente nel luogo di commissione del reato;

          b) nei casi di cui al quarto periodo del comma 1, ai questori competenti del luogo di detenzione del condannato e del luogo di commissione dei reati.

      5. Quando il comitato di cui al comma 4, lettera a), ritiene che sussistono particolari esigenze di sicurezza ovvero che i collegamenti potrebbero essere mantenuti con organizzazioni operanti in ambiti non locali o extranazionali, ne dà comunicazione al giudice e il termine di cui al comma 2 è prorogato di ulteriori trenta giorni al fine di acquisire elementi ed informazioni da parte dei competenti organi centrali.
      6. I commi 3, 4 e 5 si applicano anche alla liberazione condizionale.

 

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Art. 80.
(Persone che collaborano con la giustizia).

      1. I limiti di pena previsti dalle disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 29, al comma 4 dell'articolo 41, al comma 2 dell'articolo 66 e alla lettera a) del comma 2 dell'articolo 72, concernenti le persone condannate per taluno dei delitti indicati al comma 1 dell'articolo 79, non si applicano a coloro che, anche dopo la condanna, si sono adoperati per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero hanno aiutato concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura degli autori dei reati.
      2. Le condotte indicate nel comma 1 sono accertate dal tribunale di sorveglianza, assunte le necessarie informazioni e sentito il pubblico ministero presso il giudice competente per i reati in ordine ai quali è stata prestata la collaborazione.

Art. 81.
(Divieto di concessione dei benefìci penitenziari).

      1. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi di risocializzazione e le misure alternative di cui agli articoli 58, 61 e 65 non possono essere concessi al condannato per uno dei delitti di cui al comma 1 dell'articolo 79:

          a) quando ha posto in essere una condotta punibile ai sensi dell'articolo 385 del codice penale;

          b) quando le misure di cui all'alinea sono state revocate a seguito di una condotta colpevole dell'interessato;

          c) quando è pronunciata condanna definitiva nei confronti dell'interessato per un delitto doloso, punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, commesso durante la fruizione di uno dei benefìci previsti dall'alinea.

 

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      2. Il divieto di cui al comma 1 opera nell'ambito della stessa esecuzione e non concerne i periodi di custodia cautelare o la esecuzione di misure alternative relative ad altre pene; se queste sono comprese nel complesso di pene nella attuale esecuzione contestuale, l'esecuzione della pena per cui opera il divieto di cui al comma 1 deve considerarsi espiata per prima.
      3. Il divieto di cui al comma 1 opera:

          a) nella ipotesi di cui alla lettera a) del comma 1, per un periodo di tre anni dal momento in cui è ripresa la esecuzione della custodia cautelare o della pena; tale periodo è ridotto a due anni se l'interessato si costituisce volontariamente in carcere entro dieci giorni dalla consumazione della evasione;

          b) nella ipotesi di cui alla lettera b) del comma 1, per un periodo di tre anni dalla data della condotta colpevole per cui è stata pronunciata la revoca della misura alternativa o, se tale data non è definita, da quella della pronuncia di revoca;

          c) nella ipotesi di cui alla lettera c) del comma 1, per un periodo di tre anni dalla data della commissione del delitto se la pena inflitta non è superiore a due anni di reclusione, e per un periodo di cinque anni dalla stessa data, se la pena inflitta è superiore a due anni di reclusione.

      4. Nella ipotesi di cui alla lettera c) del comma 1, il divieto ivi previsto opera anche se è emessa sentenza ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale.
      5. Quando, nelle ipotesi di cui alle lettere a) e c) del comma 1, il procedimento penale relativo è pendente per l'evasione o per un delitto doloso punito con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza competenti possono sospendere l'esecuzione del lavoro all'esterno o l'esecuzione o la concessione dei permessi premio o l'esecuzione o la concessione della misura alternativa fino alla pronuncia della sentenza definitiva.

 

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      6. Se le situazioni di cui ai commi da 1 a 3 emergono successivamente alla concessione dei benefìci si deve procedere alla revoca della stessa o, nel caso di cui al comma 5, alla sospensione ivi prevista.
      7. Il presente articolo è applicabile anche alla liberazione condizionale.

Art. 82.
(Decorso del tempo e disposizioni in materia penale e di procedura della esecuzione penale).

      1. Il settimo comma dell'articolo 172 del codice penale è abrogato. Il secondo periodo del primo comma dell'articolo 173 del codice penale è soppresso.
      2. La revoca della sospensione condizionale della pena di cui all'articolo 163 del codice penale, dell'indulto e della grazia, dell'affidamento in prova al servizio sociale, della liberazione condizionale e della liberazione anticipata, di cui agli articoli 58, 72 e 78 della presente legge, nonché della sospensione della esecuzione della pena detentiva e dell'affidamento in prova in casi particolari previsti dagli articoli 90 e 94 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, deve essere disposta entro cinque anni dal verificarsi della causa che determina la revoca. Se tale causa è rappresentata da una sentenza di condanna, il termine predetto decorre dal passaggio in giudicato della medesima.
      3. L'ordine di esecuzione della pena di cui al comma 2 deve essere emesso e trasmesso per la esecuzione agli organi competenti, che devono provvedere senza alcun ritardo, e comunque entro tre mesi dalla comunicazione dei provvedimenti di cui al medesimo comma 2.
      4. Nei casi in cui la revoca del beneficio si verifica automaticamente per effetto della legge, l'ordine di esecuzione della pena di cui al comma 2 deve essere emesso e trasmesso per la esecuzione agli organi competenti entro il termine di cinque anni dalla revoca. Entro tale termine

 

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deve, comunque, essere emesso anche il provvedimento dichiarativo della revoca da parte del giudice competente.
      5. La cessazione dell'esecuzione delle pene poste in esecuzione a seguito di revoca disposta fuori dai termini di cui al presente articolo è operante anche se l'esecuzione è iniziata prima della data di entrata in vigore della presente legge.

Art. 83.
(Ammissibilità a misure alternative con riferimento al decorso del tempo dalla commissione dei reati).

      1. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi di risocializzazione e la semilibertà, nonché la liberazione condizionale possono essere concessi anche in deroga alle disposizioni vigenti, ivi comprese quelle relative ai limiti di pena di cui agli articoli 29, 41, 66 e 72 quando sono decorsi i periodi di tempo, indicati al comma 2, dalla commissione dei reati per cui sono state inflitte la condanna o le condanne. L'ammissione è disposta in base ai risultati della osservazione condotta collegialmente in istituto. Viene valutato, in particolare, in relazione al tempo trascorso dalla commissione dei reati, se non vi sia la probabilità che il condannato commetta altri reati.
      2. La disposizione di cui al comma 1 si applica: a) quando sono decorsi dieci anni dalla commissione dei reati e la pena inflitta con la sentenza di condanna non è superiore a cinque anni; b) quando sono decorsi quindici anni dalla commissione dei reati e la pena inflitta non è superiore a dieci anni; c) quando sono decorsi venti anni dalla commissione dei reati e la pena inflitta è superiore a dieci anni; d) quando sono decorsi venticinque anni ed è stata inflitta la pena dell'ergastolo. I termini di cui al presente comma sono rispettivamente ridotti a cinque, dieci, quindici e venti anni, se il condannato ha già espiato oltre un quarto della pena in esecuzione.
      3. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano nei casi di cui all'articolo 79, comma 1, primo periodo.

 

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      4. Nei confronti di chi è stato condannato per delitti aventi finalità di terrorismo, escluso quello internazionale, e di eversione dell'ordinamento costituzionale o comunque di espressione violenta della lotta politica, l'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e la semilibertà, nonché la liberazione condizionale possono essere concessi anche in deroga alle disposizioni vigenti, ivi comprese quelle relative alle preclusioni all'ammissibilità, esclusa la collaborazione ai sensi dell'articolo 80, di cui all'articolo 79, comma 1, primo periodo, nonché quelle relative ai limiti di pena di cui agli articoli 29, 41, 66 e 72, quando sono decorsi almeno quindici anni dalla commissione dei reati per cui è stata inflitta la condanna e, anche in base ai risultati della osservazione condotta collegialmente in istituto, vi sono elementi tali da escludere che il condannato commetta ulteriori reati e, tenendo conto in particolare del tempo trascorso dai fatti, risulta che il condannato medesimo ha tenuto e tiene comportamenti oggettivamente incompatibili con il permanere di vincoli con movimenti terroristici ed eversivi e che egli ha escluso ed esclude la violenza come metodo di lotta politica.
      5. Nel provvedimento di concessione di cui al comma 4 può essere stabilito che, durante la esecuzione delle misure alternative, il condannato si impegni in attività socialmente utili.
      6. Quando, al momento della decisione, sono trascorsi dai fatti per cui vi è stata condanna a venti anni, o venticinque anni in caso di persona sottoposta alla esecuzione della pena dell'ergastolo, fra i possibili benefìci indicati nei commi 1 e 4 è adottata la liberazione condizionale. I termini indicati dal presente comma sono ridotti a quindici e venti anni quando la persona interessata è detenuta da oltre dieci anni.
      7. Quando è concessa la liberazione condizionale, la durata della stessa è di due anni, nei casi in cui la pena residua da espiare non è superiore a cinque anni, di tre anni negli altri casi di pena temporanea
 

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e di quattro anni per il condannato all'ergastolo.
      8. Il consiglio di disciplina, quando intende proporre le concessioni previste dal presente articolo, è integrato dai componenti del gruppo di osservazione e trattamento.
      9. Nei casi di condannati per i delitti di cui all'articolo 79 restano fermi gli obblighi degli accertamenti presso i comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica e presso gli organi di polizia previsti dallo stesso articolo.

Art. 84.
(Interventi del servizio sociale nella libertà vigilata).

      1. Nei confronti dei sottoposti alla libertà vigilata, ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 228 del codice penale, il servizio sociale svolge interventi di sostegno e di assistenza al fine del loro reinserimento sociale.

Art. 85.
(Remissione del debito).

      1. Il debito per le spese del procedimento e per il mantenimento nei periodi detentivi è rimesso nei confronti dei condannati e degli internati che hanno tenuto regolare condotta.
      2. Per chi è stato sottoposto a detenzione o è tuttora detenuto, la regolarità della condotta è valutata con riferimento alla condotta attuale del soggetto, anche se in stato di libertà. Per chi non è stato sottoposto a detenzione, la valutazione viene effettuata con riferimento alla condotta attuale.
      3. La condotta si considera regolare quando la persona manifesta costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento, volti a realizzare il proprio inserimento sociale.

 

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      4. La domanda relativa alla rimessione del debito può essere proposta dal momento in cui è divenuta irrevocabile la sentenza contenente la condanna al pagamento delle spese e fino a che non è conclusa la procedura per il recupero delle stesse.

Art. 86.
(Legittimazione alla richiesta degli interventi alternativi alla detenzione).

      1. Gli interventi alternativi alla detenzione e gli altri benefìci di cui al presente capo possono essere richiesti dagli interessati, nonché dai prossimi congiunti e dai loro difensori e possono essere proposti dal consiglio di disciplina.

Art. 87.
(Comunicazione all'autorità di pubblica sicurezza).

      1. Dei provvedimenti previsti dal presente capo e adottati dal magistrato o dal tribunale di sorveglianza, escluso quello di cui all'articolo 85, è data immediata comunicazione all'autorità provinciale di pubblica sicurezza a cura della cancelleria.

Art. 88.
(Iscrizione nel casellario giudiziale).

      1. Nel casellario giudiziale sono iscritti i provvedimenti del tribunale di sorveglianza e del magistrato di sorveglianza relativi alla concessione e alla revoca delle misure alternative alla pena detentiva previste dal presente capo.

 

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Capo II
ESECUZIONE DI TRATTAMENTI PENALI DIVERSI DALLA PENA DETENTIVA

Art. 89.
(Modifica dell'articolo 660 del codice di procedura penale, in materia di esecuzione delle pene pecuniarie).

      1. L'articolo 660 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «Art. 660. - (Esecuzione delle pene pecuniarie). - 1. Le condanne a pene pecuniarie sono eseguite nei modi stabiliti dalle leggi e dai regolamenti vigenti in materia.
      2. Quando è accertata l'impossibilità di esazione della pena pecuniaria o di una rata di essa, il pubblico ministero competente per l'esecuzione emette provvedimento di conversione della pena pecuniaria nel trattamento sanzionatorio sostitutivo dell'affidamento in prova al servizio sociale ai sensi dell'articolo 102, comma 1, della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni, e lo trasmette al magistrato di sorveglianza del luogo di residenza del condannato.
      3. Il magistrato di sorveglianza, sentito l'interessato, dispone la esecuzione dell'affidamento in prova al servizio sociale ai sensi dell'articolo 107 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni. Se l'interessato lo richiede, assumendo di trovarsi in una situazione di solo temporanea insolvenza, il magistrato di sorveglianza, prima di adottare i provvedimenti indicati, può disporre la rateizzazione della pena ai sensi dell'articolo 133-ter del codice penale, se essa non è stata disposta con la sentenza di condanna, ovvero può differire la esecuzione per un tempo non superiore a sei mesi e alla scadenza di tale termine, se l'insolvenza perdura, prorogare il differimento per lo stesso tempo. Ai fini della estinzione della pena per decorso del tempo, non si tiene

 

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conto del periodo durante il quale la esecuzione è stata differita.
      4. Anche prima che sia iniziata la procedura esecutiva a cura degli uffici competenti, il condannato può proporre istanza al magistrato di sorveglianza al fine della rateizzazione della pena o del differimento della esecuzione indicati al comma 3 in ragione della sua situazione di temporanea insolvenza ovvero al fine della conversione della stessa in ragione della sua situazione di insolvibilità.
      5. Nel caso di cui al comma 4, l'istanza del condannato deve indicare la pena o le pene pecuniarie cui si riferisce e offrire le indicazioni relative alle situazioni di insolvenza o di insolvibilità di cui ai commi 2 e 3. Il magistrato di sorveglianza richiede al pubblico ministero e, ove occorra, alla cancelleria del giudice della esecuzione, la esatta posizione esecutiva del condannato e lo stato della esecuzione, nonché quanto risulta circa la insolvenza o la insolvibilità indicate nella istanza, sulle quali può anche disporre accertamenti di polizia.
      6. La decisione è adottata dal magistrato di sorveglianza, anche sulla conversione in affidamento in prova, previe le verifiche che si ritengano necessarie, comprese, nel caso di adozione del provvedimento di conversione, quelle indicate dall'articolo 107 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni.
      7. I provvedimenti del magistrato di sorveglianza sono adottati ai sensi dell'articolo 678, comma 2».

Art. 90.
(Modifica dell'articolo 678 del codice di procedura penale, in materia di procedimento di sorveglianza).

      1. L'articolo 678 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «Art. 678. - (Procedimento di sorveglianza). - 1. Il tribunale di sorveglianza nelle materie di sua competenza, salvo non sia diversamente disposto, e il magistrato di sorveglianza nelle materie attinenti ai

 

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reclami presentati da detenuti ed internati, alla remissione del debito, ai ricoveri previsti dall'articolo 148 del codice penale, alla esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata applicate in sentenza, alle misure di sicurezza, alla dichiarazione o alla revoca di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere e nelle altre materie comunque previste dalla legge, procedono, a richiesta del pubblico ministero, dell'interessato, del difensore o di ufficio, ai sensi dell'articolo 666 del presente codice. Tuttavia, quando vi è motivo di dubitare della identità fisica di una persona, procedono a norma dell'articolo 667.
      2. Il magistrato di sorveglianza, quando si tratta di decidere, ai sensi del comma 3 dell'articolo 660, sulla rateizzazione della pena o sul differimento della esecuzione o sulla esecuzione dell'affidamento in prova al servizio sociale applicato in conversione della pena pecuniaria ai sensi degli articoli 660 del presente codice e 102 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni, nonché quando si tratta di decidere, su istanza dell'interessato o del suo difensore, sulla rateizzazione della pena o sul differimento della esecuzione o sulla istanza dell'interessato di conversione della pena, previsti dai commi 4, 5 e 6 dell'articolo 660, provvede con decreto. Prima della adozione del provvedimento, nei casi in cui non vi è istanza dell'interessato, questi è invitato a rendere le sue dichiarazioni, se lo ritiene opportuno.
      3. Il provvedimento del magistrato di sorveglianza è comunicato all'interessato e al pubblico ministero, che possono proporre opposizione a mezzo di incidente di esecuzione entro dieci giorni dalla comunicazione e si procede ai sensi del comma 1. L'opposizione sospende la esecuzione del provvedimento.
      4. Le funzioni di pubblico ministero sono esercitate, davanti al tribunale di sorveglianza, dal procuratore generale presso la corte di appello e, davanti al magistrato di sorveglianza, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale della sede dell'ufficio di sorveglianza».
 

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Art. 91.
(Modifiche alla legge 24 novembre 1981, n. 689, in materia di conversione di pene pecuniarie).

      1. L'articolo 102 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è sostituito dal seguente:

      «Art. 102. - (Conversione di pene pecuniarie). - 1. Le pene della multa e dell'ammenda non eseguite per insolvibilità del condannato sono convertite, ai sensi dell'articolo 660 del codice di procedura penale, nell'affidamento in prova al servizio sociale per i seguenti periodi:

          a) mesi uno per le pene della multa fino a euro 500 e dell'ammenda fino a euro 1.000;

          b) mesi tre per le pene della multa fino a euro 10.000 e dell'ammenda superiori a euro 1.000;

          c) mesi sei per le pene della multa superiori a euro 10.000;

          d) mesi nove quando vi è concorso di pene della multa e le stesse superano complessivamente euro 25.000.

      2. Il condannato può sempre fare cessare la esecuzione della pena convertita pagando la multa o l'ammenda, dedotta la somma proporzionalmente corrispondente alla parte della pena convertita già eseguita fissata in sede di conversione».

      2. Gli articoli 103 e 105 della legge 24 novembre 1981, n. 689, sono abrogati.

Art. 92.
(Modifica dell'articolo 107 della legge 24 novembre 1981, n. 689, in materia di contenuto del provvedimento di conversione della pena pecuniaria).

      1. L'articolo 107 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è sostituito dal seguente:

      «Art. 107. - (Contenuto del provvedimento di conversione della pena pecuniaria).

 

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- 1. Il pubblico ministero competente per la esecuzione trasmette il provvedimento di conversione della pena pecuniaria, adottato ai sensi dell'articolo 102, comma 1, al magistrato di sorveglianza del luogo di residenza del condannato.
      2. Il magistrato di sorveglianza, sentito il condannato, procede ai sensi dell'articolo 678 del codice di procedura penale, alla esecuzione del provvedimento di affidamento in prova al servizio sociale di cui al comma 1 dell'articolo 106, detta le prescrizioni che il soggetto deve seguire in ordine ai suoi rapporti con il servizio sociale e agli altri aspetti relativi all'affidamento in prova previa verifica, da parte dello stesso servizio sociale, della situazione dell'interessato in ordine al suo inserimento sociale, familiare e lavorativo.
      3. Nel provvedimento di ammissione alla pena pecuniaria è anche previsto lo svolgimento di attività di volontariato o di lavori socialmente utili, in modo comunque che lo svolgimento di questi non ostacoli lo sviluppo dell'inserimento sociale del condannato e in particolare lo svolgimento dell'attività lavorativa da lui effettivamente svolta, necessaria per soddisfare le sue indispensabili esigenze di vita.
      4. Nel caso di cui ai commi 4 e seguenti dell'articolo 660 del codice di procedura penale, il magistrato di sorveglianza provvede contestualmente anche alla conversione della pena in affidamento in prova al servizio sociale.
      5. Il provvedimento di affidamento in prova è trasmesso al centro di servizio sociale per adulti territorialmente competente per la redazione del verbale di sottoposizione alle prescrizioni.
      6. Nel corso dell'affidamento in prova le prescrizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza.
      7. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita.
      8. La funzione di controllo sul rispetto delle prescrizioni deve essere assolta dai
 

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centri di servizio sociale per adulti a mezzo di proprio personale non appartenente a organi di polizia, compreso il Corpo di polizia penitenziaria. Nelle prescrizioni non possono essere introdotti compiti degli organi di polizia e riferimenti agli stessi. Se questi, nella loro attività di prevenzione generale, verificano situazioni problematiche che riguardano affidati in prova al servizio sociale, ne riferiscono al magistrato di sorveglianza e al centro di servizio sociale per adulti competenti alla esecuzione della misura alternativa».

Art. 93.
(Modifica dell'articolo 108 della legge 24 novembre 1981, n. 689, in materia di inosservanza delle prescrizioni).

      1. L'articolo 108 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è sostituito dal seguente:

      «Art. 108. - (Inosservanza delle prescrizioni). - 1. Al termine dell'affidamento in prova sostitutivo della pena pecuniaria, questa si considera eseguita, salvo quanto disposto dal presente articolo.
      2. Sempre al termine dell'affidamento in prova, se sono state segnalate violazioni delle prescrizioni, il magistrato di sorveglianza, in ordine alle stesse, valuta, con riferimento alle restrizioni della libertà del soggetto, agli impegni da lui assunti e alla sua complessiva risposta alle prescrizioni, se sia stato egualmente mantenuto un margine di maggiore afflittività rispetto alla originaria sanzione congruo in relazione al trattamento sanzionatorio sostitutivo. Se la valutazione è positiva, la pena si considera eseguita.
      3. Se la valutazione di cui al comma 2 è negativa, il magistrato di sorveglianza ridetermina, con riferimento ai tempi e all'andamento della prova, il periodo di affidamento in prova che deve essere ancora eseguito, entro i limiti del periodo di affidamento in prova inizialmente applicato,

 

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stabilendo, inoltre, un appropriato rafforzamento del regime delle prescrizioni. Tale rideterminazione è disposta una sola volta e, al termine del nuovo periodo di prova, la pena si considera eseguita.
      4. Il magistrato di sorveglianza provvede analogamente a quanto previsto dal comma 3 anche durante lo svolgimento della prova se le segnalazioni di violazioni delle prescrizioni, secondo la loro gravità, impongono un rafforzamento del regime delle prescrizioni o una nuova determinazione del periodo di prova residuo o di entrambi. Al termine del periodo di prova così determinato, si procede ai sensi dei commi 2 e 3.
      5. Nei casi di cui ai commi 3 e 4, si procede ai sensi del comma 1 dell'articolo 678 del codice di procedura penale».

Art. 94.
(Interdizione dai pubblici uffici - Attività lavorative consentite).

      1. All'articolo 28 del codice penale, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «L'interdizione dai pubblici uffici non preclude lo svolgimento presso amministrazioni pubbliche di semplici mansioni d'ordine, nonché la prestazione d'opera meramente materiale, non trattandosi di attività di pubblico servizio».

Art. 95.
(Soppressione di pene accessorie).

      1. L'articolo 32 del codice penale è abrogato.
      2. I commi 1 e 2 dell'articolo 85 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono abrogati.

 

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Art. 96.
(Modifica all'articolo 662 del codice di procedura penale, in materia di tempi della esecuzione delle pene accessorie).

      1. Dopo il comma 2 dell'articolo 662 del codice procedura penale sono aggiunti i seguenti:

      «2-bis. Le pene accessorie sono eseguite subito dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna che le prevede o a cui, comunque, conseguono, contestualmente alla esecuzione della condanna nelle altre sue parti immediatamente eseguibili.
      2-ter. Il periodo stabilito per la esecuzione delle pene accessorie decorre dalla data dell'atto di trasmissione di cui al comma 1».

Art. 97.
(Modifica dell'articolo 679 del codice di procedura penale, in materia di misure di sicurezza).

      1. L'articolo 679 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «Art. 679. - (Misure di sicurezza). - 1. Quando una misura di sicurezza diversa dalla confisca è stata, fuori dai casi previsti dall'articolo 312, ordinata con sentenza o deve essere ordinata successivamente, il magistrato di sorveglianza, su richiesta del pubblico ministero o di ufficio, accerta se l'interessato è persona socialmente pericolosa e adotta i provvedimenti conseguenti, premessa, ove occorra, la dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato. Provvede, altresì, su richiesta del pubblico ministero, dell'interessato, del suo difensore o di ufficio su ogni questione relativa nonché sulla revoca delle dichiarazioni di abitualità, di professionalità e di tendenza a delinquere.

 

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      2. L'accertamento della pericolosità sociale attuale dell'interessato, nel caso in cui lo stesso abbia fruito regolarmente di semilibertà o di detenzione domiciliare o di detenzione domiciliare speciale o, in esecuzione della pena in carcere, abbia fruito, con esito regolare, di permessi premio o di lavoro all'esterno o di liberazione anticipata, deve tenere particolare conto dei dati indicativi predetti per il giudizio attuale della pericolosità sociale rispetto a quelli ricavati dalla attività criminosa pregressa. Le stesse indicazioni valgono anche quando l'accertamento della pericolosità sociale riguarda la applicazione o meno della misura di sicurezza della espulsione dello straniero dal territorio dello Stato.
      3. Nel caso in cui il giudice disponga che non venga applicata la misura di sicurezza della espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, non può essere emesso provvedimento di espulsione dello stesso interessato in sede amministrativa e se tale provvedimento è già stato disposto ne cessano gli effetti, anche se è già stato eseguito, salvo che il provvedimento di espulsione in sede amministrativa non sia emesso per specifiche ragioni di ordine pubblico sopravvenute, indicate esplicitamente nella motivazione del provvedimento stesso.
      4. La prevalenza della pronuncia giudiziaria sul provvedimento in sede amministrativa della espulsione dello straniero dal territorio dello Stato e gli effetti conseguenti sono operanti anche nel caso di declaratoria di estinzione della pena e conseguente revoca delle misure di sicurezza a seguito di esito positivo dell'affidamento in prova o della liberazione condizionale.
      5. Nel caso in cui il magistrato di sorveglianza disponga la esecuzione della misura di sicurezza, lo stesso, previa verifica della situazione attuale dell'interessato, può sospendere la applicazione di quelle norme che ostacolano lo svolgimento di attività lavorative o comunque utili all'inserimento sociale durante la esecuzione della misura, nonché delle norme che vietano il rilascio o dispongono la
 

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revoca di autorizzazioni amministrative, o stabiliscono limitazioni, giuridiche o di fatto, che impediscono l'inserimento lavorativo dell'interessato.
      6. Le prescrizioni stabilite per la esecuzione della libertà vigilata devono essere compatibili con lo svolgimento della attività lavorativa o di quella comunque utile all'inserimento sociale dell'interessato.
      7. Il magistrato di sorveglianza sovrintende alla esecuzione delle misure di sicurezza personali».

Art. 98.
(Esclusione dei requisiti morali per la guida di auto e di motoveicoli).

      1. L'articolo 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, è abrogato.

Art. 99.
(Interventi di agevolazione all'inserimento lavorativo e sociale).

      1. A richiesta dell'interessato, quando, a causa di una sentenza o di altro provvedimento del giudice penale, una norma di legge preclude allo stesso interessato l'iscrizione in un registro o in un albo professionale o la ammissione a un provvedimento autorizzativo, dai quali deriva la possibilità di svolgere una attività lavorativa o comunque utile al suo reinserimento sociale, il magistrato di sorveglianza esprime il proprio nulla osta a che l'ente o l'organo competente possa provvedere nel merito nonostante la preclusione prevista dalla legge.
      2. Il provvedimento del magistrato di sorveglianza di cui al comma 1 è adottato con decreto motivato previa verifica, a cura del centro di servizio sociale per adulti e, ove occorra, anche degli organi di polizia, della situazione e condotta attuali del richiedente e della utilità dell'intervento richiesto al fine del suo inserimento lavorativo e sociale.

 

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      3. Il provvedimento del magistrato di sorveglianza è comunicato all'ente o all'organo di cui al comma 2.
      4. Nel provvedere ai sensi del presente articolo, il magistrato di sorveglianza tiene principalmente conto dell'esito della esecuzione della pena, in particolare se il richiedente ha fruito di misure alternative o di altri benefìci penitenziari.

Art. 100.
(Ammissione a misure alternative di cittadini stranieri durante la esecuzione della pena o di misure di sicurezza).

      1. La esecuzione di una pena, in ogni sua parte, compresa la pena pecuniaria, anche se da porre ancora in esecuzione, o di una misura di sicurezza giustificano, anche nei casi non è stato emesso provvedimento autorizzativo ai sensi del comma 2 dell'articolo 1, la presenza del cittadino straniero nello Stato, nel quale, pertanto, può essere inserito regolarmente in attività lavorativa, e, se libero, può anche avere regolare domicilio o residenza. Il cittadino straniero può, inoltre, essere iscritto e frequentare corsi scolastici di ogni livello e fruire, se ne ricorrono le condizioni, dei benefìci previsti.
      2. All'esito delle esecuzioni di cui al comma 1, il magistrato di sorveglianza, ove sia stata disposta la espulsione dallo Stato del cittadino straniero, può decidere in merito alla stessa, ai sensi dei commi 2, 3 e 4 dell'articolo 679 del codice di procedura penale, come sostituito dalla presente legge, tenendo conto della sua partecipazione all'opera di rieducazione svolta.

Art. 101.
(Documentazione richiesta per la assunzione al lavoro nel settore privato).

      1. Nelle assunzioni al lavoro nel settore privato, anche attraverso concorsi o corsi formativi, non può essere richiesta certificazione o autocertificazione relativa ai precedenti penali del soggetto interessato.

 

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Capo III
MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA

Art. 102.
(Uffici di sorveglianza).

      1. Gli uffici di sorveglianza sono costituiti nelle sedi di cui alla tabella A allegata alla presente legge e hanno giurisdizione sulle circoscrizioni dei tribunali in essa indicati.
      2. Agli uffici di sorveglianza, per l'esercizio delle funzioni rispettivamente elencate negli articoli 103, 104 e 105, sono assegnati magistrati di cassazione, di appello e di tribunale, nonché personale del ruolo delle cancellerie e segreterie giudiziarie e personale esecutivo e subalterno. Nella assegnazione dei magistrati si tiene conto della specifica preparazione in materia penitenziaria, acquisita sia con la frequenza di corsi di formazione e studio relativi alla stessa materia, sia con l'attività giudiziaria svolta presso gli uffici e i tribunali di sorveglianza, sia con attività istituzionali o di fatto svolte presso istituti o centri di servizio sociale penitenziari.
      3. Con decreto del presidente della corte di appello può essere temporaneamente destinato ad esercitare le funzioni del magistrato di sorveglianza mancante o impedito un giudice avente la qualifica di magistrato di cassazione, di appello o di tribunale.
      4. I magistrati che esercitano funzioni di sorveglianza non devono essere adibiti ad altre funzioni giudiziarie.
      5. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, vengono definiti nelle sedi competenti, previa verifica dell'effettivo carico di lavoro, gli organici dei magistrati e del personale degli uffici di sorveglianza. Tali organici sono sottoposti a revisione periodica: entro tre anni, la prima volta, e ogni cinque anni successivamente.
      6. Gli organici degli uffici del magistrato di sorveglianza sono calcolati in relazione al numero delle persone detenute

 

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o internate e al numero delle persone sottoposte a misura alternativa nel territorio di competenza, nonché alle altre incombenze in materia di misure di sicurezza e nelle altre materie di competenza di tali uffici.
      7. Gli organici dei tribunali di sorveglianza sono calcolati in relazione al numero delle procedure iscritte annualmente presso gli stessi. In riferimento agli organici così calcolati e con adeguata organizzazione del lavoro, annualmente deve essere definito un numero di procedure corrispondente a quelle registrate.
      8. Negli uffici di sorveglianza del capoluogo del distretto di corte di appello o della sezione distaccata di corte di appello, vengono definiti organici del personale distinti per il tribunale di sorveglianza e per l'ufficio del magistrato di sorveglianza.

Art. 103.
(Funzioni e provvedimenti del magistrato di sorveglianza).

      1. Il magistrato di sorveglianza vigila sulla organizzazione degli istituti penitenziari e prospetta al Ministro della giustizia le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento penitenziario.
      2. Esercita, altresì, la vigilanza diretta ad assicurare che l'esecuzione della custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti.
      3. Sovrintende alla esecuzione delle misure di sicurezza personali.
      4. Provvede al riesame della pericolosità ai sensi del primo e del secondo comma dell'articolo 208 del codice penale, nonché alla applicazione, esecuzione, trasformazione o revoca, anche anticipata, delle misure di sicurezza. Provvede, altresì, in occasione dei provvedimenti anzidetti o separatamente, alla eventuale revoca della dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza, di cui agli articoli 102, 103, 104, 105 e 108 del codice penale.

 

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      5. Approva, con decreto, il programma di trattamento di cui al 5 comma dell'articolo 18, ovvero, se ravvisa in esso elementi che costituiscono violazione dei diritti del detenuto o dell'internato, lo restituisce, con osservazioni, al fine di una nuova formulazione; tale intervento non pregiudica il reclamo dell'interessato ai sensi dell'articolo 46. Approva, con decreto, il provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno. Impartisce, inoltre, nel corso del trattamento, disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei detenuti e degli internati.
      6. Provvede, con decreto motivato, sui permessi, sulle licenze ai detenuti in regime di semilibertà e agli internati, e sulle modifiche relative alla esecuzione dell'affidamento in prova al servizio sociale, della detenzione domiciliare e della semilibertà. Provvede, inoltre, con decreto nei casi di cui al comma 2 dell'articolo 678 del codice di procedura penale, come sostituito dalla presente legge.
      7. Provvede con ordinanza nei casi di cui all'articolo 678, comma 1, del codice di procedura penale, come sostituito dalla presente legge.
      8. Esprime motivato parere sulle proposte e sulle istanze di grazia concernenti i detenuti e i sottoposti a misure alternative alla detenzione.
      9. Svolge inoltre tutte le altre funzioni attribuitegli dalla legge.

Art. 104.
(Procedimento in materia di liberazione anticipata).

      1. Sulla istanza di concessione della liberazione anticipata, il magistrato di sorveglianza provvede, senza la presenza delle parti, con decreto, che è comunicato o notificato senza ritardo all'interessato, al suo difensore e al pubblico ministero.
      2. Avverso il decreto di cui al comma 1 il difensore, l'interessato e il pubblico ministero possono, entro dieci giorni dalla comunicazione o notificazione, proporre reclamo al tribunale di sorveglianza competente

 

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per territorio. Il reclamo sospende la esecuzione del decreto, salvo che lo stesso non comporti la scarcerazione dell'interessato.
      3. Il tribunale di sorveglianza decide ai sensi dell'articolo 678 del codice di procedura penale, come sostituito dalla presente legge. Si applicano le disposizioni dei commi 5 e 6 dell'articolo 40.
      4. Il tribunale di sorveglianza, ove nel corso dei procedimenti previsti dall'articolo 105, comma 1, sia stata presentata istanza per la concessione della liberazione anticipata, la trasmette al magistrato di sorveglianza, trattenendo le altre eventuali istanze.

Art. 105.
(Funzioni e provvedimenti del tribunale di sorveglianza).

      1. In ciascun distretto di corte di appello e in ciascuna circoscrizione territoriale di sezione distaccata di corte di appello è costituito il tribunale di sorveglianza, competente per l'affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare, la detenzione domiciliare speciale, la semilibertà, la liberazione condizionale, la revoca o la cessazione dei suddetti benefìci, il rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione delle pene detentive ai sensi degli articoli 146 e 147, primo comma, numeri 1), 2) e 3), del codice penale, nonché per ogni altro provvedimento ad esso attribuito dalla legge.
      2. Il tribunale di sorveglianza decide inoltre in sede di appello nei casi di cui all'articolo 680 del codice di procedura penale e in sede di reclamo nei casi previsti dalla legge. Il magistrato di sorveglianza che ha emesso il provvedimento impugnato non fa parte del collegio.
      3. Il tribunale di sorveglianza è composto da tutti i magistrati di sorveglianza in servizio nel distretto o nella circoscrizione territoriale della sezione distaccata di corte di appello e da esperti scelti fra le categorie indicate per gli esperti dell'osservazione e trattamento, nonché fra docenti di scienze criminalistiche.

 

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      4. Gli esperti di cui al comma 3 sono nominati dal Consiglio superiore della magistratura in numero adeguato alle necessità del servizio presso ogni tribunale di sorveglianza per periodi triennali rinnovabili.
      5. I provvedimenti del tribunale di sorveglianza sono adottati da un collegio composto dal presidente o, in sua assenza o impedimento, dal magistrato di sorveglianza che lo segue nell'ordine delle funzioni giudiziarie e, a parità di funzioni, nell'anzianità, da un magistrato di sorveglianza e da due fra gli esperti di cui ai commi 3 e 4.
      6. Uno dei magistrati ordinari deve essere il magistrato di sorveglianza sotto la cui giurisdizione è posto il detenuto o l'internato in ordine alla cui posizione si deve provvedere.
      7. La composizione dei collegi giudicanti è annualmente determinata ai sensi delle disposizioni dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni.
      8. Le decisioni del tribunale di sorveglianza sono emesse con ordinanza in camera di consiglio; in caso di parità di voti prevale il voto del presidente.
      9. Agli esperti componenti del tribunale di sorveglianza è riservato il trattamento economico assegnato agli esperti della osservazione e trattamento, operanti negli istituti penitenziari. Ogni modifica di tale trattamento è automaticamente estesa agli esperti componenti del tribunale di sorveglianza.

Art. 106.
(Presidente del tribunale di sorveglianza).

      1. Le funzioni di presidente del tribunale di sorveglianza sono conferite a un magistrato di cassazione o, per i tribunali istituiti nelle sezioni distaccate di corte di appello, a un magistrato di appello.
      2. Il presidente del tribunale di sorveglianza, fermo restando l'espletamento delle funzioni di magistrato di sorveglianza nell'ufficio di appartenenza, provvede:

          a) a dirigere e ad organizzare la attività del tribunale di sorveglianza;

 

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          b) a coordinare, in via organizzativa, in funzione del disbrigo degli affari di competenza del tribunale, l'attività degli uffici di sorveglianza compresi nella giurisdizione del tribunale medesimo;

          c) a disporre le applicazioni dei magistrati e del personale ausiliario nell'ambito dei vari uffici di sorveglianza nei casi di assenza, impedimento o di urgenti necessità di servizio;

          d) a richiedere al presidente della corte di appello la emanazione dei provvedimenti di cui al comma 3 dell'articolo 102;

          e) a proporre al Consiglio superiore della magistratura la nomina degli esperti componenti del tribunale e a compilare le tabelle per gli emolumenti loro spettanti;

          f) a svolgere tutte le altre attività a lui riservate dalla legge e dai regolamenti.

Art. 107.
(Nuove denominazioni).

      1. Le denominazioni «sezione di sorveglianza» e «giudice di sorveglianza» di cui alle leggi vigenti sono rispettivamente sostituite dalle seguenti: «tribunale di sorveglianza» e «magistrato di sorveglianza».
      2. Per il funzionamento del tribunale di sorveglianza nonché degli uffici di sorveglianza di cui all'articolo 102, si provvede con assegnazioni dirette di fondi e di attrezzature mediante prelievo delle somme necessarie dalle apposite unità previsionali di base del bilancio di previsione del Ministero della giustizia.

Art. 108.
(Organizzazione del lavoro giurisdizionale e non giurisdizionale degli uffici di sorveglianza).

      1. Quando perviene al tribunale o al magistrato di sorveglianza istanza o richiesta o si deve procedere d'ufficio, deve

 

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essere operata immediata iscrizione negli appositi registri della procedura relativa.
      2. Entro quindici giorni dalla registrazione della procedura deve essere fissata l'udienza per la definizione e devono essere calcolati i tempi necessari per gli accertamenti e le acquisizioni documentali, che devono essere disposti senza ritardo. I tempi della definizione delle procedure devono rispondere a criteri di speditezza e di tempestività.
      3. Quando vi siano particolari esigenze di urgenza possono essere disapplicati i termini dilatori previsti per la procedura di sorveglianza.
      4. Per le procedure non giurisdizionali si provvede ai sensi di quanto disposto nel comma 1.

Art. 109.
(Sezioni stralcio del tribunale di sorveglianza).

      1. Nei tribunali di sorveglianza presso i quali è pendente, in attesa di fissazione dell'udienza, un numero di procedure superiore alla metà di quelle definite nel corso dell'anno precedente, sono istituite apposite sezioni stralcio per la definizione delle procedure pendenti.
      2. Il presidente del tribunale di sorveglianza dirige ed organizza anche l'attività della sezione stralcio. Può altresì disporre, compatibilmente con la dimensione del lavoro sopravvenuto, che si proceda, nella composizione ordinaria dell'ufficio, alla decisione di parte delle procedure pendenti.
      3. Le assegnazioni delle procedure alle udienze dinanzi alle sezioni stralcio sono stabilite seguendo l'ordine cronologico di iscrizione, salvo non ricorrano situazioni di urgenza di singole procedure.
      4. Le sezioni stralcio sono composte da un magistrato di sorveglianza, per il quale deve essere osservata la disposizione del comma 6 dell'articolo 105, che assume la funzione di presidente, e da tre esperti componenti del tribunale di sorveglianza. Con le modalità previste dal presente

 

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comma possono essere nominati altri esperti, esclusivamente per le sezioni stralcio e limitatamente al periodo di durata delle stesse, in numero non superiore a un terzo del numero massimo previsto per il singolo tribunale di sorveglianza. Fra gli esperti da nominare per le sezioni stralcio sono preferiti i docenti in scienze criminalistiche.
      5. Gli esperti componenti della sezione stralcio possono provvedere anche alle relazioni in udienza e alle motivazioni dei provvedimenti adottati.
      6. Le sezioni stralcio sono istituite per un anno e possono essere prorogate per un altro anno.
      7. La organizzazione del lavoro delle sezioni stralcio è di competenza del presidente del tribunale di sorveglianza.

TITOLO III
ORGANIZZAZIONE PENITENZIARIA

Capo I
ISTITUTI PENITENZIARI

Art. 110.
(Istituti per adulti).

      1. Gli istituti per adulti dipendenti dalla amministrazione penitenziaria si distinguono in:

          a) istituti per la custodia cautelare;

          b) istituti per la esecuzione delle pene;

          c) istituti per la esecuzione delle misure di sicurezza.

      2. I centri di osservazione sono soppressi.

Art. 111.
(Istituti per la custodia cautelare).

      1. Gli istituti per la custodia cautelare sono le case circondariali.
      2. Le case circondariali assicurano la custodia degli imputati a disposizione di

 

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ogni autorità giudiziaria. Esse sono istituite in ogni sede principale di tribunale.
      3. Le case circondariali assicurano anche la custodia dei detenuti e degli internati in transito, nonché delle persone fermate o arrestate nei casi previsti dalla legge in relazione all'avvio di un procedimento penale.

Art. 112.
(Istituti per la esecuzione delle pene).

      1. Gli istituti per la esecuzione delle pene detentive della reclusione sono le case di reclusione.
      2. Sezioni di casa di reclusione possono essere istituite presso le case circondariali.
      3. Per esigenze particolari, e nei limiti e con le modalità previste dal regolamento, i condannati in esecuzione di pena detentiva possono essere assegnati alle case circondariali. In tali istituti è anche eseguita la pena dell'arresto.

Art. 113.
(Case territoriali di reinserimento sociale).

      1. Possono essere istituite case territoriali di reinserimento sociale in ambito comunale. Tali istituti devono essere di dimensioni limitate, di capienza da un minimo di dieci persone a un massimo di quaranta.
      2. Le case territoriali possono essere istituite anche nei comuni in cui sono presenti gli istituti di cui agli articoli 111 e 112.
      3. Le case territoriali possono accogliere:

          a) i detenuti e gli internati destinatari dei progetti collettivi relativi a gruppi di persone in condizioni particolari, di cui ai capi II e III del titolo IV;

          b) le persone ammesse alla semilibertà o al lavoro all'esterno, nonché alla semidetenzione;

 

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          c) i condannati in espiazione di pena detentiva non superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena.

      4. Le case territoriali sono istituite dal Ministro della giustizia, su proposta della regione, che la formula sentiti il comune o i comuni interessati. La proposta prevede la sede, le modalità di realizzazione, le risorse organizzative necessarie, il collegamento con i progetti collettivi di cui alla lettera a) del comma 3 e la concreta indicazione delle altre possibili utilizzazioni di cui al medesimo comma 3, lettere b) e c).
      5. L'assegnazione dei detenuti e degli internati alle case territoriali è di competenza del provveditore regionale della amministrazione penitenziaria, che ne ha anche la vigilanza.
      6. Direttore delle case territoriali è il sindaco del comune o un delegato dello stesso. Il personale che cura la gestione delle case territoriali è dipendente dal comune e assunto dallo stesso con concorso pubblico, secondo le regole stabilite dalla regione anche in ordine alle unità di personale necessarie e alla disciplina normativa e retributiva del rapporto di lavoro.
      7. Presso le case territoriali svolgono la loro attività operatori di rete che seguono la realizzazione dei programmi di reinserimento sociale; anche per tali soggetti la regione stabilisce le modalità, i tempi e il regime giuridico dei rapporti con la struttura. Ove occorra svolgono, per tempi limitati, le funzioni di loro competenza presso le case territoriali gli educatori assegnati agli istituti ordinari, esistenti nella provincia nella quale si trova la casa territoriale. Gli operatori dei centri di servizio sociale per adulti svolgono le funzioni di loro competenza nella esecuzione delle misure giuridiche utilizzate.
      8. La regione mantiene, attraverso un apposito servizio, la supervisione in ordine alle case territoriali comprese nel suo territorio.
      9. I programmi di trattamento nei casi di cui alle lettere a) e b) del comma 3 sono predisposti dalla direzione e dagli operatori

 

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della casa territoriale, che li trasmettono al magistrato di sorveglianza per l'approvazione. Quando la attuazione concreta, compresa la definizione dei fruitori, dei progetti di cui alla lettera a) del comma 3 o l'ammissione al lavoro all'esterno di cui alla lettera b) del medesimo comma 3 sono predisposti presso gli istituti di cui agli articoli 111 e 112 per la esecuzione presso la casa territoriale, i programmi di trattamento vengono predisposti dagli operatori della sede di provenienza. La esecuzione successiva è seguita dalla direzione e dagli operatori della casa territoriale.
      10. Nelle case territoriali si attua la sorveglianza attenuata. Anche per i detenuti di cui alla lettera c) del comma 3 è favorito un regime esecutivo orientato verso la ammissione a misure alternative alla detenzione, ivi compreso il lavoro all'esterno.
      11. Lo Stato assume, salvo quanto previsto dal comma 12, gli oneri economici necessari per la istituzione e la gestione delle case territoriali da parte dei comuni. Le risorse economiche necessarie per la istituzione delle case territoriali sono rimborsate dallo Stato all'esito della realizzazione delle stesse. Le risorse economiche necessarie per la gestione delle case territoriali sono anticipate dallo Stato in base ad un bilancio di previsione e liquidate definitivamente alla fine di ogni anno in base ad un bilancio consuntivo, accompagnato dalla documentazione relativa.
      12. Con apposite convenzioni, fra la regione e il Ministero della giustizia, gli oneri economici indicati al comma 11 possono essere distribuiti diversamente, anche per periodi di tempo limitati, fra i singoli comuni e la amministrazione penitenziaria.
      13. Per realizzare le case territoriali possono essere recuperate le sedi delle cessate case mandamentali, nonché gli immobili demaniali o di altri enti pubblici o privati, che, per le loro caratteristiche strutturali, sono adatti o adattabili alle finalità degli istituti stessi. Possono essere riconvertite in case territoriali anche le case mandamentali che sono state trasformate
 

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in istituti gestiti dalla amministrazione penitenziaria.

Art. 114.
(Istituti per la esecuzione delle misure di sicurezza).

      1. Gli istituti per la esecuzione delle misure di sicurezza si distinguono in:

          a) colonie agricole;

          b) case di lavoro;

          c) case di cura e custodia;

          d) ospedali psichiatrici giudiziari.

      2. Negli istituti di cui al presente articolo si eseguono le misure di sicurezza rispettivamente previste dai numeri 1), 2) e 3) del secondo comma dell'articolo 215 del codice penale.

      3. Possono essere istituite:

          a) sezioni per la esecuzione delle misure di sicurezza della colonia agricola presso una casa di lavoro e viceversa;

          b) sezioni per la esecuzione delle misure di sicurezza della casa di cura e custodia presso un ospedale psichiatrico giudiziario;

          c) sezioni per la esecuzione delle misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro presso le case di reclusione.

Art. 115.
(Costituzione, trasformazione e soppressione degli istituti. Autonomia gestionale e finanziaria del dipartimento della amministrazione penitenziaria).

      1. La costituzione, la trasformazione e la soppressione degli istituti penitenziari nonché delle sezioni sono disposti con decreto del Ministro della giustizia.
      2. Presso la direzione generale a ciò delegata del dipartimento della amministrazione

 

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penitenziaria è svolta, con autonomia dal sistema dei lavori pubblici del Ministero corrispondente, la parte progettuale ed economica concernente l'edilizia del sistema penitenziario con riferimento alle nuove costruzioni, nonché per la manutenzione e la ristrutturazione di quelle esistenti. L'attività relativa alla manutenzione e alla ristrutturazione può essere svolta, su delega della direzione generale predetta, dai corrispondenti uffici dei provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria.
      3. Le risorse economiche necessarie, in base ai programmi predisposti dagli uffici competenti di cui al comma 2, sono messe a disposizione del dipartimento della amministrazione penitenziaria prima dell'inizio dell'anno in cui i programmi devono essere attuati.
      4. Semestralmente devono essere certificate, da una organizzazione professionale specializzata esterna, la correttezza delle procedure amministrative e l'adeguatezza nel merito della utilizzazione delle risorse economiche.

Art. 116.
(Visite agli istituti).

      1. Agli istituti penitenziari accedono tutti coloro che vi svolgono le loro funzioni, compresi il capo del dipartimento della amministrazione penitenziaria e i provveditori regionali della stessa, nonché i funzionari da questi delegati appartenenti al dipartimento e ai provveditorati.
      2. Gli istituti penitenziari possono essere visitati senza autorizzazione da:

          a) il Presidente del Consiglio dei ministri e il presidente della Corte costituzionale;

          b) i Ministri, i giudici della Corte costituzionale, i sottosegretari di Stato, i membri del Parlamento e i componenti del Consiglio superiore della magistratura;

          c) il presidente della corte di appello, il procuratore generale della Repubblica

 

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presso la corte di appello, il presidente del tribunale e il procuratore della Repubblica presso il tribunale, i magistrati di sorveglianza, nell'ambito delle rispettive giurisdizioni; ogni altro magistrato per l'esercizio delle funzioni;

          d) i consiglieri regionali nell'ambito del territorio della regione;

          e) l'ordinario diocesano per l'esercizio del suo ministero;

          f) il prefetto e il questore della provincia;

          g) il presidente della provincia e il sindaco del comune in cui si trova l'istituto e le persone dagli stessi delegate, in loro sostituzione, nonché i garanti per la verifica del rispetto dei diritti dei detenuti e degli internati, nominati dalla regione o dalla provincia o dal comune; il presidente del quartiere e il responsabile dell'azienda sanitaria locale in cui si trova l'istituto;

          h) i membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, nonché i rappresentanti delle istituzioni dell'Unione europea che svolgono attività concernenti gli istituti penitenziari, nonché i rappresentanti del Consiglio d'Europa;

          i) l'ispettore centrale dei cappellani.

      3. L'autorizzazione per la visita agli istituti non è altresì richiesta per coloro che accompagnano i soggetti di cui al comma 2 per ragioni del loro ufficio.
      4. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono accedere agli istituti penitenziari, per ragioni del loro ufficio, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria.
      5. Possono accedere agli istituti penitenziari, con l'autorizzazione del direttore, i ministri della religione cattolica e i ministri ed esponenti delle altre religioni.

 

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Capo II
DIFFERENZIAZIONE DEGLI ISTITUTI

Art. 117.
(Criteri di differenziazione).

      1. I singoli istituti devono essere organizzati con caratteristiche differenziate in relazione alla posizione giuridica dei detenuti e degli internati e alle necessità di trattamento individuale o di gruppo degli stessi.
      2. La distribuzione delle persone negli istituti o nelle sezioni avviene:

          a) con riferimento al diverso livello di sorveglianza, che le persone richiedono, distinguendo fra una sorveglianza elevata, una sorveglianza media e una sorveglianza attenuata;

          b) con riferimento alle difficoltà di convivenza di singole persone con la restante popolazione detenuta a seguito della tipologia del reato commesso da tali persone o dei comportamenti tenuti dalle stesse nel corso dei processi sostenuti o della detenzione sofferta;

          c) con riferimento alle situazioni delle persone affette da infermità fisica in situazione di cronicità o da minorazione fisica.

      3. La collocazione separata non impedisce l'applicazione a tutti i detenuti o internati delle regole di trattamento previste dalla normativa vigente in materia penitenziaria. Tali regole non possono essere sospese neppure temporaneamente in nessun istituto, salvo non ricorra una specifica situazione prevista dalla legge.
      4. Negli istituti sono installati sistemi di sorveglianza a distanza, che comportano maggiore sicurezza ed economia di personale e minore usura dello stesso; in particolare, ciò deve essere attuato per la sorveglianza sui muri di cinta.
      5. Le modalità di svolgimento della sorveglianza non devono in alcun modo

 

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ridurre la tempestività degli interventi nelle situazioni critiche che si verificano nelle singole sezioni nei periodi di chiusura delle stesse, in particolare per i detenuti e gli internati chiusi nelle singole camere di pernottamento.

Art. 118.
(Circuiti differenziati - Circuito a sorveglianza elevata).

      1. Con il regolamento o con provvedimenti amministrativi sono definiti i singoli circuiti differenziati di sorveglianza.
      2. Il circuito a sorveglianza elevata riguarda i detenuti autori di reati relativi alla criminalità organizzata e, in particolare, dei reati di cui al primo periodo del comma 1 dell'articolo 79. Con provvedimento del capo del dipartimento della amministrazione penitenziaria sono assegnati eccezionalmente a tale circuito anche coloro che sono stati condannati per reati diversi da quelli indicati, ma che, per la particolare gravità e risonanza del delitto o dei delitti posti in essere, specialmente se commessi negli istituti penitenziari, si sono segnalati come soggetti di particolare pericolosità.
      3. Nel circuito a sorveglianza elevata, il rapporto numerico fra operatori di polizia penitenziaria e detenuti o internati deve essere adeguato. La sorveglianza di tali operatori durante le attività trattamentali è svolta a diretto contatto con i soggetti sorvegliati, anche se, per le attività trattamentali svolte in locali chiusi sotto la direzione di operatori specifici, la sorveglianza è attuata all'esterno dei locali stessi.
      4. Nelle sezioni o negli istituti a sorveglianza elevata sono svolte tutte le attività trattamentali previste dalla legge. Per manifestazioni singole, organizzate in sezioni dell'istituto a sorveglianza inferiore e per le quali non si prevede ripetizione, la partecipazione dei detenuti e degli internati del circuito a sorveglianza elevata è consentita, mantenendo una separazione dagli altri detenuti e internati. Analogamente

 

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si procede per quelle attività a svolgimento continuativo che non possono essere attuate più volte nello stesso istituto.
      5. L'inserimento nel circuito a sorveglianza elevata è temporaneo e viene riesaminato annualmente dalla direzione dell'istituto in cui il detenuto o l'internato si trova, salvo che non intervengano nuove circostanze prima di tale scadenza. La revoca dell'inserimento è sempre di competenza della stessa direzione, anche nel caso in cui l'assegnazione sia stata disposta dal capo del dipartimento della amministrazione penitenziaria; in tale caso, la revoca è trasmessa alla autorità predetta, che, entro trenta giorni, può fare pervenire le proprie osservazioni. La direzione decide sulla base dei progressi manifestati dall'interessato nel corso della detenzione, quali risultano dagli atti aggiornati dell'osservazione. Quando in un istituto si procede alla revoca dell'inserimento nel circuito a sorveglianza elevata, le direzioni degli istituti in cui la persona interessata viene successivamente trasferita non possono rinnovare l'inserimento se non per il riproporsi di nuovi fatti particolarmente significativi; in tali casi, è necessario un provvedimento che indichi i nuovi fatti, corrispondenti alle ragioni giustificatrici dell'inserimento nel circuito a sorveglianza elevata specificate al comma 2. Nel caso di cui al comma 2 in cui l'assegnazione compete al capo del dipartimento della amministrazione penitenziaria, lo stesso è competente anche per l'eventuale rinnovazione.

Art. 119.
(Circuiti differenziati - Circuito a sorveglianza media).

      1. Nel circuito a sorveglianza media sono compresi tutti i detenuti e gli internati non assegnati ai circuiti di cui agli articoli 118 e 120.
      2. Nel circuito di cui al presente articolo la sorveglianza è effettuata da gruppi di operatori della polizia penitenziaria per

 

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tutte o parte delle sezioni comprese nei singoli padiglioni detentivi. La sorveglianza operata deve essere organizzata in modo da distribuire gli interventi, concentrandoli nei luoghi, nei tempi e nelle situazioni in cui risultano necessari. Deve essere evitata la capillarità del controllo e lo stesso deve essere distribuito in relazione alle esigenze che si manifestano.
      3. Nello stesso modo di cui al comma 2 si procede alla sorveglianza per le attività di lavoro o dei corsi scolastici o di attività trattamentali diverse; un unico gruppo di operatori della polizia penitenziaria distribuisce gli interventi dove vengono richiesti o risultano oggettivamente necessari. Per le attività trattamentali che si svolgono con propri operatori, la sorveglianza non deve essere attuata con la presenza degli operatori della polizia penitenziaria nei locali di svolgimento delle attività.

Art. 120.
(Circuiti differenziati - Circuito a sorveglianza attenuata).

      1. Il circuito a sorveglianza attenuata è riservato a detenuti e internati di modesta pericolosità, giudicata in base alla devianza prevalentemente di carattere sociale che ha portato al reato, anche se in esecuzione di pena non breve, nonché ai detenuti e agli internati in esecuzione di pena breve. Tale circuito deve interessare almeno il 10 per cento dei detenuti o degli internati nell'ambito del territorio di ogni provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria.
      2. La sorveglianza attenuata può anche essere attuata in singole sezioni di un istituto.
      3. La sorveglianza attenuata è operata, salvo singole situazioni che richiedono una sorveglianza diversa:

          a) negli istituti o sezioni femminili;

          b) negli istituti o sezioni per detenuti tossicodipendenti;

 

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          c) nelle sezioni di istituti di esecuzione delle pene che accolgono persone che presentano problemi psichiatrici;

          d) nei seguenti istituti per la esecuzione delle misure di sicurezza: ospedali psichiatrici giudiziari e case di cura e custodia;

          e) negli altri istituti per la esecuzione delle misure di sicurezza;

          f) negli istituti o sezioni ai quali sono assegnati detenuti con pene in esecuzione non superiori a due anni, anche come residuo di maggior pena.

      4. La sorveglianza attenuata deve assicurare lo svolgimento di tutte le attività trattamentali. Lo svolgimento delle stesse deve consentire il costante impegno dei detenuti e degli internati e la verifica della loro corretta partecipazione da parte degli operatori, che seguono le varie attività. Viene altresì ricercata la definizione di percorsi che portano alla ammissione a trattamenti alternativi alla detenzione.
      5. La chiusura nella camera di pernottamento non può superare le otto ore giornaliere.
      6. La sorveglianza attenuata si attua con un gruppo di operatori di polizia penitenziaria disponibili per gli eventuali interventi di emergenza che vengano richiesti, nonché per la sorveglianza generale dell'istituto.

Art. 121.
(Sezioni protette).

      1. Sono predisposte apposite sezioni protette alle quali sono assegnati detenuti o internati che richiedono particolari cautele, anche per la tutela da aggressioni o sopraffazioni da parte dei compagni, sia con riferimento ai tipi di reati commessi, sia in relazione al comportamento tenuto durante i processi o nel corso della detenzione. Con riferimento alle diverse ragioni di protezione sono attivate sezioni diverse.

 

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      2. Una sola sezione può essere utilizzata per l'utenza di più istituti.
      3. La permanenza dei motivi cautelari viene verificata semestralmente. In sede di verifica e sperimentazione, i detenuti e gli internati possono essere assegnati, con il loro consenso, alle sezioni ordinarie degli istituti.
      4. Specialmente quando si tratti di persone che hanno commesso reati contro la libertà sessuale e su minori, gli interventi, attuati con la partecipazione degli esperti dell'osservazione e trattamento, sono rivolti alla individuazione delle motivazioni dei comportamenti illeciti e al possibile superamento delle stesse.
      5. Deve essere esclusa l'attuazione, all'interno delle sezioni protette, di situazioni di isolamento dei singoli detenuti o internati.

Art. 122.
(Sezioni per persone affette da infermità fisica in condizioni di cronicità o affette da minorazione fisica).

      1. Sono predisposte apposite sezioni per le persone affette da infermità fisica in condizioni di cronicità e per persone affette da minorazione fisica, che non possono trovare adeguata assistenza nelle sezioni ordinarie anche se assistite da un compagno di esecuzione quale badante o piantone.
      2. La esigenza di assegnazione nelle sezioni è accertata dal servizio sanitario e viene verificata semestralmente o con scadenze più brevi nei casi con maggiori possibilità di evoluzione.
      3. Le sezioni sono realizzate per ogni regione o gruppi di regioni, secondo le esigenze.
      4. Nelle sezioni, sia con la rimozione delle barriere architettoniche, sia con l'assistenza di un compagno, come indicato al comma 1, particolarmente nei casi in cui le persone interessate non sono autosufficienti, sono attuati gli interventi utili a ridurre le limitazioni del regime di vita. Le camere di pernottamento sono tenute

 

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aperte e devono essere disponibili locali comuni, facilmente accessibili.
      5. Le persone interessate hanno diritto a partecipare alle attività di osservazione e trattamento per loro possibili e, se non sono autosufficienti e le attività si svolgono fuori dalla sezione, ad essere accompagnate dove le stesse si svolgono.
      6. Le situazioni di cui al comma 5, con apposita relazione sanitaria sulla incompatibilità o sulle limitazioni di compatibilità con lo stato di detenzione, sono segnalate alle autorità giudiziarie competenti a conoscere del mantenimento o meno dello stato di detenzione.

Art. 123.
(Sezioni per i collaboratori di giustizia).

      1. Sono predisposte apposite sezioni per i collaboratori di giustizia. Le sezioni sono differenziate in relazione al tipo di reati per cui è stata prestata la collaborazione, nonché allo stesso tipo della collaborazione e al riconoscimento che è in corso o che è stato effettuato.
      2. Nella assegnazione alle sezioni si tiene conto della vicinanza ai familiari e generalmente della esigenza del distacco dal territorio di provenienza o di commissione dei reati.
      3. Nei confronti delle persone interessate sono svolte le attività di osservazione e trattamento, anche in relazione alla possibile ammissione ai benefìci penitenziari secondo la specifica normativa applicabile.
      4. Le sezioni devono essere realizzate in istituti diversi e non prossimi a quelli nei quali è attuato il regime di massima sicurezza di cui all'articolo 130.

Art. 124.
(Situazioni individuali di criticità).

      1. Nei confronti dei detenuti e degli internati che presentano relazioni critiche con le strutture penitenziarie, dovute a condizioni problematiche dal punto di vista

 

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psicofisico o psicologico o psichiatrico, è attuata una presa in carico da parte dei servizi dell'istituto con apporti multiprofessionali.
      2. Nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 è prevista una particolare attenzione nell'uso dello strumento disciplinare. È escluso il ricorso all'isolamento, in conformità alle limitazioni dello stesso secondo le previsioni della presente legge.
      3. In base alla presa in carico di cui al comma 1, viene redatto un programma di trattamento tendente a migliorare la relazione del soggetto con la struttura e con i suoi operatori, nonché alla individuazione della partecipazione ad attività trattamentali e alla eventuale assegnazione ad altro istituto, che possano essere utili al fine predetto. Tale intervento è particolarmente necessario nei casi in cui la persona interessata manifesti propositi autolesivi o autosoppressivi, ferma restando la esigenza di una adeguata sorveglianza. Per le persone straniere, ai normali operatori si aggiunge anche un mediatore culturale, specificamente adeguato alla criticità del caso.
      4. Se il caso trattato presenta aspetti di tipo psichiatrico, deve essere valutata la opportunità di un periodo di permanenza presso una sezione appositamente attivata con l'apporto del servizio psichiatrico.
      5. La situazione e gli interventi disposti ai sensi del presente articolo nonché la loro attuazione sono riesaminati ogni tre mesi.

Art. 125.
(Sperimentazioni).

      1. Negli istituti sono favorite iniziative di sperimentazione.
      2. Le iniziative di sperimentazione sono attuate previa definizione di un progetto approvato dai provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria, che possono esserne anche i promotori. Il progetto approvato è trasmesso per conoscenza al dipartimento della amministrazione penitenziaria che, entro trenta

 

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giorni, se lo ritiene opportuno, esprime le proprie osservazioni.
      3. I progetti di sperimentazione possono riguardare tutte le situazioni detentive.
      4. I progetti di sperimentazione si caratterizzano per il favore accordato alla responsabilizzazione dei detenuti e degli internati, per i quali devono essere valorizzati i possibili spazi di libertà, con riferimento alle specifiche forme di sorveglianza cui sono sottoposti.
      5. In tutti i casi la sperimentazione deve sviluppare le attività trattamentali e contenere tutti gli aspetti di desocializzazione che sono prodotti dalla dinamica di separazione propria degli istituti penitenziari.
      6. Le sperimentazioni possono essere attuate in qualsiasi istituto, particolarmente in quelli a sorveglianza attenuata. In tali istituti possono essere agevolati momenti di autogestione, mentre l'apertura verso l'esterno deve essere favorita, particolarmente nei confronti delle istituzioni sociali e della famiglia, con la quale si possono stabilire anche periodi di convivenza.
      7. Una particolare cura, nei casi in cui sono ammissibili, è riservata alla definizione di progetti di inserimento in misura alternativa e agli interventi relativi alla attuazione dei medesimi.

Capo III
REGIMI PENITENZIARI DIFFERENZIATI

Art. 126.
(Regime di sorveglianza particolare).

      1. Possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile in misura non superiore ogni volta a tre mesi, i condannati, gli internati e gli imputati:

          a) che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza ovvero turbano l'ordine negli istituti;

          b) che con violenza o minaccia impediscono le attività degli altri detenuti o internati;

 

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          c) che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri detenuti o internati nei loro confronti.

      2. Ai casi di cui all'articolo 124 non è applicabile il regime di sorveglianza particolare.
      3. Il regime di sorveglianza particolare è disposto con provvedimento motivato della amministrazione penitenziaria previo parere del consiglio di disciplina, integrato da due degli esperti del trattamento e osservazione.
      4. Nei confronti degli imputati il regime di sorveglianza particolare è disposto sentita l'autorità giudiziaria che procede.
      5. In caso di necessità ed urgenza l'amministrazione penitenziaria può disporre in via provvisoria la sorveglianza particolare prima dei pareri prescritti, che comunque devono essere acquisiti entro dieci giorni dalla data del provvedimento. Scaduto tale termine, la amministrazione, acquisiti i pareri prescritti, decide in via definitiva entro dieci giorni; decorso il termine senza che sia intervenuta la decisione, il provvedimento provvisorio decade.
      6. Possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare, fin dal momento del loro ingresso in istituto, i condannati, gli internati e gli imputati, sulla base di pregressi comportamenti penitenziari o di altri concreti comportamenti tenuti nello stato di libertà, indipendentemente dalla natura dell'imputazione. L'autorità giudiziaria segnala gli eventuali elementi a sua conoscenza all'amministrazione penitenziaria che decide sulla adozione dei provvedimenti di sua competenza.
      7. Il provvedimento che dispone il regime di cui al presente articolo è comunicato immediatamente al magistrato di sorveglianza ai fini dell'esercizio del suo potere di vigilanza.

Art. 127.
(Reclamo).

      1. Avverso il provvedimento che dispone o proroga il regime di sorveglianza

 

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particolare può essere proposto dall'interessato reclamo al tribunale di sorveglianza competente per territorio nel luogo di detenzione dell'interessato, nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento definitivo. Il reclamo non sospende l'esecuzione del provvedimento.
      2. Il procedimento si svolge ai sensi degli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale, come modificato dalla presente legge, e la decisione deve essere presa nel più breve tempo possibile.

Art. 128.
(Contenuti del regime di sorveglianza particolare).

      1. Il regime di sorveglianza particolare comporta le restrizioni all'esercizio dei diritti dei detenuti e degli internati e alle regole di trattamento previste dalla presente legge, strettamente necessarie per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza.
      2. L'amministrazione penitenziaria può attuare il visto di controllo sulla corrispondenza, previa autorizzazione motivata e conseguente delega dell'autorità giudiziaria competente.
      3. Le restrizioni di cui al comma 1 sono motivatamente stabilite nel provvedimento che dispone il regime di sorveglianza particolare. Il provvedimento di cui al comma 2 deve essere emanato dalla autorità giudiziaria competente ai sensi dell'articolo 25.
      4. In ogni caso le restrizioni non possono riguardare: l'igiene e le esigenze della salute; il vitto; il vestiario ed il corredo; il possesso, l'acquisto e la ricezione di generi e di oggetti permessi dal regolamento interno, nei limiti in cui ciò non comporta pericolo per la sicurezza; la lettura di libri e di periodici; le pratiche di culto; l'uso di apparecchi radio del tipo consentito; la permanenza all'aperto ai sensi di quanto disposto dall'articolo 12; i colloqui con i difensori, nonché quelli con il coniuge, il convivente, i figli, i genitori, i fratelli.

 

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      5. Se il regime di sorveglianza particolare non è attuabile nell'istituto ove il detenuto o l'internato si trova, la amministrazione penitenziaria può disporre, con provvedimento motivato, il trasferimento in altro istituto idoneo, con il minimo pregiudizio possibile per la difesa e per i familiari, dandone immediato avviso al magistrato di sorveglianza. Questi riferisce al Ministro della giustizia in ordine ad eventuali casi di infondatezza dei motivi posti a base del trasferimento.

Art. 129.
(Situazioni di emergenza).

      1. In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il Ministro della giustizia ha facoltà di sospendere nell'istituto interessato o in parte di esso l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto.

Art. 130.
(Regime di massima sicurezza).

      1. Quando ricorrono gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia ha la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti o degli internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell'articolo 79, in relazione ai quali vi sono elementi tali da fare ritenere la sussistenza di collegamenti con una associazione criminale, terroristica o eversiva, l'applicazione delle regole di trattamento e delle altre norme previste dalla presente legge che possono porsi in concreto contrasto con il mantenimento o la ripresa di quei collegamenti.
      2. I provvedimenti emessi ai sensi del comma 1 sono adottati con decreto motivato del Ministro della giustizia, sentito

 

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l'ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice che procede ed acquisita ogni altra necessaria informazione presso la direzione nazionale antimafia e gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nella azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell'ambito delle rispettive competenze. I provvedimenti medesimi, in prima applicazione, hanno durata non superiore ad un anno e sono prorogabili nelle stesse forme per periodi successivi, non superiori a sei mesi, purché vi sia conferma attuale che il mantenimento dei contatti con le associazioni criminali, terroristiche o eversive non è venuto meno.
      3. Se anche prima della scadenza disposta ai sensi del comma 2 risultano venute meno le condizioni che hanno determinato l'adozione o la proroga del provvedimento di cui al comma 1, il Ministro della giustizia procede, anche d'ufficio, alla revoca con decreto motivato. Il provvedimento che non accoglie l'istanza di riesame presentata dal detenuto, dall'internato o dal difensore è reclamabile ai sensi dell'articolo 131. In caso di mancata adozione del provvedimento a seguito di istanza del detenuto, dell'internato o del difensore, la stessa si intende non accolta decorsi trenta giorni dalla sua presentazione. In tale caso, se è presentato reclamo, deve essere accompagnato da certificazione dell'istituto della mancata comunicazione della decisione nel termine indicato; anche in tale caso si procede ai sensi dell'articolo 131.
      4. La sottoposizione al regime di massima sicurezza è limitata nel tempo e, in difetto di revoca, deve cessare:

          a) quando sono decorsi dieci anni dall'inizio della applicazione con riferimento a coloro che, con sentenza, sono stati ritenuti in posizione apicale nella organizzazione criminale, terrorista o eversiva;

          b) quando sono decorsi cinque anni negli altri casi non previsti dalla lettera a).

      5. Per coloro per i quali i termini indicati nel comma 4 sono già scaduti alla

 

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data di entrata in vigore della presente legge, la sottoposizione al regime di massima sicurezza deve cessare entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge 23 dicembre 2002, n. 279.
      6. L'applicazione del regime di cui al presente articolo non può essere ripristinata se non dopo due anni dalla cessazione e in base alla dimostrata attualità delle condizioni richieste dal comma 1 per l'applicazione della misura.
      7. I detenuti e gli internati nei cui confronti è revocata o cessa l'applicazione del regime di cui al presente articolo sono assegnati ad una sezione a sorveglianza elevata per almeno un anno.
      8. Non possono essere create e, se create, devono essere fatte cessare situazioni di separazione per singoli detenuti o internati, che realizzino, di fatto, condizioni di isolamento e un regime concretamente diverso da quello previsto dal presente articolo.

Art. 131.
(Reclamo).

      1. Il detenuto o l'internato nei confronti del quale è stata disposta o confermata l'applicazione del regime di massima sicurezza di cui all'articolo 130, ovvero il difensore, possono proporre reclamo avverso il provvedimento applicativo. Il reclamo è presentato nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento e su di esso è competente a decidere il tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sull'istituto al quale il detenuto o l'internato è assegnato in modo stabile; i trasferimenti temporanei in altre sedi non modificano la competenza predetta. Il reclamo non sospende la esecuzione del provvedimento reclamato.
      2. Il tribunale, entro dieci giorni dal ricevimento del reclamo di cui al comma 1, decide in camera di consiglio, nelle forme previste dagli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale, come modificato dalla presente legge, sulla sussistenza dei presupposti per l'adozione del provvedimento

 

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e sulla congruità del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze di cui al comma 1 dell'articolo 130. Il procuratore generale presso la corte di appello, il detenuto, l'internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni dalla sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del tribunale. Il ricorso non sospende l'esecuzione del provvedimento ed è trasmesso senza ritardo alla Corte di cassazione. Qualora il reclamo sia stato accolto con la revoca della misura, il Ministro della giustizia, ove intenda disporre un nuovo provvedimento ai sensi del comma 2 dell'articolo 130, osservato il termine di cui al comma 6 del medesimo articolo e tenuto conto della decisione del tribunale di sorveglianza, deve evidenziare elementi nuovi o non valutati in sede di reclamo. Con le medesime modalità il Ministro deve procedere, ove il reclamo sia stato accolto parzialmente, per la parte accolta.

Art. 132.
(Contenuti del regime di massima sicurezza).

      1. La sospensione della applicazione delle regole o degli istituti di cui all'articolo 130 non può comportare la attuazione di misure comunque incidenti sulla qualità e sulla quantità della pena o sul grado di libertà personale del detenuto, nonché di misure che, per il loro contenuto, non sono riconducibili alla concreta esigenza di tutelare l'ordine e la sicurezza o sono inidonee o incongrue rispetto a tali esigenze con una portata puramente afflittiva, nonché, infine, di misure che violano il divieto costituzionale di disporre trattamenti contrari al senso di umanità e l'obbligo di tenere conto della finalità rieducativa che deve connotare la pena.
      2. La sospensione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge può comportare:

          a) la determinazione dei colloqui in non meno di due ore e in non più di quattro ore al mese, distribuite in non

 

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meno di un colloquio e in non più di quattro colloqui, da svolgere a intervalli di tempo regolari e in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti. Dopo i primi due anni di applicazione, la determinazione dei colloqui è, comunque, di quattro ore al mese, articolata in almeno due colloqui e in non più di quattro. Sono vietati i colloqui con persone diverse dai familiari e dai conviventi, salvo casi eccezionali, determinati volta per volta dal direttore dell'istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall'autorità giudiziaria competente ai sensi del comma 1 dell'articolo 15. Può essere autorizzata, con provvedimento motivato del direttore dell'istituto, ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall'autorità giudiziaria competente ai sensi di quanto stabilito dal primo comma dell'articolo 15, e solo dopo i primi sei mesi di applicazione, una telefonata mensile con i familiari e i conviventi per i quali è autorizzato il colloquio, della durata massima di dieci minuti, sottoposta, comunque, a registrazione; la comunicazione avviene con il numero telefonico indicato dall'interessato, previa verifica dell'appartenenza dello stesso ai familiari o ai conviventi con i quali si corrisponde. Dopo i primi due anni di applicazione, l'autorizzazione deve essere rilasciata, salvo non vi siano motivi, esplicitamente specificati, perché sia negata. Le disposizioni della presente lettera non si applicano ai colloqui con i difensori;

          b) la limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall'esterno;

          c) l'esclusione dalle rappresentanze dei detenuti e degli internati;

          d) la limitazione della permanenza all'aperto, che non può svolgersi in gruppi superiori a dieci persone, a una durata non inferiore a due ore al giorno e non superiore a quattro ore al giorno. Dopo i primi due anni, devono essere concesse quattro ore al giorno. In ogni caso, la permanenza nella camera di pernottamento

 

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deve essere limitata e non deve incidere sulle attività trattamentali che devono essere svolte ai sensi della presente legge.

      3. Nei casi di applicazione del regime di massima sicurezza la direzione dell'istituto richiede all'autorità competente la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo in applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 25. In applicazione delle disposizioni dello stesso articolo, possono anche essere richieste limitazioni della corrispondenza epistolare e telegrafica e della ricezione della stampa. Analogamente si deve provvedere per disporre la sottoposizione dei colloqui a controllo auditivo o a registrazione o a entrambi.

Capo IV
PERSONALE OPERANTE NEGLI ISTITUTI

Art. 133.
(Organizzazione del personale penitenziario negli istituti).

      1. L'organizzazione del personale penitenziario negli istituti deve essere conforme a quanto disposto dall'articolo 1.
      2. Il personale operante negli istituti ha il suo vertice organizzativo nella direzione. Il personale è distribuito nelle seguenti aree professionali: area della direzione, area amministrativo-contabile, area educativa, area degli esperti dell'osservazione e trattamento, area sanitaria e area della sicurezza. Il direttore dell'area della direzione esercita la funzione di dirigente dell'intera organizzazione, indipendentemente da eventuali livelli di carriera superiori dei dirigenti delle altre aree.
      3. Le singole aree hanno propri responsabili, che collaborano con l'area della direzione, che coordina e indirizza l'attività complessiva dell'istituto.
      4. Nei rapporti fra appartenenti ad aree diverse nell'ambito di singoli servizi, il diverso livello di carriera del personale non modifica la titolarità della responsabilità

 

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del servizio; le disposizioni e le decisioni spettano al responsabile del servizio, anche se con un livello di carriera inferiore a quello di altri operatori coinvolti nello stesso servizio.
      5. Ogni istituto ha una propria autonomia in ordine alla definizione dei programmi, che individuano gli obiettivi da raggiungere, e che annualmente sono presentati al provveditorato regionale della amministrazione penitenziaria per l'approvazione. Il provveditorato, in base ai programmi proposti ed approvati e alle complessive risorse disponibili, provvede alla assegnazione delle risorse ai singoli istituti. In relazione a tale assegnazione, sono disposti, per ogni istituto, un bilancio preventivo e un bilancio consuntivo, utili alla valutazione della complessiva attività degli istituti e dei responsabili degli stessi.

Art. 134.
(Area della direzione).

      1. Il direttore esercita i poteri relativi alla organizzazione dell'istituto, al coordinamento e all'indirizzo delle attività delle singole aree e al controllo delle stesse. Predispone, con i responsabili delle singole aree, i programmi da attuare, in istituto e all'esterno, e ne segue lo svolgimento. Impartisce direttive agli operatori penitenziari, i quali svolgono i compiti loro affidati secondo le rispettive specificità professionali. Coordina le attività degli operatori volontari e ne agevola lo svolgimento.
      2. Il direttore, nell'ambito dell'area della direzione, distribuisce le responsabilità operative dei funzionari direttivi assegnati all'istituto fra i vari servizi e sezioni.
      3. Il direttore o i funzionari direttivi che lo coadiuvano ai sensi del comma 2 devono effettuare audizioni frequenti dei detenuti e degli internati, su richiesta degli stessi o di propria iniziativa.
      4. Nell'area della direzione è istituito un servizio di individuazione e verifica

 

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delle buone prassi realizzate nell'istituto. Gli esiti del lavoro del servizio sono trasmessi al provveditorato regionale della amministrazione penitenziaria.
      5. Il direttore dell'istituto ha qualifica dirigenziale, salvo che negli istituti minori, con capienza prevista di non più di cinquanta persone, e nei reparti autonomi di uno stesso istituto di cui al comma 2 dell'articolo 6.
      6. Negli istituti minori di cui al comma 5 non sono compresi quelli che hanno funzioni speciali o che curano l'attuazione di progetti sperimentali o quelli in cui si eseguono misure di sicurezza, anche se ciò avviene soltanto in sezioni degli istituti medesimi.
      7. È predisposto il ruolo organico dei funzionari direttivi, distribuito nei vari livelli fino a quelli dirigenziali. Gli organici devono essere calcolati con riferimento alla articolazione della presenza dei funzionari direttivi nei vari servizi dell'istituto.

Art. 135.
(Area amministrativo-contabile).

      1. L'area amministrativo-contabile segue tutte le attività dell'istituto che attengono ai rapporti di carattere giuridico ed economico con i dipendenti, alle relazioni con gli organi della amministrazione penitenziaria e con organismi esterni, pubblici e privati, nonché alla concreta gestione delle risorse economiche disponibili per l'istituto.
      2. All'area amministrativo-contabile è preposto un funzionario che appartiene al ruolo dei contabili e ha funzioni di dirigente dell'area.
      3. All'area amministrativo-contabile è assegnato personale con preparazione e in numero adeguati ai compiti da svolgere, tenuto conto della gestione ordinaria dell'istituto, e di tutte le attività che nell'istituto devono essere svolte con riferimento a quanto disposto dal comma 1 dell'articolo 133.

 

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      4. Il personale di cui al comma 3 fruisce di adeguato sviluppo di carriera fino alle funzioni dirigenziali.

Art. 136.
(Area educativa).

      1. Il personale dell'all'area educativa svolge, con riferimento a quanto disposto dal comma 1 dell'articolo 133, le attività necessarie per promuovere la individualizzazione del trattamento penitenziario, l'attuazione degli elementi del trattamento, la predisposizione dei percorsi riabilitativi dei detenuti e degli internati e il sostegno agli stessi. Nella predisposizione di tali percorsi viene stimolata la realizzazione di una rete sociale, che raccoglie, oltre agli operatori interni e a quelli dei centri di servizio sociale per adulti, gli operatori dei servizi socio-sanitari e assistenziali e degli altri servizi pubblici, nonché persone e organizzazioni private, che promuovono l'inserimento sociale e lavorativo.
      2. Il personale di cui al comma 1 partecipa inoltre alla predisposizione dei programmi di cui al comma 5 dell'articolo 133, collabora alla loro organizzazione e segue la fase attuativa degli stessi.
      3. Il responsabile operativo dell'area educativa appartiene al ruolo degli educatori e ha funzioni di dirigente dell'area. Di intesa con la direzione, organizza e coordina l'attività degli educatori e quella degli altri operatori impegnati nelle attività relative all'area stessa. Provvede inoltre a promuovere, coordinandosi con la direzione, le attività, anche esterne, che realizzano gli elementi del trattamento.
      4. L'organizzazione del gruppo di osservazione e trattamento, che raccoglie tutti gli operatori che svolgono le attività relative, è curata dal dirigente dell'area educativa. Lo stesso cura, in particolare, i rapporti con gli esperti dell'osservazione e trattamento e con gli operatori del centro di servizio sociale per adulti, che svolgono le attività di loro competenza. Gli incontri del gruppo sono coordinati dal direttore o da un funzionario direttivo delegato o da

 

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un altro funzionario civile di livello più elevato fra i componenti del gruppo. L'attività di segreteria è affidata, di regola, a un educatore assegnato dal dirigente dell'area. È redatta apposita cartella della osservazione e trattamento, relativa alle varie fasi di intervento.
      5. La struttura e le dimensioni del ruolo organico degli educatori devono tenere presente la esigenza che gli stessi siano operativamente presenti nei servizi e nelle sezioni degli istituti per acquisire una reale conoscenza dei detenuti e degli internati e dei loro problemi individuali e collettivi e svolgere conseguentemente le attività di loro competenza. La presenza degli educatori negli istituti deve corrispondere al periodo diurno di attività dell'istituto, coprendo pertanto l'intero orario dello stesso in turni articolati e distinti, nell'ambito dei quali gli educatori devono essere presenti in tutti i locali in cui si svolge la vita dei reclusi, incluse le stanze di pernottamento, senza scorta del personale di sorveglianza.
      6. Tenuto conto di quanto indicato nel comma 5, sono predisposti i ruoli organici degli educatori, calcolati per i vari istituti in ragione di un educatore operativo ogni venticinque detenuti e internati. Nel ruolo organico sono anche previsti i livelli superiori con lo sviluppo di carriera fino alle funzioni dirigenziali.
      7. In sede di prima attuazione della presente legge, l'organico degli educatori è coperto ai sensi dell'articolo 172, anche mediante le assunzioni urgenti previste dall'articolo 173.

Art. 137.
(Area degli esperti dell'osservazione e trattamento).

      1. Per l'attività di osservazione e trattamento è istituito un apposito servizio, cui sono assegnati, con rapporto organico con la amministrazione penitenziaria, professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica.

 

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      2. È predisposto il ruolo organico degli esperti dell'osservazione e trattamento, calcolato per i vari istituti in ragione di un esperto ogni cento, o frazione di cento, detenuti e internati. Nel ruolo organico sono anche previsti i vari livelli di carriera fino a quelli dirigenziali.
      3. Sono inseriti nell'area di cui al presente articolo i servizi già esistenti e comunque denominati, le cui attività sono svolte da esperti in psicologia o in altra materia con rapporto libero-professionale con la amministrazione penitenziaria.
      4. Il servizio degli esperti dell'osservazione e trattamento opera di intesa con gli operatori delle altre aree nel quadro del coordinamento svolto dalla direzione dell'istituto. In particolare, il servizio coadiuva gli operatori dell'area educativa nel gruppo di osservazione e trattamento, svolgendo le attività di propria competenza.
      5. In relazione a quanto previsto dal comma 6 dell'articolo 13, il servizio coopera con tutti i servizi dell'istituto che svolgono attività di assistenza e cura alla persona dei detenuti e degli internati, compresi quelli appartenenti al Servizio sanitario nazionale. Tale cooperazione è realizzata attraverso la presa in carico di ogni detenuto e internato all'arrivo nell'istituto e sviluppando tutti gli interventi successivi. È redatta una cartella apposita, che viene tenuta dal servizio degli esperti dell'osservazione e trattamento.
      6. Il responsabile operativo dell'area e dirigente della stessa, organizza e coordina l'attività degli esperti. La direzione dell'area è assegnata tenendo presente il livello di carriera dei singoli esperti e, nel caso in cui non è utilizzabile tale criterio, il livello della anzianità di servizio, calcolato anche il periodo di attività con rapporto libero-professionale con la amministrazione penitenziaria.

Art. 138.
(Area sanitaria).

      1. L'organizzazione dell'area sanitaria prevista dagli articoli 13 e seguenti ed

 

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operante nell'ambito del Servizio sanitario nazionale è attuata in conformità alla legislazione vigente in materia, di intesa con l'amministrazione penitenziaria.
      2. Nelle more della nuova organizzazione del servizio sanitario penitenziario restano fermi la organizzazione e gli operatori attuali. Il nuovo servizio deve essere dotato di risorse economiche adeguate e sufficienti per attuare le funzioni e i compiti indicati dagli articoli 13 e seguenti. La mancata copertura, per insufficienza delle risorse economiche necessarie, degli interventi di assistenza e cura e dei farmaci indispensabili per gli stessi interventi comporta la responsabilità diretta del soggetto tenuto all'organizzazione delle risorse.
      3. Per gli ospedali psichiatrici giudiziari e le case di cura e custodia si applicano le disposizioni del comma 10 dell'articolo 13. A tale fine, la amministrazione penitenziaria è impegnata a provvedere e mantenere la copertura integrale degli organici del personale sanitario.

Art. 139.
(Area della sicurezza).

      1. Il personale dell'area della sicurezza, che costituisce il Corpo di polizia penitenziaria, svolge, secondo le modalità previste dalla presente legge e in particolare dall'articolo 1, le attività necessarie per il mantenimento dell'ordine e della garanzia dei diritti negli istituti, in conformità alle direttive impartite dal direttore. Lo stesso personale disimpegna inoltre il servizio di traduzioni e scorte dei detenuti e degli internati.
      2. L'organizzazione del Corpo di polizia penitenziaria è definita dalla legislazione vigente in materia. Le assunzioni del personale devono essere operate con concorso pubblico, effettuato nelle sedi di ogni provveditorato regionale della amministrazione penitenziaria, in relazione alle necessità di personale di ciascun territorio, con vincolo di permanenza nello stesso per almeno cinque anni. Non sono consentite modalità

 

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di assunzione diverse dal concorso pubblico.
      3. L'organico del Corpo di polizia penitenziaria è determinato, per ogni istituto, in funzione delle dimensioni e delle funzioni, compreso il servizio di traduzioni e scorte. Tenendo anche conto della tipologia del singolo istituto, l'organico dei singoli istituti deve fare in particolare riferimento al rapporto tra il numero degli agenti e il numero dei reclusi, definito a seconda del livello di sorveglianza attuato. L'organico complessivo del Corpo è inoltre integrato in relazione ai servizi, sempre nell'ambito dell'area della sicurezza, da operare presso i provveditorati regionali e il dipartimento della amministrazione penitenziaria.
      4. Il servizio traduzioni e scorte è organizzato con il personale di polizia penitenziaria degli istituti. Il provveditore regionale può istituire un solo servizio traduzioni e scorte per più istituti. I servizi traduzioni e scorte operanti negli istituti sono inseriti nell'area della sicurezza dei singoli istituti e, ferma restando la loro dipendenza dal dirigente dell'area stessa, hanno un proprio responsabile che provvede all'organizzazione dello specifico servizio di competenza.
      5. L'organico di cui ai commi 3 e 4 è definito dal dipartimento della amministrazione penitenziaria, su proposta dei singoli provveditori regionali, sentite le direzioni degli istituti.
      6. Nel ruolo organico del Corpo di polizia penitenziaria sono previsti i vari livelli di carriera fino alle funzioni dirigenziali.
      7. Al reparto di polizia penitenziaria presente nei singoli istituti è preposto un responsabile operativo che ha funzioni di dirigente dell'area stessa.
      8. Il personale di polizia penitenziaria collabora alle attività svolte dal personale delle altre aree per la concreta attuazione del trattamento penitenziario previsto dalla presente legge. Collabora, inoltre, alla predisposizione dei programmi previsti dal comma 5 dell'articolo 133.
      9. Il personale di polizia penitenziaria non può essere distolto dalle proprie funzioni.
 

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Entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge si provvede affinché le attuali assegnazioni a funzioni diverse siano abolite, affidando le medesime funzioni a personale specifico e procedendo all'affidamento dei nuovi compiti al personale di polizia penitenziaria liberato dalle funzioni ai sensi del presente comma.

Art. 140.
(Organici degli istituti e copertura degli stessi).

      1. Negli istituti deve essere predisposto l'organico del personale che provvede al lavoro amministrativo nelle varie aree, prevedendo che parte dello stesso deve avere specializzazione informatica. Inoltre, deve essere predisposto un organico degli autisti, da utilizzare nei vari servizi di istituto. Nel servizio traduzioni e scorte le funzioni degli autisti devono essere svolte da personale del Corpo di polizia penitenziaria, appositamente qualificato.
      2. È determinato l'organico complessivo per ogni area in tutti gli istituti. Quando l'organico è definito in relazione al numero di detenuti o di internati dell'istituto, si tiene conto del valore medio della presenza giornaliera degli stessi negli ultimi due anni. Sono stabiliti organici anche per i provveditorati regionali e per il dipartimento e per le altre strutture della amministrazione penitenziaria.
      3. L'adeguatezza degli organici di cui ai commi 1 e 2 è riesaminata ogni cinque anni.
      4. Alla copertura dei nuovi posti negli organici di cui ai commi 1 e 2 si provvede nel termine massimo di tre anni.
      5. Alla copertura di cui al comma 4 si provvede con concorsi pubblici da organizzare ed espletare nell'ambito di ciascun provveditorato regionale della amministrazione penitenziaria, con vincolo quinquennale, per gli assunti, di restare nell'ambito territoriale in cui il concorso si è svolto. Alla scadenza del vincolo predetto, l'accoglimento di istanze di trasferimento deve

 

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essere adeguatamente motivata e non può determinare criticità nel servizio relativo; la situazione si considera critica quando, anche per effetto dell'accoglimento della istanza, l'organico resta scoperto nella misura del 5 per cento.
      6. Il sollecito espletamento dei concorsi di cui al comma 5 è controllato dal dipartimento della amministrazione penitenziaria, che provvede anche alle assunzioni.
      7. Il personale assegnato ai singoli istituti non può essere distaccato altrove se non vi è sostituzione e nei soli casi rigorosamente previsti dalla legge.
      8. Le direzioni degli istituti insieme ai responsabili delle singole aree organizzano periodicamente, almeno trimestralmente, conferenze di servizio con il personale delle varie aree per verificare il rispetto dei diritti del personale e per evitare il manifestarsi di livelli di assenze dal servizio superiori al tasso fisiologico delle stesse.

Capo V
PERSONALE DEI CENTRI DI SERVIZIO SOCIALE PER ADULTI

Art. 141.
(Funzioni e organizzazione dei centri di servizio sociale per adulti e dei loro operatori).

      1. Nelle sedi degli uffici di sorveglianza sono istituiti i centri di servizio sociale per adulti, che dipendono dalla amministrazione penitenziaria.
      2. La struttura dei centri, in ragione delle dimensioni del territorio di competenza e del volume di lavoro, può essere articolata in sedi decentrate.
      3. L'attività dei centri deve attuare i diritti costituzionali richiamati nell'articolo 57. A tale fine i centri, a mezzo del personale di servizio sociale, svolgono le attività richieste dagli uffici di sorveglianza, nonché dalle direzioni degli istituti penitenziari. Partecipano, con le loro competenze, alle attività di osservazione e trattamento. Seguono lo svolgimento delle

 

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misure alternative e degli altri interventi penitenziari e penali. Compiono, inoltre, tutte le altre attività e funzioni attribuite alla loro competenza.
      4. Il personale di servizio sociale dei centri svolge la propria attività anche negli istituti penitenziari, in rapporto diretto con i detenuti e gli internati, d'intesa con la direzione degli istituti e la direzione dell'area educativa.
      5. Nella organizzazione dei centri si distinguono le seguenti aree: area della direzione e della segreteria, area del servizio sociale e area amministrativo-contabile.
      6. Per ogni centro deve essere previsto anche l'organico del personale che provvede al lavoro amministrativo nelle varie aree in conformità alle disposizioni dell'articolo 140, comma 1.
      7. In ogni centro è altresì previsto il ruolo degli autisti per gli spostamenti del personale sul territorio, in conformità a quanto disposto dall'articolo 140, comma 1. In caso di necessità o di assenza o insufficienza degli autisti appartenenti a detto ruolo o degli automezzi necessari, gli assistenti sociali e gli operatori del servizio sociale possono essere autorizzati all'uso dei mezzi di trasporto dell'ufficio o propri.
      8. Ogni centro ha una propria autonomia in ordine alla attuazione di programmi di miglioramento organizzativo e qualitativo nonché di ricerche per l'orientamento e approfondimento della attività dei centri. Tali programmi sono presentati annualmente al provveditorato regionale della amministrazione penitenziaria che, in base ai programmi proposti e alle complessive risorse disponibili, assegna le stesse risorse ai singoli centri. In relazione a tale assegnazione sono redatti un bilancio preventivo e un bilancio consuntivo, utili alla valutazione della complessiva attività dei singoli centri e dei loro responsabili.

Art. 142.
(Area della direzione e della segreteria).

      1. Il direttore dell'area della direzione e della segreteria esercita i poteri attinenti

 

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alla organizzazione del centro, al coordinamento e indirizzo della attività delle singole aree e al controllo della stessa. Predispone, inoltre, con i responsabili assegnati alle singole aree, i programmi da attuare e ne segue lo svolgimento. Coordina anche le attività degli assistenti volontari e ne agevola lo svolgimento.
      2. All'area della direzione e della segreteria è preposto un funzionario della carriera direttiva del centro, con una qualificazione professionale nel servizio sociale tale da consentirgli di svolgere anche attività operativa di servizio sociale. Secondo le dimensioni ed esigenze dei singoli centri, può essere prevista la presenza di altri funzionari della carriera direttiva che collaborano con il direttore e possono sostituirlo. I funzionari dell'area direttiva fruiscono di uno sviluppo di carriera fino alle funzioni dirigenziali.
      3. Il direttore del centro ha qualifica dirigenziale.
      4. Nell'area di cui al presente articolo opera anche personale tecnico-informatico per le esigenze operative o di ricerca dei centri.

Art. 143.
(Area del servizio sociale).

      1. All'area del servizio sociale sono assegnati gli assistenti sociali e, per la collaborazione agli stessi, gli operatori di servizio sociale di cui al comma 5.
      2. Gli assistenti sociali svolgono le funzioni indicate nei commi 3 e 4 dell'articolo 141. Il responsabile dell'area, assegnato in relazione allo sviluppo di carriera, coordina lo svolgimento del servizio degli altri operatori, mantenendo una parziale attività operativa diretta di servizio sociale.
      3. Nella fase della esecuzione della pena all'interno degli istituti, gli assistenti sociali concorrono alla formazione e alla attività della rete sociale di cui al comma 1 dell'articolo 136. Nella fase della preparazione delle misure alternative a seguito di istanze avanzate dal Tribunale della libertà, nonché nella fase della concreta

 

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attuazione delle misure, al fine di realizzare una efficace integrazione sociale attraverso la esecuzione delle stesse, gli assistenti sociali promuovono la realizzazione della rete sociale, che raccoglie gli operatori dei servizi socio-sanitari e assistenziali, nonché degli altri servizi pubblici e degli organismi privati. Per sei mesi dopo la conclusione della misura alternativa, gli assistenti sociali dei centri, a richiesta degli interessati, svolgono ancora attività di sostegno nei loro confronti e di stimolo alla continuazione della attività della rete sociale per agevolare il reinserimento sociale degli interessati, come previsto dal comma 2 dell'articolo 158.
      4. Gli assistenti sociali devono essere forniti di idonea qualificazione professionale a livello universitario. Fruiscono di uno sviluppo di carriera fino alle funzioni dirigenziali.
      5. È istituito il ruolo degli operatori di servizio sociale con proprio organico, calcolato, in ogni centro, nella misura di un quarto dell'organico degli assistenti sociali previsto per lo stesso centro. Tali operatori collaborano con gli assistenti sociali. Svolgono attività di affiancamento e sostegno agli stessi e, su loro incarico, provvedono a singoli accertamenti e controlli, in particolare sul rispetto delle prescrizioni da parte delle persone in affidamento in prova al servizio sociale, compresa la eventuale prescrizione relativa alla permanenza dell'affidato al domicilio per parte della giornata e, in particolare, nelle ore notturne. Svolgono anche funzioni di vigilanza e di protezione dei centri. Gli operatori di servizio sociale devono essere forniti di qualificazione professionale a livello di scuola del secondo ciclo di istruzione.
      6. In casi limitati, quando non risulta sufficiente l'intervento dei competenti servizi pubblici territoriali e risulta necessaria una specifica attività di consulenza ai centri, in occasione della redazione di relazioni socio-familiari o al fine di seguire e sostenere i fruitori di misure alternative in condizioni di disagio psichico o sociale, i centri stessi possono ricorrere, con rapporto libero-convenzionale,
 

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a professionisti idonei a fornire la consulenza opportuna; gli stessi operano nell'ambito dell'area del servizio sociale. La collaborazione di tali professionisti, particolarmente nei centri di maggiori dimensioni, può anche essere assicurata da professionisti appartenenti all'area sanitaria o a quella degli esperti dell'osservazione e trattamento, distaccati dall'istituto penitenziario della stessa sede in cui si trova il centro o stabilmente assegnati presso il centro medesimo.

Art. 144.
(Area amministrativo-contabile).

      1. L'area amministrativo-contabile segue tutte le attività del centro che attengono ai rapporti di carattere giuridico ed economico con i dipendenti, alle relazioni con gli organi della amministrazione penitenziaria e con organismi esterni, pubblici e privati, nonché alla attività amministrativa e contabile della gestione delle risorse economiche.
      2. All'area di cui al presente articolo è preposto un funzionario operativo con adeguata preparazione professionale e personale amministrativo-contabile secondo le esigenze. Tale personale appartiene ai ruoli del personale dell'area corrispondente degli istituti.

Art. 145.
(Organici dei centri e copertura degli stessi).

      1. Sono predisposti i ruoli organici, complessivi e per ogni centro, di tutti gli operatori delle diverse aree e dei diversi ruoli. Nella predisposizione degli organici dei singoli centri si tiene conto del numero dei detenuti e degli internati presenti negli istituti compresi nel territorio di ciascun centro e del numero delle misure alternative in esecuzione nello stesso territorio; tale calcolo è operato sui valori medi degli ultimi due anni. Sono previsti gli organici del servizio sociale anche per i provveditorati regionali e il dipartimento e le altre strutture della amministrazione penitenziaria.
      2. L'adeguatezza degli organici è riesaminata ogni cinque anni; può essere rivalutata

 

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prima di tale termine se, per singole situazioni, ne risulti la necessità.
      3. Per ogni ruolo si tiene presente lo sviluppo di carriera fino, qualora previsto, al livello dirigenziale.
      4. Alla copertura dei nuovi organici di cui al comma 1 si provvede, nel termine massimo di cinque anni, con concorsi pubblici da organizzare ed espletare nell'ambito di ciascun provveditorato regionale della amministrazione penitenziaria, con vincolo quinquennale, per gli assunti, di restare nell'ambito territoriale in cui il concorso si è svolto. Alla scadenza del vincolo predetto, l'accoglimento di istanze di trasferimento deve essere adeguatamente motivata e non può determinare criticità nel servizio relativo del singolo centro; si considera critica la situazione di un centro quando l'organico relativo resta scoperto, anche per effetto dell'accoglimento della istanza, nella misura del 5 per cento.
      5. Le direzioni dei centri e i responsabili delle singole aree organizzano periodicamente, almeno trimestralmente, conferenze di servizio per verificare il rispetto dei diritti del personale e per evitare il manifestarsi di livelli di assenze dal servizio superiori al tasso fisiologico delle stesse.
      6. Il personale assegnato ai singoli centri non può essere distaccato altrove se non vi è sostituzione e nei soli casi rigorosamente previsti dalla legge.

Capo VI
LIVELLI SUPERIORI DELLA ORGANIZZAZIONE PENITENZIARIA E FORMAZIONE PROFESSIONALE

Art. 146.
(Provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria).

      1. Il provveditore regionale della amministrazione penitenziaria promuove la formazione di un sistema operativo coordinato fra gli istituti penitenziari e i centri

 

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di servizio sociale per adulti presenti nel territorio di propria competenza. A tale fine opera affinché siano realizzate nel territorio tutte le strutture per le quali è prevista una presenza regionale. Il provveditore decide sui trasferimenti dei detenuti e degli internati nell'ambito del territorio di propria competenza.
      2. Ogni anno, entro il 30 settembre, gli istituti penitenziari e i centri di servizio sociale per adulti trasmettono al provveditorato il programma e il bilancio preventivo relativo all'anno solare successivo. Il provveditore, entro il 31 ottobre, con la propria approvazione e le eventuali modifiche, nonché con le proprie osservazioni e con il programma e il bilancio preventivo specifici dello stesso provveditorato, trasmette i programmi e i bilanci e la documentazione relativa al dipartimento della amministrazione penitenziaria. Questo, entro il 31 dicembre, previe le sue valutazioni e disponibilità, mette a disposizione dei singoli provveditorati le risorse richieste, compatibilmente con quelle esistenti. Per ogni provveditorato è effettuata la ripartizione delle risorse pervenute entro il 31 gennaio. Gli istituti e i centri, in relazione alle risorse pervenute, ridefiniscono programmi e bilanci preventivi, con il solo limite di mantenersi entro le risorse stesse.
      3. Presso ogni provveditorato sono istituite aree corrispondenti a quelle esistenti presso gli istituti penitenziari e i centri di servizio sociale per adulti. Deve essere anche organizzata un'area ispettiva per la attività di sostegno e di vigilanza sugli istituti e sui centri, anche sotto il profilo della efficienza e della corrispondenza della loro attività agli indirizzi penitenziari generali. Inoltre deve essere organizzata un'area tecnica, che svolge una attività di promozione, sostegno e vigilanza sulle attività degli istituti e dei centri sotto il profilo economico, sanitario ed edilizio; per quanto riguarda il profilo edilizio, si applica quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 115. Presso ogni provveditorato sono istituiti anche gli uffici di cui al comma 6 dell'articolo 28.
 

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      4. Il provveditore regionale, che proviene dai ruoli della amministrazione penitenziaria, ha la qualifica di direttore generale. Il provveditore può essere affiancato da un provveditore vicario.
      5. Il provveditore regionale e il suo vicario svolgono tutte le funzioni e attività loro attribuite dalle leggi e dai regolamenti, comprese le funzioni relative alle modifiche delle assegnazioni del personale nell'ambito degli istituti e dei centri di servizio sociale per adulti del territorio regionale, nonché le funzioni relative al passaggio di personale degli istituti e dei centri al provveditorato e viceversa.

Art. 147.
(Dipartimento della amministrazione penitenziaria).

      1. Il capo del dipartimento della amministrazione penitenziaria è scelto fra coloro che hanno un riconosciuto prestigio in materia penitenziaria, acquisito sia attraverso l'attività svolta nella amministrazione penitenziaria, sia attraverso l'attività giudiziaria concernente il settore penitenziario, sia attraverso l'insegnamento universitario nello stesso settore, sia attraverso la partecipazione ad associazioni, enti od organismi che hanno avuto costante attenzione alla realtà penitenziaria.
      2. Il capo del dipartimento, annualmente, indica le linee di intervento che saranno seguite dalla amministrazione penitenziaria, che presenta ai provveditori regionali, esaminando le richieste e le osservazioni degli stessi.
      3. Le competenze del dipartimento della amministrazione penitenziaria sono distribuite fra le direzioni generali in cui si articola secondo le disposizioni di legge e regolamentari vigenti. Devono essere, comunque, configurate come direzioni generali le articolazioni relative al personale penitenziario, all'area interna dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari, all'area esterna dei centri di servizio sociale per adulti, all'ufficio che cura la

 

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redazione del bilancio e la gestione dei beni e dei servizi, e all'ufficio che svolge studi e ricerche. Presso l'ufficio per la redazione del bilancio e la gestione dei beni e dei servizi sono organizzati i seguenti specifici uffici:

          a) per lo svolgimento della attività di cui all'articolo 28, commi 5 e 6, un'ufficio che dispone di corrispondenti articolazioni presso i provveditorati regionali;

          b) per la definizione, ove ricorra convenienza economica, di rapporti unificati per la ricezione delle forniture di servizi essenziali nell'ambito dei prodotti energetici e delle telecomunicazioni, e in altri eventuali settori, un ufficio che dispone di corrispondenti articolazioni presso i provveditorati regionali.

      4. Presso l'ufficio per la redazione del bilancio e la gestione dei beni e dei servizi è organizzato, con propria autonomia dirigenziale e operativa, l'ufficio che si occupa dell'edilizia penitenziaria, previsto dal comma 2 dell'articolo 115.
      5. Il dipartimento esercita le competenze ad esso affidate dalla legge e dai regolamenti. Può sostituire i provveditorati solo nel caso di mancato esercizio delle competenze dei medesimi.
      6. Il dipartimento provvede annualmente a redigere, entro il 30 luglio, il bilancio annuale della amministrazione penitenziaria, verificando le risorse disponibili e prevedendone l'impiego.
      7. Il capo del dipartimento, in particolare, assume la presidenza della Cassa delle ammende di cui all'articolo 148, con facoltà di delega per lo svolgimento in tutto o parte delle funzioni della medesima.

Art. 148.
(Cassa delle ammende).

      1. Le risorse economiche della Cassa delle ammende del dipartimento della amministrazione penitenziaria devono essere impiegate:

          a) per il finanziamento di progetti per l'assistenza economica alle famiglie dei detenuti e per l'assistenza post-penitenziaria;

 

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          b) per il finanziamento di programmi volti al reinserimento sociale dei detenuti e degli internati durante la esecuzione della pena e delle misure di sicurezza, anche in regimi alternativi alla detenzione;

          c) per il finanziamento di progetti per il soccorso e l'assistenza alle vittime del delitto.

      2. I progetti e i programmi di cui al comma 1 trasmessi dai provveditorati sono predisposti dagli stessi o ricevuti dagli istituti o centri di servizio sociale per adulti o da enti od organismi pubblici o privati. Ai progetti e ai programmi è unita una relazione di valutazione dell'assessorato competente per la sicurezza sociale della provincia nel cui territorio si trovano gli uffici penitenziari nonché gli enti od organismi proponenti.
      3. Le risorse economiche, con le finalità di cui al comma 1, possono essere impiegate anche per il finanziamento congiunto con fondi europei.
      4. Annualmente la Cassa delle ammende distribuisce le risorse economiche fra i provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria per il finanziamento di progetti e di programmi rispondenti alle finalità indicate nel comma 1.
      5. La distribuzione prevista dal comma 4 avviene in base alla spesa prevista per i progetti e i programmi trasmessi dai provveditorati e non può superare l'80 per cento delle risorse stesse. L'importo residuo di tali risorse è gestito dalla Cassa delle ammende per il finanziamento di progetti e di programmi disposti direttamente dal dipartimento della amministrazione penitenziaria.
      6. Le risorse economiche ai singoli provveditorati sono corrisposte, considerata anche la valutazione dell'assessorato provinciale competente per la sicurezza sociale di cui al comma 2, in relazione alla entità dei progetti e dei programmi presentati e previa una positiva valutazione dei medesimi. Quando il complesso delle richieste di finanziamento supera le risorse disponibili, sono preferiti i progetti e i programmi che presentano la maggiore

 

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corrispondenza alle finalità di cui al comma 1 e una particolare rilevanza delle situazioni su cui intervengono.
      7. La Cassa delle ammende deve promuovere il completo impiego delle risorse economiche di cui dispone.

Art. 149.
(Formazione del personale).

      1. La formazione del personale appartenente a tutte le aree è operata dai provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria nei territori di loro competenza.
      2. Il personale di cui al comma 1 frequenta corsi di formazione organizzati per ogni ruolo, dopo la assunzione nella amministrazione penitenziaria e periodicamente in seguito. I corsi di formazione iniziali devono avere durata di almeno sei mesi.
      3. Durante i corsi di formazione, ai periodi di docenza sono alternati periodi di sperimentazione pratica con l'accompagnamento formativo di personale in servizio.
      4. Le docenze nei corsi di formazione sono tenute da esperti nelle materie penitenziarie o in altre materie utili all'inquadramento delle stesse e da operatori appartenenti ai vari ruoli della amministrazione penitenziaria, attualmente in servizio.
      5. I contenuti dei corsi di formazione devono fare costante riferimento alle norme della Costituzione, delle leggi penali, della presente legge e del regolamento, in particolare alle norme in materia di esecuzione della pena e della custodia cautelare, delle misure di sicurezza e delle misure alternative alla detenzione.
      6. Durante lo svolgimento dei corsi di formazione possono essere previsti momenti di aggregazione degli allievi in sede nazionale o interregionale.
      7. Per ogni regione o per gruppi di regioni possono essere previste strutture residenziali per lo svolgimento dei corsi di

 

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formazione di più lunga durata. Il provveditorato regionale territorialmente competente cura la opportuna rotazione del personale assegnato a tali strutture, che deve essere scelto tra quello in servizio presso gli istituti e i centri di servizio sociale per adulti.

Capo VII
ASSISTENTI VOLONTARI E COOPERAZIONE SOCIALE

Art. 150.
(Nomina degli assistenti volontari).

      1. L'amministrazione penitenziaria può, con parere del magistrato di sorveglianza, autorizzare persone idonee, singole o appartenenti ad associazioni o gruppi organizzati, a frequentare gli istituti penitenziari allo scopo di partecipare al sostegno dei detenuti e degli internati e al loro futuro reinserimento nella vita sociale. Analogamente tale autorizzazione può essere concessa per collaborare con i centri di servizio sociale per adulti nella esecuzione delle misure alternative alla detenzione e per l'assistenza ai dimessi dagli istituti e alle loro famiglie.
      2. Gli assistenti volontari sono nominati dal provveditore regionale della amministrazione penitenziaria o, nella inerzia di questi, dal dipartimento della stessa amministrazione.
      3. L'opera degli assistenti volontari non è retribuita.

Art. 151.
(Attività degli assistenti volontari).

      1. Negli istituti gli assistenti volontari svolgono la loro attività in rapporto diretto con i detenuti e gli internati. A tale fine effettuano colloqui con gli stessi e possono cooperare nelle attività di risocializzazione in coordinazione con il personale addetto al trattamento. Essi sono considerati operatori del trattamento e fanno parte dell'area

 

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educativa, anche se la loro collaborazione può essere prestata in aree diverse.
      2. Gli interventi degli assistiti volontari, di intesa con gli operatori penitenziari, riguardano anche le famiglie degli interessati per rilevarne i bisogni e indirizzarne e sostenerne il ricorso ai servizi pubblici e privati esistenti e, in genere, alla rete sociale, alla quale partecipano.
      3. Gli assistenti volontari, inoltre, possono svolgere compiti di accompagnamento dei reclusi all'esterno, in relazione a concessioni della magistratura di sorveglianza, senza assunzione di responsabilità sulla custodia dei fruitori.
      4. Gli assistenti volontari sono invitati a partecipare alle riunioni del gruppo di osservazione e trattamento che riguardano i detenuti e gli internati per i quali hanno svolto le attività di cui ai commi 1, 2 e 3, e, comunque, fanno pervenire il loro contributo alla discussione del caso attraverso l'educatore di riferimento.
      5. Nella esecuzione delle misure alternative alla detenzione, gli assistenti volontari collaborano con gli operatori di servizio sociale di intesa e secondo le indicazioni degli stessi.

Art. 152.
(Cooperazione sociale).

      1. Gli enti o le organizzazioni che svolgono attività di cooperazione sociale possono concorrere, con apposite convenzioni con le direzioni degli istituti, nello svolgimento dei servizi interni nei settori della fornitura del vitto, della pulizia, della manutenzione ordinaria dei fabbricati e, in genere, di tutta la rete dei servizi.
      2. In base ad apposite convenzioni, gli enti e le organizzazioni di cui al comma 1 possono anche organizzare negli istituti lavorazioni o assumere la gestione delle lavorazioni esistenti, senza oneri per la utilizzazione dei locali e delle attrezzature.
      3. Gli stessi enti ed organizzazioni di cui al comma 1, sempre attraverso apposite convenzioni, possono avere funzioni

 

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operative nella attuazione dei progetti per il reinserimento sociale di cui al titolo IV.
      4. Nelle convenzioni stipulate ai sensi del presente articolo, le cooperative sociali sono considerate soggetto preferito e i rapporti con le stesse possono essere definiti senza il ricorso a procedure pubbliche di gara.
      5. Le associazioni di cooperative sociali promuovono la istituzione di un organismo di garanzia, formato da professionisti nelle varie materie, che svolge funzioni di consulenza e verifica in merito alla conformità alle regole che interessano lo svolgimento delle attività delle associate, con particolare riferimento alla copertura finanziaria, all'ordine contabile e amministrativo e al rispetto della normativa vigente sul lavoro e sugli oneri assicurativi, previdenziali e sociali.

TITOLO IV
REINSERIMENTO SOCIALE

Capo I
INTERVENTI INDIVIDUALIZZATI PER IL REINSERIMENTO SOCIALE.

Art. 153.
(Progettazione del percorso di reinserimento sociale).

      1. L'attuazione del programma di trattamento deve svilupparsi, in ragione dei tempi di esecuzione della pena e della risposta dell'interessato, nella progettazione del percorso trattamentale interno e di quello di reinserimento sociale all'esterno; tali progetti sono suscettibili di modificazioni ed adattamenti nel corso della loro progressiva realizzazione.
      2. Nella definizione del percorso penitenziario sono previsti e utilizzati tutti gli elementi del trattamento indicati nell'articolo 20. Sono altresì previste la ricognizione della situazione oggettiva entro la quale dovrebbe svolgersi tale percorso e la individuazione delle risorse concrete che lo rendono possibile.

 

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      3. Il programma di trattamento, aggiornato con la definizione del percorso di reinserimento sociale, e quelli con le modifiche e gli adattamenti successivi, sono comunicati al magistrato di sorveglianza per gli interventi di cui al comma 5 dell'articolo 103 e per gli eventuali successivi provvedimenti di cui al comma 4 del presente articolo.
      4. La concreta attuazione del percorso di reinserimento sociale fa anche riferimento alle possibilità giuridiche del condannato di essere ammesso a benefìci penitenziari, per la cui previsione, con riferimento alla entità della pena, si segue, di regola, un criterio di progressione. La progressione non è seguita quando esistono le condizioni per l'immediato passaggio ad una misura alternativa alla detenzione.

Art. 154.
(Risorse organizzative).

      1. Gli operatori penitenziari che hanno predisposto il programma di trattamento contribuiscono alla definizione del percorso di reinserimento sociale. Essi sono coadiuvati dagli altri operatori penitenziari, operanti nella stessa sede o in una sede diversa, e in particolare dagli operatori dei centri di servizio sociale per adulti dei luoghi dove il percorso è predisposto e dove si dovrebbe attuare.
      2. Nella predisposizione del percorso di reinserimento sociale sono coinvolti i servizi pubblici socio-assistenziali e sanitari del territorio di appartenenza del condannato e dei suoi familiari, competenti per la assistenza alle famiglie dei detenuti e degli internati, nonché per la assistenza post-penitenziaria agli stessi.
      3. Nella predisposizione del percorso di reinserimento sociale sono altresì ricercate ed attivate le risorse del volontariato all'interno e all'esterno dell'istituto.
      4. È curata la complessiva promozione della rete sociale che collabora alla predisposizione e all'attuazione del percorso di reinserimento sociale.

 

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Art. 155.
(Assistenza alle famiglie e utilizzazione delle risorse a favore delle stesse).

      1. L'intervento trattamentale, finalizzato alla definizione e all'attuazione del percorso di reinserimento sociale, è integrato, previa adeguata ricognizione della situazione, dall'azione di assistenza e sostegno nei confronti delle famiglie dei detenuti e degli internati.
      2. L'azione di cui al comma 1 è rivolta anche a migliorare le relazioni delle persone detenute o internate con i familiari e a rimuovere le difficoltà che possono ostacolare il reinserimento sociale delle medesime persone. In quanto possibile, i familiari devono essere coinvolti come risorsa che favorisce l'adeguato sviluppo di tale processo.
      3. Per la attuazione di quanto previsto dai commi 1 e 2, è utilizzata la collaborazione degli enti e organi pubblici e delle organizzazioni private competenti.
      4. I centri di servizio sociale per adulti e gli altri operatori della rete sociale rilevano anche le criticità dell'ambiente sociale in cui vivono il condannato e la propria famiglia e ne investono gli enti e i servizi generali che hanno le competenze di intervento sociale in quel contesto.

Art. 156.
(Esecuzione delle misure alternative).

      1. Il processo di reinserimento sociale prosegue e si sviluppa durante la esecuzione delle misure alternative, nella costanza del sostegno e del controllo degli operatori penitenziari competenti e con il concorso delle positive risorse della famiglia, nonché di quelle dei servizi territoriali, pubblici e privati, e del volontariato.
      2. Le varie risorse di sostegno previste dal comma 1 devono integrarsi in una rete sociale di aiuto, i cui componenti sono coinvolti dagli operatori penitenziari nel trovare fasi comuni di conoscenza, di consultazione e di specifiche e concrete

 

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iniziative sul caso esaminato. Per la continuità e l'efficacia del lavoro della rete sociale deve essere promossa la redazione di protocolli di intesa fra i soggetti partecipanti.
      3. Nei casi in cui i servizi pubblici o privati o la cooperazione sociale abbiano un ruolo specifico nello svolgimento della misura alternativa, le valutazioni di questi circa lo sviluppo del processo riabilitativo devono essere tenute in particolare conto dagli organi penitenziari e dalla magistratura di sorveglianza; quando si tratta di valutazioni tecniche, come quelle dei servizi sulle dipendenze da sostanze stupefacenti o alcooliche, o dei servizi psichiatrici o, in genere, sanitari, le stesse non possono, in linea di massima, essere disattese.
      4. Nello svolgimento delle misure alternative l'evoluzione progressiva del percorso di reinserimento sociale deve essere prioritaria e va sostenuta anche in presenza di difficoltà e di situazioni di disagio dell'interessato. Nello svolgersi della misura si deve verificare l'adeguatezza della stessa e dei suoi aspetti operativi per migliorarne, attraverso adeguati interventi, la efficacia rispetto alle esigenze e alle capacità dell'interessato.
      5. Un volta conclusa la misura alternativa per effetto della conclusione della esecuzione della pena, i servizi pubblici e gli altri organismi sociali previsti dal presente articolo mantengono la loro disponibilità nei confronti dell'interessato per favorirne, completarne o confermarne il reinserimento sociale. In particolare, devono essere favoriti il completamento di programmi di inserimento attivati dai servizi e gli inserimenti lavorativi attuati presso organismi della cooperazione sociale, finché la situazione di reintegrazione sociale non risulti completata.

Art. 157.
(Percorsi penitenziari delle persone ammesse alle misure alternative).

      1. Sono promossi, dagli stessi centri di servizio sociale per adulti o da organismi

 

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appartenenti alla rete sociale o dal volontariato, sportelli informativi e operativi per coloro che possono presentare istanza di misura alternativa ai sensi dei commi 5 e seguenti dell'articolo 665 del codice procedura penale.
      2. Gli operatori degli sportelli di cui al comma 1 danno le informazioni necessarie per la presentazione delle istanze e per la individuazione e anche, se possibile, per la concreta disponibilità delle risorse che possono contribuire all'accoglimento della istanza. Vengono altresì date informazioni agli interessati per l'accesso alle agenzie per l'impiego, pubbliche e private, nei casi in cui il contributo di queste possa essere utile.
      3. Nel corso della inchiesta socio-familiare dei centri di servizio sociale per adulti, questi registrano gli elementi di inserimento sociale già individuati dagli interessati o quelli che possono essere messi in atto attraverso la misura alternativa. La relazione conclusiva della inchiesta ha la funzione di mettere in luce, se già in corso, o di definire o ridefinire, il percorso di reinserimento sociale degli interessati.
      4. Si applicano le disposizioni di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 dell'articolo 156.

Art. 158.
(Assistenza post-penitenziaria e soppressione di enti).

      1. I detenuti e gli internati ricevono un particolare aiuto nel periodo di tempo che immediatamente precede la loro dimissione dagli istituti e per un congruo periodo successivo. Tale disposizione si applica anche nei confronti di coloro che fruiscono di misure alternative.
      2. Il definitivo reinserimento nella vita libera è agevolato dai centri di servizio sociale per adulti, che promuovono gli interventi adeguati, facendo riferimento alle risorse della rete sociale.
      3. I dimessi affetti da gravi infermità o da anomalie psichiche sono segnalati ai

 

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servizi pubblici competenti per la necessaria assistenza.
      4. Per l'attuazione degli interventi di cui al presente articolo sono predisposti progetti per i quali può essere richiesto il finanziamento della Cassa delle ammende. Può essere finanziato anche l'impiego di operatori della rete sociale, che collegano i centri di cui al comma 2 al fine di una maggiore efficacia degli interventi stessi.
      5. I consigli di aiuto sociale, costituiti ai sensi degli articoli 74, 75 e 76 della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché il comitato per l'occupazione degli assistiti dal consiglio di aiuto sociale, istituito ai sensi dell'articolo 77 della medesima legge n. 354 del 1975, sono soppressi. Alle agenzie per il lavoro pubbliche e alle altre agenzie abilitate sono attribuite le funzioni esercitate dal citato comitato soppresso in attuazione del presente comma.

Art. 159.
(Attività di ricerca e studio sulla esecuzione della pena e delle misure di sicurezza).

      1. Deve essere promossa l'attività di ricerca o studio sulla esecuzione della pena e delle misure di sicurezza, nonché delle misure alternative alle stesse al fine di verificare la loro efficacia e indicarne i possibili miglioramenti.
      2. Le università, gli enti e gli organismi che svolgono documentata attività di ricerca possono procedere alla elaborazione dei dati statistici raccolti dagli appositi servizi della amministrazione penitenziaria o di altre amministrazioni pubbliche, nonché effettuare ricerche in merito alle modalità di esecuzione della pena, delle misure di sicurezza e delle misure alternative alle stesse, anche in ordine alla ricaduta degli interessati nel reato.
      3. Le ricerche e gli studi possono comportare l'accesso alla documentazione giuridica di procedure archiviate e alla documentazione giudiziaria delle persone interessate, esistente presso il casellario giudiziale e le eventuali banche dati sulle pendenze giudiziarie. È altresì possibile

 

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l'accesso alla documentazione, anche informatica, esistente presso la amministrazione penitenziaria.
      4. Le ricerche e gli studi possono essere svolti mediante colloqui, anche registrati, con persone libere, recluse o sottoposte a misura alternativa.
      5. Le ricerche e gli studi devono assicurare l'anonimato dei casi gestiti. Essi sono svolti previo rilascio di dichiarazione liberatoria da parte degli interessati, se sono effettuati attraverso rilevazioni individuali; resta fermo l'impegno dell'anonimato.
      6. Le ricerche e gli studi sono autorizzati dall'ufficio giudiziario o amministrativo interessato. Per la amministrazione penitenziaria l'autorizzazione è rilasciata dall'ufficio studi e ricerche presso il dipartimento della amministrazione penitenziaria.

Capo II
INTERVENTI COLLETTIVI RELATIVI A GRUPPI DI PERSONE IN CONDIZIONI PARTICOLARI

Art. 160.
(Gruppi di detenuti e di internati in condizioni particolari).

      1. Devono essere attuati progetti di reinserimento sociale concernenti gruppi di detenuti e di internati, la cui restrizione è condizionata da problemi comuni di carattere sociale, il cui superamento può essere decisivo per la riabilitazione dalle condotte illecite, che hanno determinato la detenzione o l'internamento.
      2. Nei gruppi di detenuti e di internati di cui al comma 1 sono compresi:

          a) coloro che presentano o hanno presentato e che sono ancora coinvolti, a diversi livelli, in problemi di tossicodipendenza o di alcooldipendenza;

          b) coloro che vivono situazioni di disagio fisico che incide sulla loro autosufficienza, nonché di disagio psichiatrico e psicologico o di abbandono sociale;

 

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          c) coloro che appartengono all'area della immigrazione.

Art. 161.
(Progetti collettivi di inserimento all'esterno).

      1. I progetti di cui all'articolo 160 sono attuati attraverso lo svolgimento, da parte degli interessati, di attività lavorativa o di altre attività comunque utili al reinserimento sociale. I progetti devono essere finalizzati al superamento dei problemi che hanno influito sulle condizioni di esclusione sociale e che hanno concorso a determinare la commissione dei reati e conseguentemente la detenzione.
      2. Ai progetti di cui al comma 1 si applicano le disposizioni vigenti relative ai lavori socialmente utili e, per le persone che presentano problemi di dipendenza dagli stupefacenti o dall'alcool, quelle relative ai programmi terapeutici per la cura e la riabilitazione dalle dipendenze, nonché, per le persone con problemi psicofisici e di abbandono sociale, quelle relative alla cura e alla assistenza socio-sanitarie.
      3. La preparazione alla partecipazione ai progetti può essere attuata attraverso appositi corsi di formazione professionale per i detenuti e gli internati, realizzati in tutto o in parte all'esterno degli istituti.
      4. Nella realizzazione dei progetti è privilegiata l'attuazione degli stessi all'esterno degli istituti.
      5. Quando i progetti hanno ad oggetto lo svolgimento di attività lavorativa, gli stessi possono essere attuati:

          a) con la costituzione di rapporti di lavoro;

          b) con la assegnazione di borse-lavoro;

          c) con le modalità previste per lo svolgimento dei lavori socialmente utili, dove sia possibile ricorrere agli stessi;

          d) con l'attuazione di programmi di reintegrazione sociale, esclusi dall'applicazione della disciplina del rapporto di lavoro,

 

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che assicurino, comunque, il mantenimento, l'accoglienza e il soddisfacimento delle altre indispensabili esigenze di vita dei soggetti interessati, nonché le coperture sanitaria ed assicurativa adeguate. Tali programmi valorizzano la prestazione di lavoro in favore della comunità come strumento di compensazione del danno sociale prodotto dal reato.

Art. 162.
(Misure e condizioni giuridiche per la partecipazione ai progetti).

      1. Per la realizzazione dei progetti di cui al presente capo, da attuare in tutto o in parte all'esterno degli istituti, sono utilizzati il lavoro all'esterno e le misure alternative alla detenzione.
      2. Quando si ricorre a programmi di reintegrazione sociale di cui all'articolo 161, comma 5, lettera d), nei quali l'interessato non viene remunerato per il lavoro svolto, la detrazione di pena, se concessa, è determinata nella misura di novanta giorni per ogni semestre di pena scontata in costanza dell'attuazione del programma, anche se questa ha interessato solo parte del semestre stesso.
      3. Ai partecipanti ai progetti di cui al presente articolo si applica la disciplina legislativa concernente la particolare misura giuridica utilizzata. La partecipazione ai progetti nonché le modalità e i tempi della stessa sono stabiliti dalle prescrizioni relative alle misure alternative alla detenzione o dai programmi di trattamento attuativi delle stesse.
      4. Specifici progetti possono essere proposti e realizzati anche per coloro che si trovano in esecuzione di una misura alternativa attuata totalmente all'esterno degli istituti e che rientrano nelle previsioni di cui all'articolo 160.
      5. Possono essere ammessi ai programmi anche i detenuti in custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari. Quando i programmi si svolgono in luogo esterno a quello di detenzione, ai detenuti in carcere si applica l'articolo 29 ed è

 

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necessaria la previa autorizzazione, ivi prevista, della competente autorità giudiziaria; per i detenuti agli arresti domiciliari, la stessa autorità giudiziaria adotta apposito provvedimento, che prevede anche le modalità e i tempi per l'uscita dalla sede degli arresti domiciliari.

Art. 163.
(Proposizione dei progetti).

      1. I progetti di cui al presente capo sono proposti dagli enti pubblici territoriali. Possono essere proposti anche da organismi privati, che svolgono attività di cura e di assistenza in ordine alle situazioni indicate nell'articolo 160 o che sono inquadrati nella cooperazione sociale.
      2. I progetti devono assicurare:

          a) la copertura organizzativa, con personale adeguato, delle attività svolte in attuazione dei progetti stessi, sia per la parte concernente le attività lavorative, sia per quelle concernenti le attività di cura e di assistenza;

          b) la conformità alla normativa vigente sul rapporto di lavoro, se questo si configuri e, in caso diverso, il rispetto delle previsioni del comma 5 dell'articolo 161;

          c) il raccordo con gli operatori del sistema penitenziario e il rispetto della normativa vigente relativa alla situazione giuridica dei partecipanti all'attuazione dei progetti;

          d) le risorse finanziarie necessarie per l'attuazione del progetto.

      3. Per i singoli partecipanti ai progetti, a seconda della misura alternativa alla detenzione applicata, vengono indicati dagli organi competenti le prescrizioni o i programmi di trattamento funzionali allo svolgimento dei progetti.

 

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Art. 164.
(Sede regionale per i progetti).

      1. Una apposita struttura della regione sovrintende alla programmazione e alla organizzazione dei progetti di cui al presente capo, con funzioni di coordinamento degli enti e degli organismi che concretamente li attuano. La stessa struttura provvede anche alla programmazione e alla organizzazione delle case territoriali per il reinserimento sociale, che sono utilizzate per l'attuazione dei progetti.
      2. Presso la struttura di cui al comma 1 opera anche un ufficio di servizio con il compito di sostegno e consulenza nelle fasi di definizione e di presentazione dei progetti.
      3. L'ufficio di cui al comma 2 individua le risorse economiche utilizzabili per i progetti, riferibili anche a quelle assegnate ai vari assessorati regionali e in particolare a quelli competenti in materia di ambiente, protezione civile, sanità, sicurezza sociale, istruzione e formazione professionale ed eventuali altri. Promuove anche, presso gli enti e gli organismi di cui al comma 1 dell'articolo 163, la proposizione di progetti che possano rendere utilizzabili particolari fondi e presta assistenza agli stessi soggetti, ove occorra, per la formulazione e la presentazione dei progetti. L'ufficio svolge, inoltre, attività di coordinamento e di servizio, finalizzata alla concreta presentazione dei progetti da parte dei citati enti ed organismi.
      4. L'ufficio di cui ai commi 2 e 3, nella individuazione delle risorse economiche, fa riferimento anche ai fondi disponibili per le iniziative in questione presso l'Unione europea e a quelli della Cassa delle ammende presso il dipartimento della amministrazione penitenziaria.
      5. La definizione operativa dei progetti, completa della documentazione relativa, è curata dagli enti o dagli organismi interessati di cui al comma 1 dell'articolo 163. I progetti sono presentati per la approvazione e il conseguente finanziamento alle autorità di competenza.

 

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      6. L'attuazione dei progetti deve avvenire di intesa con la amministrazione penitenziaria, rappresentata dal provveditore regionale della stessa.

Capo III
INDIVIDUAZIONE DEI PROGETTI E LUOGHI DI DETENZIONE.

Art. 165.
(Finalizzazione dei progetti).

      1. I progetti di cui al capo II hanno finalizzazioni diverse, sempre rivolte alla rimozione delle difficoltà sociali dei partecipanti, nonché allo svolgimento di attività di pubblica utilità.
      2. In merito allo svolgimento di attività di pubblica utilità previsto dal comma 1 sono privilegiati i progetti che realizzano interventi ambientali, quali la tenuta e il riordino delle zone agricole o boschive abbandonate, nonché la sistemazione e la pulizia di corsi d'acqua, e la migliore utilizzazione delle zone urbane destinate ad uso pubblico o in condizioni di abbandono.
      3. Nell'attuazione dei progetti si deve promuovere la organizzazione della rete sociale che favorisce il reinserimento sociale dei partecipanti.

Art. 166.
(Progetti per le persone dipendenti da stupefacenti o da alcool).

      1. I progetti per le persone dipendenti da stupefacenti, proposti ed attuati dal servizio tossicodipendenze pubblico o, previa valutazione positiva dello stesso, da enti od organismi privati compresi negli enti ausiliari previsti dall'articolo 115 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono organizzati in forma di comunità diurna. Vengono realizzati programmi diurni, anche di riduzione del danno, nei

 

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casi che lo richiedono. Per tali progetti è consentita l'applicazione delle disposizioni dell'articolo 29 in materia di lavoro o di altre attività trattamentali all'esterno.
      2. Resta salva, comunque, la possibilità di ammissione a misure alternative più ampie di quelle previste dal presente articolo sia nella costanza di partecipazione al progetto, sia per un diverso inserimento esterno, anche di lavoro.
      3. I progetti di cui al presente articolo possono accedere al Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga previsto dall'articolo 127 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni.

Art. 167.
(Progetti per persone in situazioni di disagio psicofisico o sociale).

      1. I progetti per le persone detenute o internate in situazioni di disagio psicofisico o sociale proposti ed attuati dai servizi socio-assistenziali competenti o, previa valutazione positiva degli stessi, da enti od organismi privati, in particolare appartenenti alla cooperazione sociale, sono organizzati in appositi servizi o comunità diurni. Si applica quanto previsto dall'ultimo periodo del comma 1 e dal comma 2 dell'articolo 166.

Art. 168.
(Progetti per le persone immigrate).

      1. I progetti per le persone immigrate sono individuati in particolare tra quelli di cui al comma 2 dell'articolo 165.
      2. Nella attuazione dei progetti particolare cura è dedicata agli aspetti di formazione professionale.
      3. Per l'attuazione dei progetti si applicano le disposizioni degli articoli 166 e 167.
      4. Per la gestione dei progetti le cooperative sociali devono essere considerate soggetto preferito.

 

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      5. L'esito positivo della partecipazione all'attuazione del progetto consente, alla conclusione della esecuzione della pena , il rilascio all'interessato di permesso di soggiorno in via definitiva, se l'interessato dimostra la propria disponibilità attuale di inserimento lavorativo o in via provvisoria, per la durata di sei mesi, se tale disponibilità non è ancora attuale.

Art. 169.
(Istituti penitenziari locali a custodia attenuata).

      1. L'attuazione dei progetti di cui al capo II e al presente capo deve realizzare una riduzione delle persone detenute e internate e, in particolare, di quelle che si trovano negli istituti penitenziari ordinari.
      2. Al fine di cui al comma 1 devono essere utilizzate, come sedi detentive non comprese tra quelle ordinarie, le case territoriali di reinserimento sociale previste dall'articolo 113.
      3. Le case territoriali di cui al comma 2, in particolare, sono realizzate in comuni prossimi ai luoghi di attuazione dei progetti.
      4. Può essere anche autorizzato lo svolgimento del periodo giornaliero detentivo, previsto dal programma di trattamento, presso la stessa sede di attuazione del progetto o una sede appositamente realizzata dall'organismo che cura la realizzazione del progetto. L'autorizzazione è concessa dal provveditorato regionale della amministrazione penitenziaria che, attraverso apposita convenzione, definisce le condizioni, anche economiche, di gestione. In tali casi, le funzioni penitenziarie sono svolte dagli operatori del progetto.

TITOLO V
DISPOSIZIONI TRANSITORIE, FINALI E DI COPERTURA FINANZIARIA

Art. 170.
(Principio della non elusione del rispetto della legge per difetto di risorse economiche).

      1. La violazione per difetto di risorse economiche dei diritti dei detenuti e degli

 

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internati in materia di condizioni di vita, di cura della salute, di svolgimento di una vita attiva e di finalizzazione della stessa alla risocializzazione, come riconosciuti dalla presente legge, non può essere addotta quale valida giustificazione alla elusione di tali diritti.

Art. 171.
(Rete delle strutture penitenziarie).

      1. Finalità della presente legge sono il progressivo contenimento del ricorso alla detenzione e l'uso di misure alternative al fine di garantire ai detenuti e agli internati, in particolare ai soggetti in situazioni di disagio sociale e psichico, maggiori possibilità di recupero personale e di reinserimento sociale.
      2. La rete delle strutture penitenziarie è organizzata in modo da garantire l'attuazione delle finalità stabilite dal comma 1, con l'adeguamento delle dimensioni delle aree penitenziarie interna ed esterna.
      3. Nell'ambito dell'adeguamento della rete penitenziaria previsto dal comma 2 è in particolare curata la realizzazione di nuove strutture di gestione territoriale e a custodia attenuata allo scopo di contribuire all'ulteriore contenimento del sovraffollamento carcerario.
      4. Fatto salvo quanto previsto dal comma 3, possono essere realizzati nuovi istituti ordinari solo per la sostituzione di istituti già esistenti e in stato di degrado e per i quali, a causa delle loro caratteristiche strutturali e della loro ubicazione, non risulta efficace né economicamente conveniente il recupero.
      5. Sono abbandonati i programmi di aumento degli istituti ordinari e il connesso aumento del personale per la loro gestione.
      6. È prevista l'erogazione di adeguate risorse economiche per la copertura della spesa per l'adeguamento degli istituti e per la dotazione del relativo personale, in attuazione della presente legge, nonché per l'adeguamento del personale e dei mezzi dei centri di servizio sociale per

 

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adulti e delle altre strutture organizzative necessarie per l'attuazione delle misure alternative alla detenzione.

Art. 172.
(Organici degli istituti, dei centri di servizio sociale per adulti e delle altre sedi di servizio).

      1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il dipartimento della amministrazione penitenziaria definisce i nuovi organici del personale penitenziario relativi agli istituti, ai centri di servizio sociale per adulti, ai provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria e allo stesso dipartimento. Al fine della sollecita definizione degli organici, i singoli provveditorati regionali entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite le direzioni degli istituti e dei centri, formulano le proposte per i territori di competenza.
      2. In attuazione di quanto disposto dal comma 1, sono di seguito indicati i diversi ruoli dei quali deve essere assicurata la copertura:

          a) funzionari direttivi degli istituti, di cui al comma 7 dell'articolo 134;

          b) funzionari amministrativo-contabili degli istituti e dei centri di servizio sociale per adulti, di cui al comma 3 dell'articolo 135;

          c) educatori, di cui ai commi 5 e 6 dell'articolo 136;

          d) esperti dell'osservazione e trattamento, di cui al comma 2 dell'articolo 137;

          e) Corpo di polizia penitenziaria, di cui al comma 3 dell'articolo 139;

          f) personale di collaborazione degli istituti e dei centri di servizio sociale per adulti, di cui al comma 1 dell'articolo 140 e al comma 1 dell'articolo 145;

          g) funzionari direttivi dei centri di servizio sociale per adulti, di cui al comma 1 dell'articolo 145;

 

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          h) assistenti sociali, di cui al comma 1 dell'articolo 145;

          i) operatori di servizio sociale, di cui al comma 5 dell'articolo 143 e al comma 1 dell'articolo 145.

      3. Nei ruoli elencati al comma 2 non è compreso il personale dell'area sanitaria, che deve essere inserito nel Servizio sanitario nazionale.

Art. 173.
(Assunzioni urgenti di personale).

      1. Devono essere realizzate in via di urgenza le assunzioni di personale specificamente indicate dal presente articolo.
      2. Per un terzo dei posti in organico del ruolo degli educatori, definito ai sensi dell'articolo 172, la copertura è effettuata, nell'ambito dei singoli provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria, con gli educatori professionali risultati idonei nei concorsi presso gli enti locali, secondo i criteri definiti dal dipartimento della amministrazione penitenziaria.
      3. Alla copertura dei posti in organico del ruolo degli esperti dell'osservazione e trattamento, definito ai sensi dell'articolo 172, si provvede inizialmente, a loro richiesta, con gli esperti attualmente operanti negli istituti con rapporto libero professionale, in considerazione dei periodi di servizio prestati e previa positiva valutazione del servizio stesso. Il provveditorato regionale della amministrazione penitenziaria provvede agli atti necessari per lo svolgimento della procedura di assunzione in via di urgenza, secondo i tempi, la progressione e i criteri definiti dal dipartimento della amministrazione penitenziaria che, all'esito della procedura, provvede all'assunzione.
      4. Per la metà dei posti in organico del ruolo degli operatori di servizio sociale, definito ai sensi dell'articolo 172, la copertura è attuata, nell'ambito dei singoli provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria, con le persone risultate idonee nei concorsi presso gli enti

 

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locali del singolo territorio regionale, relativi a ruoli corrispondenti, secondo i criteri definiti dal dipartimento della amministrazione penitenziaria.

Art. 174.
(Personale con rapporto convenzionale per l'impiego in singoli uffici).

      1. Possono essere stabiliti rapporti libero professionali con persone, dotate di particolare preparazione, per gli uffici di cui alle lettere a) e b) del comma 3 e al comma 4 dell'articolo 147.
      2. I rapporti di cui al comma 1 sono stabiliti con singole convenzioni, che definiscono anche i relativi compensi.

Art. 175.
(Regolamento di attuazione).

      1. Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, è emanato il relativo regolamento di attuazione. Per quanto riguarda la materia dell'istruzione negli istituti penitenziari, il regolamento è emanato di concerto anche con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
      2. Fino alla emanazione del regolamento di cui al comma 1 si applicano, per quanto compatibili con le norme della presente legge, le disposizioni del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230.

Art. 176.
(Abrogazioni).

      1. La legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, è abrogata.
      2. Gli articoli 176 e 177 del codice penale sono abrogati.
      3. La legge 5 dicembre 2005, n. 251, è abrogata.